martedì 17 novembre 2015

Leica contro Contax


Contax o Leica?

discorso sopra la funzionalità della fotografia analogica nel XXI secolo

Voglio comprare una ottima macchina fotografica manuale e meccanica. 
Sarà meglio una Leica o una Contax? Una domanda ricorrente, da ottanta anni circa.
Se la pone colui che vuole affacciarsi nel mondo della fotografia, cercando una camera manuale, a telemetro, che rappresenti il meglio che sia mai stato creato dall’uomo.
E’ abbastanza evidente che questa domanda, sempre la stessa dagli anni trenta ad oggi, non può aver avuto sempre la medesima risposta: negli anni ‘30 le persone si spostavano in calesse su strade non asfaltate, nel 2015 viaggiano su auto elettriche. Ovviamente in tutti questi anni è cambiato anche il mondo della fotografia; non solo: in una era di immagini digitali è ovvio chiedersi anche il senso dell’uso di una macchina fotografica meccanica e manuale 35 mm fabbricata ottanta anni fa.
Occorre infine porsi sempre dalla parte di chi vuole acquistare una fotocamera del genere, comprendere come intenda utilizzare un tale capolavoro della meccanica di precisione.
Prima di rispondere pertanto si ritiene indispensabile introdurre quattro piani di riflessione.
1 – collocazione storica delle macchine fotografiche meccaniche manuali
2 – caratteristiche oggettive della Contax II/III e della Leica II/III
3 – esame di dati oggettivi, puramente numerici, o quantomeno oramai assolutamente pacifici tra gli addetti ai lavori.
4 – esigenze di tre diversi tipi di clientela: collezionista, utilizzatore stanziale, utilizzatore viaggiatore.

1 – Collocazione storica delle macchine fotografiche meccaniche manuali

Le macchine fotografiche 35 mm meccaniche manuali a telemetro (sarebbe più corretto dire a mirino galileiano, perché non tutte avevano un telemetro) sono state introdotte sul mercato a partire dalla primavera 1925, quando la Leica ad ottica fissa fece il proprio debutto alla fiera di Lipzia.
Ad onor del vero le fotocamere a pellicola cinematografica (all'epoca 24 mm e non 35 mm) erano state inventate prima di allora (anzi l’italiana Ambrosio di Torino, nel 1905, fu proprio la prima in assoluto link), ma non avevano mai avuto una diffusione significativa e soprattutto non avevano alcuna pretesa di essere considerate fotocamere di qualità.
Il punto finale dell’epoca delle 35 mm a telemetro deve essere individuato nel marzo 1960, il giorno in cui, l’ing. Masahiko Fuketa presentò, al Japan Camera Show di Tokio, la Nikon F, la prima macchina fotografica reflex prodotta su scala industriale.
Prima di tale data le 35 mm a telemetro erano l’unica opzione possibile per un fotografo professionista (ad eccezione delle Rolleiflex e delle Speed Graphic). Dopo il 1959 le telemetro diventarono improvvisamente oggetti vintage, abbandonate da tutti i professionisti a favore della Nikon F, salvo che da pochissimi “stravaganti”. Tra questi stravaganti vale la pena di citare Horst Fass (1933-2012. Mutilato da una mina nel 1967), pressocchè l’unico fotografo della guerra del Vietnam (1963-75) a non essersi convertito alla Nikon F nera. Utilizzava esclusivamente le sue tre Leica M3 ed una Contarex, tedesche come lui.
Questi 34 anni di dominio delle macchine a telemetro può essere diviso in due tronconi nettamente distinti: gli anni ‘30 e gli anni ‘50. Il decennio nel mezzo (gli anni ‘40) può essere considerato come un medioevo fotografico: la seconda guerra mondiale nel primo quinquennio, e le enormi difficoltà nella ricostruzione e ripartenza della attività industriale nel secondo quinquennio, avevano praticamente azzerato la produzione di macchine fotografiche. Quelle poche costruite soffrivano di carenza di materie prime, per cui hanno un elevato valore collezionistico, ma non eccellono di certo in qualità. Nella seconda metà degli anni ‘40, proprio la temporanea assenza dal mercato dei colossi fotografici tedeschi, spinse molte fabbriche europee (quasi tutte italiane) a tentare l’avventura della produzione delle 35 mm. Si trattava si imprese minuscole (alcune di queste erano mere botteghe artigiane) che hanno sfornato un numero limitatissimo di fotocamere, tuttavia di qualità accettabile ed oggi molto ricercate dai collezionisti. Negli anni ‘50, con il ritorno dei colossi tedeschi, questa breve primavera venne spazzata via.
Nel primo decennio (anni ‘30) e nel secondo (‘50) Leitz e Zeiss Ikon si sono affrontate in una competizione acerrima, ma anche piuttosto originale.
Introduciamo i competitori
Ernst Leitz di Wetzlar e Zeiss Ikon di Dresda erano imprese commerciali dalle dimensioni molto diverse. Leitz era molto più piccola di Zeiss Ikon, ma soprattutto era sola al Mondo. Di contro Zeiss Ikon faceva parte dell’enorme gruppo Carl Zeiss Jena, un colosso mondiale, primatista assoluto ed incontrastato nel campo di tutte le lenti, tra le quali, le lenti fotografiche la vedevano parimenti primeggiare di gran lunga su ogni altro concorrente. Per rendere una idea Leitz era confrontabile con la odierna fabbrica di motociclette Ducati, mentre Zeiss Ikon con la Honda. Non solo quest’ultima produce un numero di motociclette molto superiore rispetto alla Ducati, ma soprattutto la divisione moto è solo una parte rispetto alla produzione vastissima della Honda Corporation. Appare opportuno illustrare una breve storia delle due imprese.


Carl Zeiss di Jena




Nel 1846 il sig. Carl Zeiss, di anni 30, apre la sua bottega di ottica a Neugasse lungo la strada che porta a Jena. Produce principalmente microscopi.
Tutta l’opera di Carl Zeiss era basata sul metodo empirico; vale a dire: “prova e sbaglia”. Era ovvio che questo metodo di produzione comportava lo spreco di grandi quantità di materiale. Il sig. Zeiss si occupava personalmente di distruggere a martellate i suoi microscopi che non avevano superato il controllo qualitativo, prima di essere immessi sul mercato. Zeiss si convinse presto che l’approccio empirico non poteva portarlo lontano: aveva bisogno di introdurre nella propria fabbrica dei seri studi scientifici, per ottenere prodotti più precisi, in minor tempo e con minori sprechi. Nel 1866 Zeiss trovò casualmente quello che cercava: nel corso di una visita all’Università di Jena conobbe il prof. Ernst Abbe, successivamente docente a Jena.
Abbe fu subito assunto nella officina Zeiss come Direttore della ricerca per i prodotti ottici. Nel 1872, dopo sei anni di lavoro applicati alla produzione di nuovi tipi di vetro ottico, il laboratorio Zeiss sfornò un “microscopio composto” di qualità senza pari. Questo strumento è il progenitore di tutti i moderni microscopi composti in uso oggi.
Come ricompensa per i suoi sforzi, nel 1876 Carl Zeiss nominò Abbe come partner nel suo fiorente business. Nel 1879 il terzo membro del team che ha creato la società Carl Zeiss, venne invitato da Abbe ad unirsi a lui e a Zeiss nello sforzo continuo per migliorare il microscopio. Friedrich Otto Schott studiò l’uso del litio in un nuovo tipo di vetro ottico, e scrisse al dottor Abbe descrivendo il suo progresso. Abbe immediatamente iniziò ad interessarsi e, testato il vetro, ebbe elogi per le scoperte di Schott.


Nel 1888 muore Carl Zeiss, il quale pertanto (per ironia della sorte) non vide mai nessuno dei famosi obiettivi che portano tutti il suo nome.
1889, per iniziativa di Abbe, nasce la Carl Zeiss Stiftung (Fondazione Carl Zeiss) con sede a Jena la quale giocherà un ruolo decisivo nella storia mondiale della fotografia. Il figlio di Zeiss, unico erede, vendette tutte le quote ereditate ad Abbe.
1890 l’azienda si ingrandisce sempre più, il settore degli obiettivi per uso fotografico viene affidato con successo alla direzione di Paul Rudolph (1859-1935). Inizia la produzione di lenti fotografiche:
Anastigmat - Protar (1890)  (schema)
Unar (1899)                         (schema)
Planar (1896)                       (schema)
Tessar (1902)                       (schema)
Tanto per rendere una idea, occorre considerare che tutte le lenti fotografiche discendono da soli 4 capostipite: Double Gauss (1888); Anastigmat – Protar (1890), Cooke Triplet (1893) e Tessar (1902).
Zeiss Protar (1890)                               Cooke Triplet (1893)                                     Zeiss Tessar (1902)

Ebbene due di queste quattro lenti (Protar e Tessar) furono inventate da Paul Rudolph per la Carl Zeiss, mentre una terza (Planar 1896) è il perfezionamento, sempre ad opera di Paul Rudolph per la Carl Zeiss del Double Gauss. In pratica Zeiss ha contribuito per i ¾ alla storia universale dell’ottica fotografica. La lente "Protar" venne, alla nascita (1890) battezzata "Anastigmat" per evidenziarne le caratteristiche di esenzione dal difetto dell'astigmatismo. Tuttavia tale nome non venne registrato, per volontà di Ernst Abbe, il quale sosteneva che "la scienza è di tutti". I concorrenti della Carl Zeiss fecero a gara per denominare con il nome "Anastigmat" le proprie lenti, con ciò ingenerando nei consumatori la fallace convinzione che, la qualità delle loro lenti, fosse simile a quella della Zeiss. Ne risultò una rapida discesa del prestigio del nome "Anastigmat" e la Carl Zeiss reagì cambiando nome alla propria lente, denominata da allora sino ad oggi "Protar" dal greco proto (primo) a cui venne aggiunto il suffisso ar, molto in voga all'epoca nella denominazione delle lenti fotografiche. Con ciò Zeiss volle orgogliosamente ricordare la propria primogenitura nella invenzione di tale importantissima lente. Per quanto riguarda il quarto ed ultimo capostipite (Cooke Triplet) l’ing. Ludwig Bertele della Carl Zeiss sviluppò nel 1929 lo Zeiss Sonnar, che rappresenta il frutto migliore della famiglia del Triplet.
Il Planar, inventato nel 1896, non venne sfruttato commercialmente dalla Zeiss sino al 1957, perchè il numero di passaggi aria/vetro (otto), prima della scoperta del trattamento antiriflessi delle lenti, creava un eccessiva rifrazione, tanto da pregiudicare la qualità dell'immagine che pareva poco incisa. Il numero di lenti, inoltre alzava il prezzo di produzione. Il Planar dunque era un diamante rimasto grezzo per 61 anni. Tuttavia era un diamante vero, e se ne ebbe la riprova nel 1966 quando Zeiss presentò l'obiettivo fotografico più luminoso della storia: era un Planar 50/0.7 (schema ottico) commissionato a Zeiss dalla NASA per fotografare la superficie della Luna, al fine di decidere quale fosse il punto migliore dove allunare. Questo obiettivo fantastico (solo 10 pezzi prodotti) venne usato solo in quella occasione e dal regista Stanley Kubrick per il film "Barry Lyndon".
Solo la fotografia sa regalare storie talmente incredibili. Chi fosse interessato può leggerla qui.
Torniamo al 1896. Il Planar per il momento era un fiasco dal punto di vista commerciale. Paul Rudolph aveva pertanto fatto perdere molto denaro alla Carl Zeiss. Dovette correre ai ripari ideando un obiettivo che rappresentasse l'esatto opposto del Planar: economico da costruire (solo 4 lenti in 3 gruppi), spartano, dalla superba incisione, poco luminoso, da vendere a prezzi bassi e di larghissima popolarità. E' la descrizione esatta del Tessar. Lo si sarebbe potuto chiamare "anti-planar" ed avrebbe reso maggiormente l'idea. Il Tessar (e tutte le sue imitazioni) è stato probabilmente l'obiettivo più venduto della storia. Rudolph dimostrò a Zeiss che sapeva progettare sia una ottica elitaria come il Planar, sia una popolarissima come il Tessar. Da notare che il Tessar, contrariamente a quanto molti credono, pur avendo tre gruppi di lenti, non discende dal Triplet di Cooke, bensì dalle quattro lenti del Protar. Più precisamente il Tessar mutua le due lenti anteriori dall'Unar (idem inventato da Paul Rudolph) ed il gruppo posteriore dal Protar (idem creazione di Rudolph) (foto). Per questo motivo il Tessar non discende da una delle altre tre lenti capostipite, bensì ne costituisce una quarta a se stante. Le lenti discendenti dal Tessar sono innumerevoli, perchè, come detto, è una lente facile ed economica da costruire, poco luminosa ma con una definizione eccezionale. E' la lente perfetta per tutte le fotocamere ad ottica fissa con prezzo di fascia bassa.
1891 Alla loro morte, sia Abbe che Schott cedettero le rispettive quote alla Fondazione Carl Zeiss, la quale divenne così la unica proprietaria di tutte le imprese Carl Zeiss.
1925 La Ernst Leitz di Wetzlar stupisce il mondo introducendo la Leica, la prima fotocamera 35 mm della storia.
1926 La fondazione Zeiss reagisce alla mossa di Leitz decidendo di produrre macchine fotografiche. Acquisisce quattro industrie fotografiche tedesche: Optische Anstalt C. P. Goërz (Berlino), Contessa Nettel (Stoccarda), ICA (Dresda) ed Ernemann (Dresda), le fonde insieme e crea la Zeiss Ikon SA con sede a Dresda.
La politica è quella di continuare a produrre le medesime macchine fotografiche delle imprese assorbite, ma dotandole di obiettivi Zeiss. Fu imposto anche l’uso del solo otturatore “Compur”, con la sola eccezione delle camere più economiche, dotate del “Klio”.
Dunque Zeiss Ikon si riforniva esclusivamente da Carl Zeiss Jena per equipaggiare di lenti le proprie fotocamere. Tuttavia Carl Zeiss Jena era libera di fornire le proprie lenti anche ad altri produttori di fotocamere.
Occorre soffermarsi sulla politica commerciale della Carl Zeiss, strano miscuglio di monopolismo e socialismo utopistico filantropico, con sconfinamenti nell’assistenzialismo tout court.
Carl Zeiss era una impresa manufatturiera di enorme successo, leader nell’ottica mondiale ed una delle più grandi industrie della Germania. Dopo la prima guerra mondiale l’economia della Repubblica di Weimar era squassata da gravissime crisi, a cagione dei costi della ricostruzione postbellica e del peso dei risarcimenti per i danni di guerra che furono inflitti alla Germania dal trattato di Versailles.
La inflazione in Germania ha conosciuto tre gravissime fiammate nel giro di pochi anni che hanno condotto sul lastrico milioni di persone. In questa situazione di crisi, le numerose acquisizioni (a prezzi irrisori) da parte di Carl Zeiss delle imprese concorrenti (che altrimenti sarebbero fallite), non solo non furono ostacolate dal Governo centrale per la tutela del mercato (antitrust) contro la nascita dei monopoli, bensì vennero al contrario incoraggiate.
Questo spiega come sia stato possibile, per la Carl Zeiss, divenire il monopolista quasi assoluto di tutta la filiera dell’ottica e della fotografia in Germania. Non solo per la produzione di lenti, ma anche dei vetri e dei corpi macchina.
Al tempo stesso la politica commerciale della Carl Zeiss era determinata dalla proprietà, ossia dalla Fondazione Carl Zeiss, la quale proseguiva ed attuava le idee filantropiche del fondatore Ernst Abbe. Quando la Carl Zeiss (impresa) acquisiva una industria concorrente, la Carl Zeiss (Fondazione) imponeva che nessun operaio fosse licenziato, immolato sull’altare della “razionalizzazione” della produzione. Addirittura, le fabbriche un tempo concorrenti ma ora riunite in un medesimo gruppo, continuavano ad immettere sul mercato dei prodotti sostanzialmente identici; come se non vi fosse stata una acquisizione. Il risultato di questa politica portò Zeiss Ikon a produrre contemporaneamente fino a 220 “diversi” modelli di macchine fotografiche. Ovviamente, molti di questi 220 modelli si assomigliavano molto tra loro. Provate ad immaginare, una grande marca di fotocamere (Canon o Nikon) che oggi produce: un solo modello di fotocamera ammiraglia per i professionisti. Altri cinque modelli di fotocamere professionali (per professionisti o amatori di alto livello). Altri due modelli semi-professionali ed altri due modelli entry-level. Totale 10 modelli reflex. Aggiungiamo anche le compatte digitali mirror-less (30 modelli), arriviamo ad un totale complessivo di 40 modelli. Che senso hanno gli altri 180 modelli che mancano per arrivare al numero di 220? E’ ovvio che si tratta di rami secchi. Gli sprechi che comportavano tali duplicazioni di linee produttive, all’interno dello stesso gruppo, venivano coperti con i profitti da monopolio. Anche le “sinergie di gruppo” (una sola fabbrica di otturatori interna è la fornitrice di tutte le industrie fotografiche del gruppo; idem per i vetri ottici) in realtà erano degli sprechi produttivi: un otturatore non veniva scelto in quanto il migliore sul mercato, bensì perché era quello prodotto all’interno del gruppo Carl Zeiss da una impresa che non poteva essere chiusa perché la Fondazione lo impediva. L’altissimo standard della qualità produttiva del reparto ottica, da solo, generava profitti in grado di mantenere in piedi i reparti in perdita. Zeiss Ikon, ossia il reparto fotografico di Carl Zeiss, era dunque al tempo stesso un gigante (il più grande produttore mondiale), ma malato di inefficienza per il mancato taglio dei rami in perdita. E’ in questa condizione che, nel 1926, la direzione della Zeiss Ikon decideva di entrare nel mercato delle 35 mm (monopolio assoluto di Leica) creando un nuovo marchio ad hoc: la Contax, destinato a rappresentare il diamante della produzione fotografica Zeiss.
Occorre premettere che il mercato delle fotocamere 35 mm era appena stato creato da Leitz (1925), ma si era immediatamente imposto come lo standard più alto di qualità.
Il progetto viene affidato ad un team composto dai migliori ingegneri Zeiss, coordinato dall’Ing. Heinz Küppenbender. Contemporaneamente Carl Zeiss Jena si occupava della progettazione delle migliori ottiche mai viste prima a corredo di tale corpo macchina. Si trattava in realtà di adattare tutte le migliori ottiche Carl Zeiss al formato 35 mm e di dotarle di attacco a baionetta Contax.
Ma Carl Zeiss non si volle limitare a questo: per la Contax mise in produzione due lenti eccezionali del tutto nuove, brevettate nel 1929 ma non ancora immesse sul mercato: il Sonnar 50/2.0 (6 lenti in 3 gruppi) e soprattutto il mitico Sonnar 50/1.5 (7 lenti in 3 gruppi), ritenuta la migliore lente “normale” (ossia 50 mm) mai costruita per una camera 35 mm.
Ad onor del vero i Sonnar avevano una grande storia alle spalle:
Nel 1923 l'ing. Ludwig Bertele (1900-1985) creò, per la fabbrica Ernemann di Dresda, la lente Ernostar 105/1.8 (1923), discendente dal Cook Triplet, la quale equipaggiava la fotocamera (6x4,5) Ermanox. Si trattò di una fotocamera  rivoluzionaria (grazie alla eccezionale luminosità della lente Ernostar 1.8), perchè permetteva ai professionisti di fotografare senza treppiede. Quella fotocamera segnò pertanto la nascita del fotogiornalista come lo intendiamo oggi, ossia colui che riprende la scena di sorpresa, senza chiedere al soggetto ripreso di mettersi in posa. Erich Salomon, denominato il "re degli indiscreti" fu il capostipite di questo nuovo tipo di fotogiornalista; lavorava soprattutto in occasione dei vertici internazionali. Era famoso per i suoi scatti "rubati" con i quali coglieva primi ministri e ministri degli esteri in pose informali. A volte parecchio informali. Nel 1928 fotografò la firma del Patto Briand-Kellogg entrando nella sala e sedendosi nella postazione vuota del delegato polacco. Quando, nel 1926, la Carl Zeiss acquistò la fabbrica Ernemann (che insieme ad altre andò a costituire la Zeiss Ikon), Bertele si ritrovò ad essere un dipendente Zeiss. Per la Carl Zeiss Bertele sviluppò la propria lente Ernostar e creò il Sonnar 50 f 2.0 e f 1.5 per le fotocamere 35 mm.
Senza dubbio il Sonnar è la migliore lente della famiglia discendente dal capostipite Cook Triplet.

Nel 1932 viene immessa sul mercato la Contax I, da subito corredata con sei eccellenti ottiche Carl Zeiss: ben quattro “normali” (50 mm): Tessar 50/3.5; Tessar 50/2.8; Sonnar 50/2.0 e Sonnar 50/1.5 oltre a due teleobiettivi: Triotar 85/4 e Sonnar 135/4. Già l’anno successivo le ottiche per la Contax diventeranno dieci: si aggiungono il Tessar 28/8, il Biotar 40/2, il Sonnar 85/2 ed il Tele-Tessar 180/6.3. Nessuna altra fotocamera al mondo, di nessun formato, poteva vantare dieci ottiche. Quello che sorprendeva maggiormente era tuttavia l’eccezionale (per l’epoca) luminosità delle ottiche.
Quattro anni dopo, nel 1937, le lenti disponibili erano diventate quindici. Tra queste due ottiche di fama eccelsa: il Biogon 35/2.8 e l’ (Olympia) Sonnar 180/2.8, che si aggiungono ad Orthometar 35/4.5, Tele-Tessar 300/8 e Telephoto 500/8.

Ernst Leitz di Wetzlar


Nel 1869 Ernst Leitz I (1843-1920), un meccanico nativo di Baden trasferitosi a Wetzlar, rilevava la impresa (di cui era già socio dal 1865) fondata nel 1849 da un altro meccanico, ottico autodidatta, Carl Kellner prematuramente scomparso, il quale aveva inventato delle lenti per microscopio prive di distorsioni.

Ernst Leitz I (sinistra) e Oskar Barnack

Cambiato il nome in Ernst Leitz, la impresa produceva soprattutto microscopi, la cui produzione crebbe esponenzialmente: nel 1887 venne costuito il microscopio n. 10.000; nel 1891 n. 20.000; nel 1899 n. 50.000; nel 1907 n. 100.000 che fu donato al batteriologo Robert Coch. Sin da allora Leitz aveva adottato quella politica pubblicitaria che sarà proseguita successivamente per le fotocamere Leica: donare il proprio prodotto, marcato con un numero di serie significativo, ad una personalità molto illustre. All’inizio del ‘900 la impresa aveva già fama mondiale, nota anche per il trattamento dei propri dipendenti: aveva introdotto un orario di 8 ore lavorative e costruito un centro benessere per i propri dipendenti. La prima guerra mondiale cagionò ingenti danni alla fabbrica.
Nel frattempo, nel 1911, dietro raccomandazione del costruttore di cineprese Emil Mechau, era stato assunto alla Leitz un ingegnere meccanico di precisione che in precedenza aveva lavorato nella Carl Zeiss di Jena: Oskar Barnack (1879-1936), il quale aveva in mente una idea molto precisa e stava cercando un partner per realizzarla. Barnack aveva due grandi passioni: la fotografia e la montagna; ma anche dei seri problemi di salute che gli impedivano di trasportare carichi pesanti. Nel 1913 la fotografia era certamente diffusa, tuttavia gli apparecchi fotografici erano di legno, molto ingombranti e soprattutto pesanti. Barnack voleva realizzare un apparecchio fotografico molto piccolo, molto leggero, ma dalla qualità elevatissima. Il suo slogan era “una piccola fotocamera, per delle grandi fotografie”.

Oskar Barnack
Occorre tuttavia sfatare alcuni luoghi comuni. Non è vero che, prima del 1913, non siano esistite fotocamere di formato più piccolo rispetto a quelle pesanti di legno di cui sopra. Sin dal 1888 erano commercializzate dalla Kodak fotocamere di formato 6x9 precaricate di pellicola, pronte a scattare, da spedire al laboratorio che avrebbe restituito le stampe e la fotocamera di nuovo carica link. Non solo: già nel 1905 esistevano anche alcuni modelli più piccoli che utilizzavano la pellicola cinematografica link. Non è corretto pertanto dire che fu Barnack il primo a pensare di usare tale pellicola per le macchine fotografiche. Il punto è che le fotocamere a pellicola cinematografica anteriori a quella di Barnack erano modelli di scarsa qualità, una specie di curiosità per amatori. Quelle fotocamere inoltre, anche se usavano la pellicola cinematografica (che oggi chiamiamo 35 mm, ma che allora non si chiamava così) non erano delle 35 mm. Come vedremo tra poco fu Barnack ad inventare il formato 35 mm (24x36 mm), usando due fotogrammi appaiati del formato cinematografico (che era 18x24 mm). Il vero merito di Barnack tuttavia fu quello di scommettere che una 35 mm potesse diventare una fotocamera di altissima qualità, adatta ad usi professionali ed in grado pertanto di scalzare, il monopolio delle camere di medio e grande formato, dagli usi fotografici più redditizzi. Barnack non inventò quindi la fotocamera 35 mm, ma inventò la fotocamera che ha imposto lo standard 35 mm nel settore fotografico.
Parimenti non è vero che, prima del 1913, la Leitz non si fosse mai occupata di fotografia; al contrario aveva realizzato numerose lenti fotografiche.
Leitz produceva ottiche, ma non i corpi macchina. O meglio commercializzava delle macchine fotografiche di legno 4,5x6 denominate Klapp-Kamera e Moment-Kamera; ma esse erano fabbricate da artigiani locali: Leitz si limitava a dotarle di ottiche ed ad apporvi il proprio marchio. L’unica fotocamera prodotta in proprio da Leitz fu la Hand-Kamera, che tuttavia rimase a livello di prototipo.
Per realizzare la fotocamera compatta di alta qualità che aveva in mente, Barnack aveva tentato senza successo varie strade; sino a quando, nel 1913, non ebbe l’idea di utilizzare la pellicola cinematografica. Barnack aveva constatato che le pellicole per il cinema avevano oramai raggiunto qualità molto alte, tuttavia, la dimensione del fotogramma cinematografico (18x24 mm) non lo soddisfaceva: lo giudicava troppo piccolo per produrre stampe di alta qualità. Poichè la larghezza della pellicola a 24 mm si era oramai affermata come standard (pertanto non era immaginabile di poterla mutare) Barnack ebbe una idea tanto semplice quanto geniale: trasformò il lato lungo del fotogramma (24 mm) in lato corto, mentre il nuovo lato lungo derivò dalla somma di due vecchi lati corti (18+18=36 mm). Nasceva in questo modo il formato 35 mm. Chi pertanto sostiene che esistevano delle fotocamere 35 mm prima di quella di Barnack afferma una inesattezza: esistevano fotocamere a pellicola cinematografica, è vero, ma non erano 35 mm bensì 24 mm; perchè il 35 mm è invenzione di Barnack. Sfruttando i macchinari della Leitz, Barnack realizzò il suo prototipo: la UR-Leica. UR sta per “Urbild” che in tedesco significa “archetipo”, equipaggiata con una ottica cinematografica: il Kino Tessar della Carl Zeiss (la fabbrica dove Barnack lavorava sino a pochi anni prima).
la "madre" della UR-Leica

Barnak non scelse una ottica Leitz per un motivo evidente: se la pellicola era quella cinematografica, aveva bisogno di una ottica cinematografica, e la Leitz non ne produceva. Era nata la prima 35 mm al mondo. Ad onor del vero, la lente Zeiss Tessar Kino impressionava fotogrammi cinematografici (18x24) per cui l'intuizione di Barnak del 35 mm non potè trovare applicazione sino a quando l'ing. Berek (come vedremo) non progettò la prima lente 35 mm al mondo: l'Anastigmat/Elmax (5 lenti in 3 gruppi). Il 35 mm venne inizialmente denominato "formato Leica", e successivamente (quando venne adottato anche da altre case) "35 mm"; nome che passò in seguito ad indicare anche la pellicola cinematografica. In questo modo si è creata la convinzione che le fotocamere a pellicola cinematografica antecedenti alla Leica fossero delle 35 mm. Tuttavia non lo erano affatto. La prima UR-Leica (ne venne fatta anche una seconda per uso privato di Barnack) è attualmente conservata nel museo della Leitz a Wetzlar ed ha un valore non calcolabile. L'esemplare di Barnack fu ereditato dal figlio bottegaio, il quale la vendette ad un'asta ad uno sconosciuto, e da allora se ne sono perse le tracce. Poichè è inspiegabile il motivo per il quale l'attuale proprietario non si manifesti, è altamente probabile che sia stata gettata nella spazzatura. Barnack usò il suo prototipo per molti anni, ed alcune foto sono giunte fino a noi: la qualità era decisamente buona e "la macchina di Barnack" fu apprezzata anche dal titolare Ernst Leitz I. Tuttavia il progetto di Barnack rimase inattuato fino al primo dopoguerra, quando Ernst Leitz I, in un contesto di profonda crisi economica, fu costretto a scommettere su un prodotto nuovo e diverso per rilanciare la propria industria.

UR-Leica (1913)

Si tenga conto che, prima di allora, la Leitz non aveva mai prodotto una sola macchina fotografica nei suoi 50 anni di vita. O meglio, ne aveva prodotta una sola: la UR-Leica, il prototipo di Barnack. (Ad onor del vero le UR erano tre, le due già citate più la madre della UR-Leica, a cui va aggiunto il prototipo della Hand-Kamera 6x4,5). La decisione di gettarsi, senza nessuna esperienza, nel mercato delle macchine fotografiche, rischiando la sopravvivenza della Leitz, fu pertanto veramente coraggiosa. Se il tentativo non avesse avuto successo Leitz sarebbe fallita ed avrebbe fatto la fine di tutte le altre fabbriche di ottiche tedesche del primo dopoguerra: sarebbe stata rilevata a costo zero ed assorbita all’interno del gruppo Carl Zeiss. Non si pone mai mente al fatto che, la straordinaria caratteristica delle macchine Leica (meccanica perfetta, ma al tempo stesso estremamente semplice e pertanto affidabile e resistente) è frutto anche di questa drammatica scelta: essendo costretta a rischiare, Leitz pretendeva quantomeno il contenimento al minimo dei rischi. Niente colpi di teatro, niente originalità narcisistiche: navigare lungo la costa, ossia attenersi il più possibile a soluzioni semplici e di sperimentata efficacia. Come vedremo la politica di Zeiss Ikon sarà del tutto opposta. Una volta presa la decisione di produrre le fotocamere 35 mm vennero migliorati l’otturatore ed il contapose della UR-Leica; i tempi di scatto furono portati da 2 a 6 incluso Z (ossia il tempo T); inoltre la fotocamera fu dotata di un mirino galileiano e di un obiettivo progettato appositamente per il nuovo formato.
Barnack inventò la cassetta a tenuta di luce (Leica cassette), quello che noi oggi chiamiamo “rullino fotografico” e che prima della Leica non esisteva; la quale, pre-caricata in camera oscura con la pellicola cinematografica, permetteva di riavvolgere la pellicola esposta facendola rientrare nel rullino (Leica cassette), e di sostituirla alla luce del giorno con un'altra da esporre, consentendo in tal modo al fotografo grande autonomia senza aumentare le dimensioni della macchina. Il primo rullino fotografico industriale venne messo in commercio solo nel 1932 dalla Perutz, aveva solo 4 ASA. Questo significa che, tra il 1925 ed il 1932 il fotografo Leica doveva necessariamente prepararsi da solo le Leica cassette, in camera oscura, usando la pellicola cinematografica.  La vera novità introdotta da Barnack non fu tanto la fotocamera 35 mm, quanto piuttosto la Leica cassette (che evolverà nel rullino fotografico) e l’azione di riavvolgimento della pellicola all’interno dello stesso.

Leica casssette aperta (a sinistra) e chiusa (a destra) confrontata con un moderno rullino fotografico

Prima della Leica la fotocamera veniva caricata e svuotata della pellicola soltanto in camera oscura. Del resto è noto a chi usa una fotocamera medio formato (6x6) che, ancora oggi, la pellicola passa dal rocchetto (spool) cedente (take-out spool) a quello ricevente (take-up spool); e qui vi rimane, perchè non viene riavvolto. Quando si carica una nuova pellicola, il vecchio take-out spool ormai privo di pellicola, viene cambiato di posto, e diventa il nuovo take-up spool. Con la Leica invece, per la prima volta, la pellicola passa dalla Leica cassette (take-out cassette) [c] al rocchetto ricevente (take-up spool) [m]; una volta terminato il film la pellicola viene riavvolta all’interno della Leica cassette.

Vale la pensa di soffermarsi ancora sulla Leica cassette per descriverne il funzionamento e sottolineare come essa (inventata nel 1925) sia, ancora oggi, più efficiente dei rullini fotografici industriali che conosciamo. Una Leica cassette caricata di pellicola e pronta all’uso, si presenta con la coda di pellicola che fuoriesce dalla cassette, al pari dei rullini moderni. Questi ultimi tuttavia sono dotati di velluto per impedire alla luce di penetrare all’interno attraverso la feritoia da cui esce la pellicola. La Leica cassette invece non ha alcun velluto, bensì una feritoia per l’uscita della pellicola molto più larga. Lo stesso risultato di permettere alla pellicola di uscire, ma impedire alla luce di entrare, è ottenuto attraverso il movimento di due cilindri di ottone che scorrono uno all’interno dell’altro. Entrambi i cilindri presentano una larga feritoia da cui fuoriesce la pellicola quando le feritoie sono allineate. Quando invece non lo sono la luce non può entrare, ed un blocco meccanico impedisce al cilindro esterno di ruotare accidentalmente con il rischio di far combaciare le feritoie dei due cilindri. La base della Leica è progettata in maniera tale che, una volta posizionata nella sua sede, ruotando in senso orario (direzione “zu” chiuso) la leva che unisce la base al corpo macchina, viene automaticamente anche liberato il blocco meccanico della Leica cassette e contemporaneamente ruotato il cilindro esterno dello stesso sino a far coincidere le due feritoie. In questo modo la pellicola è libera di uscire dalla cassette attraverso l’ampia feritoia tra i due cilindri. Una volta esposta tutta la pellicola (avvolta nel take-up spool) e riavvolta nella Leica Cassette, quando si ruota in senso antiorario (direzione “auf” aperto) la leva alla base della Leica, lo stesso meccanismo fa ruotare automaticamente il cilindro esterno della cassette, in modo che la feritoia venga chiusa; e fa scattare il blocco di sicurezza, in modo che non possa riaprirsi accidentalmente. Rimossa la base della Leica la cassette può essere asportata in tutta sicurezza anche alla luce del sole. Per quale motivo questo sistema sarebbe migliore rispetto ai rullini industriali moderni? Perché nel rullini industriali la pellicola non fuoriesce mai liberamente dal rullino attraverso una ampia feritoia, bensì sfila attraverso il velluto che preme costantemente sulla pellicola. In questo modo tuttavia la delicata pellicola deve strusciare costantemente contro il velluto, il che significa che, in caso di presenze di impurità (polvere) sul velluto, queste graffieranno la pellicola lasciando un segno orizzontale molto visibile. Non solo: la pellicola deve passare due volte attraverso il velluto, la prima in uscita, e la seconda in entrata quando il rullino viene riavvolto. Usando la Leica cassette invece la pellicola non entra mai in contatto con la cassette; né in uscita, né in fase di riavvolgimento. E’ la stessa differenza che esiste tra far passare un foglio di carta sotto la fessura molto stretta di una porta chiusa, oppure attraverso una porta aperta. Ovviamente il secondo modo è migliore, perché assicura che il foglio non si sporchi durante il passaggio.



Leica 0 ("null serie") n. 107 (1923)
Queste camere non erano in vendita, furono donate a dei fotografi per testarle
questo esemplare, in un'asta del 2012 a Vienna, è stato venduto a € 2,16 milioni




Anche altre case produttrici di fotocamere adottarono il sistema delle cassette, e così abbiamo le Contax cassette, Nikon cassette (anche per la Nikon F reflex!), Kiev, Canon ecc.. Ognuna di queste cassette aveva una forma specifica, per non consentire l’utilizzo sulla fotocamera di un altro produttore. Ovviamente la colpa della incompatibilità non era di Leica (che fu la prima ad inventare la cassette) bensì dei suoi concorrenti, i quali copiarono servilmente la idea, ma rancorosamente impedirono l’uso delle Leica cassette nelle proprie fotocamere.

La scelta di riavvolgere la pellicola esposta nel medesimo rullino che lo conteneva, rese necessari un comando di sblocco ed un altro per riavvolgere la pellicola. Per comprendere sino a che punto Barnack abbia influito sulle nostre vite di fotografi è sufficiente porsi una domanda che avrete avuto anche voi: perché un rullino è lungo 36 pose (e non 30 o 40 o 45)? Non ho mai trovato una risposta. Una legenda tramandata nella fabbrica di Weltzar narra che, la lunghezza della pellicola da inserire nel rullino Leica cassette, venne stabilita da Barnack: corrispondeva esattamente alla lunghezza delle sue braccia aperte.
Probabilmente è una favola, ma non cambia il punto centrale del discorso: la lunghezza la decise Barnack da solo. Miliardi di fotografi hanno camminato mettendo i loro piedi nelle orme tracciate da Barnak.
Torniamo al debutto della Leica. Leitz produsse una preserie di 31 (teorici) pezzi di Leica 0 (null serie), leggermente diverse fra loro, le quali vennero sottoposte al giudizio di alcuni fotografi nel 1923. Hanno numeri di serie da 100 a 130. In realtà i pezzi realmente realizzati furono 22 e di essi ne sopravvivono oggi solo 17.
Inizia l'avventura

Leica I Anastigmat (1925)
La prima Leica venduta al pubblico aveva il numero 131. Questa riprodotta nella foto ha il n. 201
E' stata battuta all'asta per € 50.000,00

Nella primavera 1925 la Leica (LEItz CAmera) fu finalmente proposta al mercato in occasione della Fiera di Lipzia. La prima Leica I immessa sul mercato aveva il numero di serie 131.
La Leica I era una machina perfetta: Leitz aveva fatto centro con il primo colpo (l’unico che aveva in canna, perché non aveva risorse economiche per un secondo tentativo: sarebbe fallita).
La Leica I era equipaggiata con una ottica fissa, la lente Anastigmat 50/3.5 (5 lenti in 3 gruppi) progettata da un altro genio assoluto che all’epoca era dipendente della Leitz di Wetzlar: Max Berek (1886-1949).
albero genealogico delle prime Leica

E’ decisamente corretto affermare che tutta la fotografia che utilizziamo oggi (discendente dal formato 35 mm) è nata dalla mente di due sole persone: Oskar Barnack per quanto riguarda il corpo macchina e Max Berek per le ottiche. La lente 50 mm progettata da Beker per la camera di Barnack era nata quasi perfetta sin dall’origine. Lo schema ottico era un semplice 5 lenti in 3 gruppi. Si ispirava alla medesima politica industriale della Leica: prodotto semplice ed affidabile. Per renderlo perfetto andava tolta una lente, cosa che avvenne l’anno seguente (1926): nasce l’Elmar 4 lenti in 3 gruppi. Prima della invenzione del trattamento antiriflessi (1935), per tenere alta la qualità dell’ottica, era fondamentale ridurre al minimo il numero di passaggi aria-vetro. Elmar ne ha solo 6 (3 gruppi = 6 passaggi). Inoltre meno lenti significa minor peso e minori costi. Il miracolo di Berek è stato quello di mantenere comunque alta la qualità, pur sottraendo lenti.
Leitz Anastigmat 50/3,5 (1924 - 1925)                           Leitz Elmar 50/3,5 (1925 - 1961)Leitz Elmax 50/3,5 (1925)                                                                                                   

E’ importante notare i rapporti che da subito si instaurarono tra Leitz e Zeiss, concorrenti tra loro, ma entro determinati limiti.
Come abbiamo detto in precedenza il nome “Anastigmat” era stato ideato dalla Carl Zeiss ed attribuito ad una propria lente inventata nel 1890 (4 lenti in 2 gruppi, quindi uno schema ottico del tutto diverso rispetto alla lente di Berek). Tuttavia il nome “Anastigmat” non era stato registrato, e ciò per una precisa scelta di politica idealistica di Ernst Abbe, secondo il quale “la scienza è di tutti”. I produttori di lenti concorrenti della Carl Zeiss gentilmente ringraziarono ed approfittarono a mani basse di tale regalo di Abbe. Anche Leitz, in un primo momento, adottò il nome “Anastigmat” per la propria ottica (quantunque lo schema ottico fosse diverso rispetto a quello Zeiss); tuttavia pochissimo tempo dopo (nello stesso 1925, dopo sole 250 lenti fabbricate, in aggiunta alle 31 della Leica 0) lo abbandò a favore di un nome nuovo esclusivo: Elmax. Il nome è una fusione tra Ernst Leitz e MAX Berek. Ne vennero prodotti 800. Otticamente sono identici all'Anastigmat (5 lenti, 3 gruppi).
E’ controverso se tale scelta fu dettata da una forma di rispetto per il concorrente Zeiss, o se per elevarsi dal gregge degli imitatori di Zeiss. Sta di fatto che, quando (nel 1926) l’ottica venne modificata (da 5 a 4 lenti in 3 gruppi) cambiando nome in Elmar, le strade di Leitz e Zeiss si incrociarono nuovamente.
Il gruppo ottico a 4 lenti in 3 gruppi era stato infatti inventato da Paul Rudolph (dipendente Zeiss) e brevettato nel 1902 dalla Zeiss, che lo aveva denominato Tessar (dal greco “quattro” ad indicare appunto il numero di lenti). Allo scadere del brevetto, la Leitz si era affrettata a brevettarlo a nome proprio, denominandolo appunto Elmar. Il fornitore di Leitz per il vetro dell’Elmar era la berlinese Goërz, la quale nel 1925 aveva introdotto un nuovo tipo di vetro che aveva permesso a Leitz di passare, l’anno successivo, dall’Anastigmat/Elmax 5 lenti all’Elmar 4 lenti. Tuttavia poco dopo, nel 1926, la Goërz venne acquistata (in regime fallimentare) dalla Carl Zeiss ed inglobata per dare vita, come abbiamo visto, alla Zeiss Ikon. Carl Zeiss (Fondazione) decise di cancellare la produzione di vetri ottici della Goërz, per lasciare l’esclusiva all’altra propria controllata: la Schott. Come si vede Leitz si trovava a dover lavorare circondata da ogni parte dalla potenza monopolistica di Carl Zeiss, la quale aveva acquisito praticamente tutte le industrie tedesche legate all’ottica ed alla fotografia, tranne poche eccezioni come la Voigtländer e la Leitz, appunto. Leitz aveva l’assoluta necessità di approvviggionarsi di vetro per le proprie lenti, e l’unico fornitore rimasto era la Schott, controllata dalla concorrente Zeiss. La Schott fornì alla Leitz un vetro non perfettamente identico al precedente della Goërz, per cui Leitz dovette ricomputare lo schema ottico del proprio Elmar.
Se solo la Zeiss avesse voluto, avrebbe potuto utilizzare la propria posizione dominante per schiacciare la concorrente Leitz, semplicemente rifiutandosi di fornirle il vetro. Il monopolio della Carl Zeiss era tuttavia temperato dai “precetti morali” della fondazione Carl Zeiss voluta da Ernst Abbe, che continuava ad imporre i valori di questi determinando le politiche commerciali del colosso di Jena.
Leitz, era cosciente di sopravvivere solo grazie alla filantropia della Fondazione Zeiss. Per questo Leitz non tentò nemmeno di opporsi quando la Carl Zeiss brevettò nuovamente il “proprio” Tessar, malgrado fosse già attivo e vincolante il brevetto “Elmar” di Leitz per il medesimo schema ottico. Alcuni sostengono che, malgrado lo schema ottico di Elmar e Tessar fosse identico (4 lenti in 3 gruppi), Elmar non discenderebbe dal Tessar ma sarebbe il frutto di autonomi calcoli di Berek. Di certo Elmar, al contrario del Tessar, era stato computato, sin dall’origine, per l’uso con le fotocamere 35 mm. Per approfondire: link


Zeiss Tessar 50/3.5(1902)                                                             Leitz Elmar 50/3.5 (1926)
Potrà anche essere vero che Berek nel 1926 arrivò, per altra strada, allo stesso risultato a cui era giunto Paul Rudolph un quarto di secolo prima (1902); tuttavia resta il fatto che si tratta di ottiche identiche, per cui la presunta differenza tra le due lenti assomiglia molto ad una via di uscita diplomatica, visto che la strada alternativa (fare la guerra alla Carl Zeiss) era semplicemente impossibile. A mio avviso anche immorale, dal momento che è indubbio che la grandiosa invenzione dello schema ottico di 4 lenti in 3 gruppi, è indiscutibilmente merito della Carl Zeiss.
Ci siamo dilungati su queste vicende perché altrimenti non si sarebbe colto il vero significato della “concorrenza” tra Zeiss e Leitz. Una concorrenza serrata, ma all’interno di precisi limiti di rispetto reciproco, tra due competitori molto diversi per mentalità, disponibilità economica e dimensioni.

Conclusioni

La Carl Zeiss di Jena e la Ernst Leitz di Wetzlar rappresentano due modi del tutto antitetici di pensare; quantunque, entrambi i modi, siano propriamente tedeschi.
Il primo metodo, quello Leitz, consiste nello sforzo intellettuale di una sola persona, la quale parte da un problema o da una esigenza, ed isolandosi dal mondo, con l’impegno ed il genio, arriva a trovare la soluzione. Una soluzione bella ed efficace nella sua apparente semplicità. E’ un modo di ragionare questo che noi italiani possiamo comprendere bene: lo riconsociamo nei grandi geni del Rinascimento (Michelangelo, Raffaello, Leonardo) o negli scienziati contemporanei (Meucci, Marconi, Fermi).
Il secondo metodo, quello di Zeiss, si basa invece sull’orgoglio della appartenenza ad un gruppo che, a torto o a ragione, si sente superiore e si specchia (in maniera anche narcisistica) nella propria bravura, prefissandosi traguardi ulteriori rispetto alla semplice soluzione del problema; per potersi cingere il capo con l’alloro della “supplementare complicazione aggiunta”. E’ difficile da comprendere, se non ci si immerge nel modo di pensare tedesco: per risolvere il problema in maniera semplice è sufficiente il singolo; ma noi siamo tedeschi, dobbiamo fare di più: il problema va superato con una soluzione più “complicata” rispetto a quella banalmente efficiente.
Questi due modi opposti di ragionare li ritroviamo, rispettivamente, negli otturatori delle Leica e delle Contax.

2 – Caratteristiche oggettive della Contax II/III e della Leica II/III

Prima di introdurre le misure delle Contax e delle Leica, sarà opportuno parlare di come, le due diverse filosofie citate nel capitolo precedente, abbiano influenzato le Leica e le Contax.
Le Leica a vite sono tutte figlie di un unico padre: l’ing. Oskar Barnack. I modelli successivi alla Leica I sono dei meri perfezionamenti dell’idea originaria, la quale è stata fedelmente conservata. La Leica I corrisponde in pieno alla mia (non solo mia) definizione di una macchina fotografica: “una scatola metallica, a tenuta di luce, dotata di un otturatore, di una manopola per avanzamento pellicola e di un buco dove inserire le lenti”. Niente telemetro, esposimetro, vano batterie, specchi, fili elettrici, chips, circuiti stampati, centraline, led, porte USB e display. Occorre accettare una banale verità: la fotocamera è un apparecchio meccanico semplice e tecnologicamente povero. Se proprio volete aggiungere qualcosa, dotatelo di un buon telemetro e basta. Già l’esposimetro è di troppo, e quindi di danno.
Le qualità di un corpo macchina vanno ricercate altrove, non già nella quantità di orpelli infilati ovunque, bensì nella robustezza del corpo ed affidabilità del funzionamento.
Moltissime imprese hanno tentato di entrare nel mercato delle macchine fotografiche con l’idea di aggiungere un quid pluris, un qualcosa in più che le altre camere non avevano. Per farlo hanno sempre ingaggiato ingegneri ed operai provenienti dall’industria orologiera. Errore fatale che ha infallibilmente condotto tali tentativi all’insuccesso: una macchina fotografica è molto diversa rispetto ad un orologio; direi anzi che sono due oggetti antitetici. In orologiera si cerca la miniatura, la complicazione, la cosa in più; ovviamente inutile, ma che altri orologi non hanno. In fotografia si cerca solo robustezza ed affidabilità portate agli estremi.
La Leica I, quintessenza della semplicità ed affidabilità, era equipaggiata con un otturatore altrettanto semplice ed affidabile. Un otturatore a tendine di stoffa a scorrimento verticale.

Questo otturatore non si rompe praticamente mai. Se qualche accidente può occorrere ad esso riguarda le tendine, che possono (caso raro) strapparsi. E' altresì possibile che le tendine possano prendere fuoco, se si lascia la macchina al sole con la lente priva di tappo (la lente concentra i raggi di luce in un solo punto: la tendina appunto. In tal modo la “messa a fuoco” diventava letterale).
Inoltre, con il freddo invernale le tendine si irrigidiscono e possono spaccarsi. Con il caldo eccessivo, al contrario, la gomma delle tendine può squagliarsi. La sostituzione delle tendine di una Leica è operazione relativamente facile, comunque alla portata di un qualsiasi riparatore degno di questo nome, ed a costi ragionevoli.
Le Contax a telemetro, al contrario, sono il frutto di ostentazione della bravura teutonica.

Otturatore a tendine di stoffa, a scorrimento orizzontale, della Leica
Il più classico esempio del secondo modo di ragionare. La più grande fabbrica mondiale di apparecchi fotografici (Zeiss Ikon), si cimentava per la prima volta nella costruzione di una 35 mm. Non si trattava solo di creare una scatola di metallo a tenuta di luce dotata di otturatore. No, si trattava di creare un gioiello di meccanica, una fotocamera che si ponesse all’apice, ad un livello di complicazione e perfezione tale che, nessuno prima e nessuno dopo, sarebbe mai riuscito nemmeno ad avvicinarvisi. Zeiss Ikon, affidò il progetto ad un team di ingegneri, ognuno dei quali 
Otturatore a tendine metalliche, a scorrimento verticale, della Contax
eccellente nel campo specifico di sua competenza, coordinati dall’ing. Heinz Küppenbender.
La parte più complessa di una fotocamera è, evidentemente, l’otturatore. Sull’otturatore il team di ingegneri Zeiss ha inserito il maggior numero di complicazioni. Il motto di Oskar Barnack era: “fai la cosa semplice”. Quello di Heinz Küppenbender era: “fai il contrario di quel che ha fatto Oskar Barnack”. Se le tendine dell’otturatore di Barnack erano di stoffa, allora quelle della Contax dovevano essere di metallo. Se le tendine di Barnack scorrevano orizzontalmente, allora quelle della Contax dovettero scorrere in verticale. Se con la Leica si metteva a fuoco ruotando, con la mano sinistra, la lente dell'obiettivo; nella Contax la messa a fuoco doveva avvenire con la mano destra e ruotando una piccola rotellina vicino al pulsante di scatto. Se si aziona questa rotellina con l'indice, tuttavia, il dito medio della mano destra andrà a coprire la finestrella del telemetro, impedendo la messa a fuoco. per questo motivo, le istruzioni Contax esortavano il fotografo a muovere la rotellina con il dito medio, ed a scattare con l'indice. Postura totalmente innaturale, tanto che, ovviamente, i fotografi Contax se ne infischiavano della rotellina e mettevano a fuoco come i leicisti, ossia girando la lente con l'indice ed il pollice della mano sinistra. 
Se l’otturatore di Barnack si arma ruotando un pomello parallelo all’otturatore e posto sulla parte superiore della camera, allora il pomello della Contax deve essere perpendicolare e posto nella parte anteriore. Si trattava di un posto idiota dove collocare il pomello di avanzamento, ma a Küppenbender non importava, l’essenziale è che fosse diverso dal posto scelto da Barnack.
Il pomello per l'avanzamento della pellicola sulla Leica e sulla Contax I
Nella Contax II e III il pomello sarà spostato nell'unico posto logico dove deve stare: quello scelto da Barnack

Si arrivò al parossismo estremo con la take-up cassette Contax. Abbiamo detto che Barnack aveva inventato il rullino di metallo (Leica cassette) che conteneva la pellicola, e l’azione di riavvolgimento della pellicola esposta, nel medesimo rullino, una volta terminato il film. Si trattava pertanto di una take-out cassette. Gli ingegneri Zeiss Ikon non potevano prescindere dal rullino di metallo di Barnack, ma per distinguersi in qualche modo “re-inventarono” il procedimento di “non-riavvolgimento” della pellicola esposta nel rullino da cui era uscita. Per ottenere questo risultato inventarono un secondo rullino di metallo, ricevente la pellicola esposta (take-up cassette), e dal quale la pellicola non doveva più uscire per rientrare nel rullino originario (take-out cassette, ossia la Leica cassette di Barnack). Pertanto, se un fotografo Leica andava a fotografare portandosi dietro 3 Leica cassette (tre rullini), il fotografo Contax doveva portarsi dietro 6 Contax cassette: 3 take-out cassette ed altre 3 take-up cassette per contenere la pellicola esposta. In realtà le Contax cassette non si dividevano tra take-out e take-up, tutte erano uguali e potevano essere utilizzate per l’una o l’altra funzione. Tutto questo ingombro e confusione di cassette solo per evitare l’azione di riavvolgimento della pellicola. Solo per non fare come Barnack. Non vi erano altri vantaggi.
Poiché si trattava di un assurdo, quantunque le istruzioni della fotocamera Contax consigliassero l’uso della take-up cassette, tuttavia le Contax erano comunque dotate di meccanismo di sblocco e riavvolgimento della pellicola.


Esisteva, certamente, l’esigenza di evitare di violare i numerosi brevetti della Leica, ma questo appare in molti casi solo un pretesto degli ingegneri Zeiss Ikon per introdurre complicazioni. Il motivo vero era un altro: progettare un otturatore a tendina è troppo semplice, noi tedeschi sappiamo fare cose molto, ma molto più complicate.
Si tratta di una classica applicazione del modo di ragionare tedesco del secondo tipo.
Il punto debole di questo ragionamento è che esistono alcune cose che sono semplici (come suonare il campanello di una porta) che devono restare semplici. Complicarle artificiosamente, non solo non porta alcun vantaggio (suonare il campanello con il naso), ma allontandosi dalla strada più semplice, quasi certamente recherà un danno. E’ quello che è accaduto purtroppo agli otturatori Contax.
Gli otturatori Contax presentano due gravi problemi:
1 – le tendine (curtains) sono state progettate come una piccola saracinesca di un negozio, una serie di lamelle metalliche agganciate tra di loro e poggianti su una guida: due nastri di stoffa (silk belts o ribbons).
Sono ben visibili le tendine a "saracinesca", i due nastri di seta e la grande molla intorno alla quale si avvolge la tendina, quando viene premuto il pulsante di scatto
le lamelle metalliche della tendina si agganciano una all'altra
le due tendine metalliche poggiano sui due nastri di seta

Questa stoffa è fatta con una seta (silk tape) molto particolare, che era fornita alla Zeiss Ikon da una fabbrica giapponese, oggi chiusa da decenni (maggiori informazioni qui). La seta in questione, per quanto molto resistente, è inesorabilmente destinata a rompersi a causa dell’usura derivante dall’attrito durante lo scorrimento. In effetti Zeiss Ikon aveva previsto una sostituzione di tali nastri di seta ogni 10 / 20 anni. Non si tratta di un errore di progettazione, bensì di manutenzione ordinaria programmata. Il punto è che, tale sostituzione dei nastri di seta, può essere effettuata esclusivamente da un riparatore altamente specializzato (e pertanto è una operazione costosa, quantunque di manutenzione ordinaria).
le frecce indicano il punto dove si è spezzato il nastro di seta. Di fatto non esiste soluzione a questo problema.
Gli unici riparatori che hanno le competenze ed il materiale per sostituire i nastri di seta, infatti chiedono per la riparazione delle somme molto superiori al costo di una Contax II funzionante.

La notizia peggiore è che, da molti decenni, questa operazione non è più possibile tout court, a causa della mancanza di nastri di seta nuovi. Si è tentato di sostituire tali nastri di seta con altri materiali, ad esempio il naylon, ma i risultati sono stati insoddisfacenti. Né è possibile usare i nastri delle Kiev sulle Contax, in quanto essi sono molto più spessi e non scorrono affatto nelle Contax.
Questo riparatore offre tuttavia tale servizio, a dei prezzi che non oso immaginare.
In sostanza, tutti i nastri di seta, di tutte le Contax, prima o poi si spezzeranno e le Contax rimarrano mute per sempre. Al pari di tutte le stelle del firmamento che, presto o tardi, si spegneranno.
Molto poetico. Troppo, per i miei gusti.
2 – Il secondo problema è dato dalla irrimediabile delicatezza dell’otturatore, a sua volta figlio della complicazione artificiosa del meccanismo. Basti pensare che Zeiss Ikon, nei propri annunci pubblicitari degli anni ‘30, menava vanto del fatto che, per costruire una Contax III, erano necessarie 22.000 misurazioni. Ecco cosa intendevo dire per “specchiarsi, in maniera narcisistica, nella propria bravura” senza alcun vantaggio, ma anzi cagionando danni. E’ facile immaginare cosa accade se, a causa di un qualche urto, un migliaio di quelle 22.000 misurazioni iniziano ad essere sballate.

Contax II vista ai raggi X

Zeiss Ikon raccomanda continuamente di non trattare male le proprie Contax. Viene citato l’esempio nefasto di una Contax gettata sul sedile posteriore di una automobile. Le accelerazioni e brusche decelerazioni, con annessi contraccolpi, possono essere fatali per l’otturatore della Contax (link)
La domanda sorge spontanea: un oggetto tanto delicato può essere definito come la migliore macchina fotografica meccanica mai costruita al Mondo in qualsiasi epoca?
Forse sarà la migliore macchina da tenere in vetrina, non certo la migliore per essere usata.
Con questo si anticipa il tema del capitolo 4: collezionista o utilizzatore?
Ma davvero le cose stanno in questi termini?
Dopo tutto Robert Capa ha usato la sua Contax II per documentare la guerra civile spagnola, la guerra di resistenza cinese contro i giapponesi, la seconda guerra mondiale (tra cui lo sbarco in Normandia) e la guerra di Indocina. Forse la Contax II non è tanto fragile quanto asserisce la stessa Zeiss Ikon.
Passimo ai dati oggettivi
Misure
La Leica II (senza ottica) misura        13,4 x 6,7 x 2,9 cm
La Contax II (senza ottica) misura     13,9 x 8,5 x 4,3 cm
La Leica II pesa          solo corpo 409 gr.      con Elmar 50/3.5   520 gr.
La Contax II pesa       solo corpo 586 gr.      con Sonnar 50/1.5 prebellico 779 gr. 
                                                                      con Sonnar 50/1.5 postbellico 753 gr
La differenza di 259 gr (o 233 gr) si avverte parecchio durante le lunghe camminate a piedi.

3 – Panoramica di dati oggettivi, puramente numerici,
o quantomeno oramai assolutamente pacifici tra gli addetti ai lavori

I numeri parlano e dicono molte cose, a chi sa farli parlare.

Prezzi

Per ogni prezzo indicherò la quantità in marchi tedeschi (RM anteguerra o DEM postguerra) riferita all’anno di vendita, e tra parentesi il prezzo in Euro 2015. Tale valore è ottenuto partendo dal prezzo (USD) di vendita dell’epoca in USA, attualizzato in USD 2015 e poi convertito in Euro (calcolato ad un cambio 1 EUR = 1,07 USD). Il prezzo 2015 pertanto si riferisce a quanto sarebbe costato acquistare in USA nell’anno indicato, con dollari 2015, convertiti in euro. Indicherò anche in grassetto il valore attuale in euro delle fotocamere usate valutato da questo sito (questo è un esempio Leica I). Cercando bene si possono tuttavia spuntare prezzi anche molto inferiori, la indicazione omogenea è comunque utile per un raffronto.
I prezzi in Euro 2015 vi appariranno bassi, appunto perché derivanti dal dollaro USA. Se tuttavia si parte dal presupposto che, nel 1932, anno di introduzione della Leica II e della Contax I, lo stipendio medio mensile di un operaio tedesco era di 80 RM (corrispondenti ad € 443,5 secondo lo schema di cui sopra), considerando che lo stipendio medio di un operaio tedesco nel 2015 è pari almeno al quintuplo di € 443,5 (ossia € 2.217,33), per comprendere correttamente le cifre fornite occorrerebbe moltiplicare per 5 tutti i valori Euro 2015 riferiti all’anno 1932. Solo in questo modo si comprende come mai, una Contax con obiettivo, nel 1932 costasse in Giappone (tra dazi doganali altissimi e cambio sfavorevole) quanto un appartamento.
La Leica II con Elmar 50/3.5 costava 240 RM (€ 1.358,12)
La Contax I con Tessar 50/3.5 costava 245 RM (€ 1.386,55)
Sin da subito la Contax I fu offerta con altri tre obiettivi normali:
Contax I + Tessar 50/2.8 per 270 RM (€ 1.528,04)
Contax I + Sonnar 50/2.0 per 320 RM (€ 1.811,01)
Contax I + Sonnar 50/1.5 per 470 RM (€ 2.659,92)
Le lenti 50 mm si vendevano esclusivamente abbinate al corpo macchina, tuttavia possiamo ricavare il costo 1932 delle sole lenti attraverso dei facili ed affidabili calcoli. Ad esse aggiungiamo le altre due lenti disponibili per la Contax già dal suo lancio:
Tessar 50/3.5 costava 75 RM (€ 424,66)
Tessar 50/2.8 100 RM (€ 565,94)
Sonnar 50/2.0 150 RM (€ 848,91)
Sonnar 50/1.5 300 RM (€ 1.697,82)
Triotar 85/4    150 RM (€ 848,91)
Sonnar 135/4  190 RM (€ 1.075,29)
Già nel 1933 le lenti diventeranno dieci, alle 6 iniziali si aggiunsero
Tessar 28/8  115 RM (€ 979,54)
Biotar 40/2   175 RM (€ 1.490,25)
Sonnar 85/2  330 RM (€ 2.810,85)
Tele-Tessar K 180/6.3   265 RM (€ 2.257,20)
nel 1934 dodici
Tele-Tessar 300/8  491 RM  (€ 5.276,44)
Telephoto 500/8    580 RM  (€ 6.232,86)
Nel 1936 quattordici con l’aggiunta di due lenti eccezionali la cui fama dura ancora oggi
Biogon 35/2.8        230 RM  (€ 2.263,71)
Sonnar 180/2.8 (Olympia Sonnar)   660 RM  (€ 6.495,86)
e nel 1937 quindici
Orthometar 35/4.5   160 RM  (€ 1.518,86)
Questi numeri già dicono molto. Zeiss Ikon ha subito giocato le proprie carte migliori: il suo principale punto di forza era costituito dalla casa madre Carl Zeiss la quale era, di gran lunga, il più grande e migliore produttore mondiale di lenti fotografiche.
Gli addetti ai lavori concordano nel sostenere che la qualità dell’Elmar e del Tessar, entrambi 50/3.5 ed entrambi dotati di uno schema ottico identico (4 lenti in 3 gruppi), è praticamente uguale e molto alta. Anche il prezzo (1932) era assolutamente identico Tessar 50/3.5 = 515 Lire; Elmar 50/3.5 = 513 Lire pari a 75 RM (€ 424,46). Tuttavia l’ottica Elmar 50/3.5 era la lente migliore che Leitz fosse in grado di produrre prima della guerra: era il suo punto di arrivo.  Al contrario il Tessar 50/3.5 era, per Zeiss, il semplice punto di partenza, il prodotto più economico. In aggiunta a tale lente “commerciale” Zeiss poteva offrire al mercato altre tre lenti 50 mm, tra cui i due Sonnar, nettamente superiori a qualsiasi altra lente fotografica dell’epoca. Se poi ci si spostava dalle lenti normali (50 mm) alle altre focali, siano esse grandangolari o teleobiettivi, il confronto tra i due parchi di ottiche diviene impietoso. Nessuna lente Leitz diversa dall’Elmar 50/3.5 può avvicinarsi alla qualità delle lenti Carl Zeiss.
Zeiss Ikon (controllata dalla Carl Zeiss Jena) pertanto aggrediva la posizione di Leitz (monopolista nel solo settore 35 mm), offrendo un prodotto entry level (camera e lente) allo stesso livello qualitativo, ed allo stesso prezzo di Leica. Tuttavia, per chi poteva spendere, si aprivano, sin dal lancio della Contax I, possibilità qualitative di gran lunga superiori.
Nel 1936 Zeiss Ikon lanciava due nuovi modelli: la Contax II e la Contax III. Si trattò di un anno di svolta, non è un caso che contemporaneamente Carl Zeiss rese disponibili per le Contax anche le due lenti eccezionali di cui abbiamo parlato: un grandangolare (Biogon 35/2.8 € 2.263,71) ed un tele (Olympia Sonnar 180/2.8 € 6.495,86)
La Contax II era offerta ai seguenti prezzi:
Contax II + Tessar 50/3.5 per 360 RM  (€ 2.891,15)
Contax II + Tessar 50/2.8 per 385 RM  (€ 3.167,96)
Contax II + Sonnar 50/2.0 per 450 RM (€ 3.583,18)
Contax II + Sonnar 50/1.5 per 585 RM (€ 4.921,11)
La Contax III era offerta ai seguenti prezzi:
Contax III + Tessar 50/3.5 per 470 RM (€ 3.660,08)
Contax III + Tessar 50/2.8 per 495 RM (€ 3.936,89)
Contax III + Sonnar 50/2.0 per 560 RM (€ 4.352,11)
Contax III + Sonnar 50/1.5 per 695 RM (€ 5.690,03)
Poiché ci sono noti i prezzi 1936 delle sole lenti
Tessar 50/3.5 = 75 RM (€ 761,23);
Tessar 50/2.8 = 100 RM (€ 945,78)
Sonnar 50/2.0 = 165 RM (€ 1.683,94)
Sonnar 50/1.5 = 300 RM (€ 2.960,36)
possiamo ricavare i prezzi (solo teorici) dei corpi macchina delle diverse Contax.
Contax I = 1932: 170 RM (€ 962,00) 1936: 97 RM (€ 1.491,71)  prezzo usato 2015 € 1.700,00 circa a seconda delle versioni       
Contax II = 285 RM  (€ 2.152,99)   € 270,00        
Contax III = 395 RM  (€ 2.921,91)   € 270,00
Una Contax III costava dunque 110 RM (€ 768,92) in più rispetto ad una II, ma era possibile, dopo l’acquisto, chiedere a Zeiss Ikon di trasformare una Contax II in III al prezzo di 120 RM (€ 838,82).
In realtà questa trasformazione non era integrale al 100%, perché la Contax III non si differenziava solo per la presenza dell’esposimetro: era più complessa ed avanzata tecnologicamente di una II.
Nel 1936 il Sonnar 50/1.5, da solo, costava più di una Contax II; costava come tre Contax I ed esattamente il quadruplo del Tessar 50/3.5 o dell’Elmar 50/3.5 o dello stipendio di un operaio. Questo rende l’idea di quanto fosse stimata quella lente, sin dal suo debutto.
Se nel 1936 il Sonnar valeva il triplo della Contax I, oggi una Contax I (€ 1.700,00) vale 10 volte un Sonnar 50/1.5 non coated (€ 170,00). Tuttavia questo dipende esclusivamente dal fatto che le Contax I sono molto rare. Se dovessimo attenerci alla validità del prodotto, è indubbio che oggi un Sonnar può essere utilizzato traendone ottime fotografie, mentre una Contax I è buona solo per stare chiusa in vetrina.
Nel 1936 la Leica IIIa + Elmar 50/3.5 costava 268 RM (€ 2.699,00). Considerando che l’Elmar da solo era venduto a 75 RM (€ 761,23) ne ricaviamo un costo (teorico) del solo corpo
Leica IIIa cromata = 193 RM (€ 1.937,69)     € 700,00
Si noti che, all’epoca, un medesimo modello di fotocamera, costava sensibilmente di più se aveva la finitura cromata rispetto a quella nera (considerata meno lussuosa). Oggi è vero il contrario: la stessa Leica IIIa in versione nera vale € 2.600,00 (il quadruplo della versione cromata).
La Leica II nera nel 1936 costava invece 175 RM (€ 1.245,66)      € 900,00
In calce a questo articolo riporto tutti i prezzi minimi e massimi di tutte le fotocamere dell'epoca.

Vendite

La Contax I venne prodotta dal ‘32 al ‘38 in 36.700 esemplari.
La Leica II venne prodotta dal ‘32 al ‘48 in 53.674 esemplari. Dal ‘32 al ‘38 in 49.349. In realtà il 55% di Leica II (29.801 pezzi) vennero venduti nel solo anno di debutto (1932). Già dall’anno successivo il vero competitor della Contax I fu la Leica III.
Già questi numeri offrono spunti di riflessione. La Leica II venne prodotta in un periodo temporale molto maggiore rispetto alla Contax I (16 anni contro 6). Il motivo va ricercato nel fatto che, quando la Leica II venne immessa sul mercato (1932) essa rappresentava il Top della gamma offerta da Leitz. Contemporaneamente veniva immessa sul mercato la Leica Standard, la quale non era un nuovo modello di Leica I; bensì una Leica II priva di telemetro ma con la possibilità di montarlo in un secondo momento, ottenendo in tal modo una Leica II perfettamente identica a quelle “nativa”. Idem, la Leica III venne introdotta nel 1933 per rispondere alla concorrenza della Contax I che aveva introdotto i tempi di scatto lenti. La Leica II occupò il vertice della gamma per un solo anno, tuttavia rimase in produzione per ulteriori 15 anni. La introduzione della Leica III non comportò il pensionamento della II, perché la II andò ad occupare una fetta di mercato intermedia tra la Leica Standard e la III; essendo sempre possibile, per l’acquirente della II, chiedere l’upgrade alla III. La politica commerciale di Leitz era pertanto quella di diversificare la gamma di fotocamere proposte, per permettere l’acquisto delle camere Leica anche a consumatori con disponibilità economiche (relativamente) inferiori, lasciando tuttavia immutata la fama di qualità eccelsa e promettendo sempre la possibilità dell’upgrade al modello Top di gamma. Lo stesso non avvenne per le Contax per due ordini di motivi. Il primo: al contrario di Leica (unica marca di fotocamere di Leitz) le camere Contax non erano le sole fotocamere prodotte dalla Zeiss Ikon: esse erano i modelli di punta. Ai consumatori con minori disponibilità economiche Zeiss Ikon offriva una vastissima (anche eccessiva) scelta di altri modelli a medio formato (6x6). Il neo era piuttosto costituito dal fatto che Contax era l’unica fotocamera 35 mm prodotta da Zeiss Ikon. Contax era nata, e doveva restare, la gamma di punta per clienti che chiedevano solo il meglio.
Il secondo motivo era costituito dal fatto che la Contax II non rappresentava l’upgrade della Contax I, bensì la totale ri-progettazione di questa, facendo tesoro dei moltissimi errori commessi nella progettazione della prima. In questo modo, dai numeri oggettivi, ricaviamo dei giudizi che non sono semplici opinioni, ma dati incontrovertibili: la Contax I fu un fiasco dal punto di vista, non tanto commerciale, quanto di affidabilità meccanica. Quando una Contax I, dopo la vendita, tornava in fabbrica per la riparazione, le veniva aggiunta una "A" incisa accanto al numero di serie. Ebbene tra le prime 9.000 Contax I prodotte, sono rarissime quelle prive di questa "A". Inoltre, in sei anni di produzione, si contano ben 8 varianti della Contax I (ma potrebbero essere di più), ossia modifiche apportate mentre il prodotto era fabbricato e commercializzato. Per il collezionista odierno queste varianti danno sapore, ma per il consumatore dell’epoca doveva essere molto frustante constatare che il proprio status symbol, la Contax appena acquistata, era già stata superata da un modello modificato, e pertanto era divenuta vecchia. 
Il motivo di tale continuo rimaneggiamento è da ricercarsi nel fatto che la Contax I era stata immessa sul mercato troppo presto, senza farla precedere dai necessari test. Probabilmente l’introduzione della Leica II aveva imposto a Zeiss Ikon tale accelerazione, la quale tuttavia aveva un costo in termini di affidabilità. Inoltre la Contax I aveva due gravi pecche: 1) l’otturatore a saracinesca metallica verticale era assurdamente complesso e pertanto delicato e quindi soggetto a continue rotture. Questo difetto verrà solo in parte risolto negli otturatori successivi (completamente ridisegnati) che equipaggeranno le Contax II e III; nonché le IIa e IIIa del dopoguerra. Nondimeno la inaffidabilità dell’otturatore sarà sempre il punto debole di tutte le Contax a telemetro. 2) la Contax I presentava una serie di soluzioni molto originali. Tanto originali da non essere assolutamente pratiche. Ci si riferisce alla idea bislacca di posizionare la ruota di avanzamento della pellicola, che arma anche l’otturatore, nella parte frontale anteriore, invece che nel posto più ovvio, ossia dove la aveva posta Barnack e dove la porranno tutti i costruttori di fotocamere: nella parte superiore della camera.
Con tutti questi difetti, ci si stupisce dell’elevato numero di Contax I vendute (37.000 unità in sei anni). A mio avviso, al risultato contribuì molto il prezzo di vendita relativamente basso (170 RM € 962,10) vistosamente finalizzato ad aggredire il mercato Leica (la Leica II costava 165 RM € 933,80), ma probabilmente insufficiente a coprire i costi di produzione. E’ probabile che Zeiss Ikon abbia adottato una politica di jumping ai danni di Leica, ossia produrre in perdita per espellere il concorrente più debole dal mercato. Questa convinzione è supportata dal prezzo di vendita, assai più alto, delle Contax II (285 RM € 2.152,99) e III (395 RM € 2.921,91) uscite nel 1936, ossia 4 anni dopo la Contax I, la cui produzione cesserà 2 anni dopo nel 1938.
La Contax II venne prodotta dal ‘36 al ‘41, ed in modo discontinuo sino al 1943. In totale gli esemplari prodotti furono 59.500
La Contax III venne prodotta dal ‘36 al ‘41, ed in modo discontinuo sino al 1943. In totale gli esemplari prodotti furono 38.000
Nello stesso periodo di tempo (1932 – 1941) la Leitz non produsse solo la Leica II (1932-48) in 53.249 esemplari entro il ‘41 (su 53.674 totali), bensì molti altri modelli:
Leica I (1931- 33) 7.231 esemplari;
Leica Standard (1931-50) 34.556 esemplari circa entro il ‘41 (su 35.706 totali);
Leica III (1933-39) 76.457 esemplari;
Leica IIIa (1935-50) 90.410 esemplari circa entro il ‘41 (su 92.687 totali);
Leica IIIb (1938-46) 30.250 esemplari circa entro il ‘41 (su 30.850 totali);
Leica IIIc (1940-51) 16.900 esemplari circa entro il ‘41 (su 138.228 totali);
Leica IIId (1940-45) 100 esemplari circa entro il ‘41 (su 427 totali);
Dunque, nel periodo prebellico e bellico (1932-1941) la produzione totale fu la seguente
Contax                      134.200 esemplari
Leica                          309.153 esemplari  (dal 1925 al 1941: 390.000 esemplari)
Il rapporto è di circa 1 Contax venduta ogni 2,3 Leica.

Conclusioni per il periodo anteguerra

Leica e Contax erano fotocamere costose, molto costose. Si pensi solo al fatto che in Giappone, vuoi per gli altissimi dazi doganali, vuoi per il cambio molto sfavorevole, una Contax III con Sonnar 50 1.5 costava negli anni ‘30 l’equivalente di un appartamento.
In Europa queste fotocamere costavano meno, ma si trattava pur sempre di prezzi inaccessibili, anche per le classi medio alte. Leica e Contax avevano due ben distinti tipi di utilizzatori: i fotografi professionisti ed i ricchi, i quali spesso viaggiavano per l’Europa e per il Mondo, portandosi dietro le proprie fotocamere d’elite, da sfoggiare agli altri membri del jet set internazionale, che come loro erano inclusi in quel circolo ristretto ed abbiente.
Occorre ricordare che le Leica I erano (di fatto) le prime fotocamere 35 mm della storia, e vennero commercializzate a partire dal 1925. Questo significa che, quando la Contax I si affacciò (per seconda) sul mercato delle 35 mm, si trovò a fronteggiare un prodotto che da ben sette anni riscuoteva l’ammirazione unanime di tutti i fotografi, sia che potessero permettersi una Leica, sia che non potessero. La Leica era monopolista assoluta nel campo dei 35 mm, questo comportava che infallibilmente, tutti i fotografi professionisti del Mondo, o erano leicisti, oppure dovevano usare macchine mezzo formato. Non c’era possibilità di scelta, tanto che, nel gergo tecnico fotografico, non v’era differenza alcuna tra dire “formato Leica” e “formato 35 mm” (o “piccolo formato”, o “microcamere”). Quando nel 1932 Zeiss Ikon introdusse la Contax I i professionisti cominciano a differenziarsi tra fotografi Contax e Leica. Questa divisione si accentua a partire dal 1936 con l’introduzione della Contax II. La Contax III invece non fu mai la fotocamera di un professionista perché l’esposimetro è un accessorio che ai primi professionisti serviva assai poco; e se per averlo dovevano in aggiunta pagare un prezzo superiore in peso, denaro ed estetica, ovviamente la opzione era esclusa. Da notare che un quarto di secolo dopo, negli anni ‘60, i professionisti continuarono a fare la stessa scelta in materia di Reflex: tra una Nikon F nera con pentaprisma privo di esposimetro (eye level) ed una dotata di Photomic (ossia con esposimetro) ma che rendeva la Nikon F più pesante, più cara e più brutta, continuarono a scegliere il modello senza esposimetro.
Il ruolo giocato dai professionisti nel successo di una marca e di un modello non sarà mai sufficientemente evidenziato. I professionisti operano la scelta di una macchina fotografica sulla base di esigenze meramente pratiche; tra queste (nell’ordine) sono importantissime: a) la varietà e qualità di ottiche a corredo del corpo macchina; b) la robustezza ed affidabilità del corpo macchina anche in circostanze estreme; c) il peso dell’attrezzatura da portarsi dietro; d) la varietà e qualità degli accessori, per gli usi più specifici e settoriali ed in ultimo e) il prezzo.
Una volta effettuata la scelta, il professionista non cambierà marca a meno che non sopraggiungano motivi importantissimi.
Il fotoamatore d’elite, il ricco che considera la propria fotocamera come status symbol, seguiva (all’epoca) e segue ancora oggi, essenzialmente il marchio. Vuole la fotocamera con il marchio maggiormente prestigioso; il resto (peso dell’attrezzatura e costo) viene molto dopo.
Ciò che rende un marchio prestigioso è principalmente il fatto di essere stato adottato dai più famosi fotografi professionisti. Da questo si comprende l’importanza vitale, per una casa produttrice di macchine fotografiche, di conquistare il settore professionistico.
Due casi esemplari, di due fotografi colleghi ed amici (entrambi fondatori dell’agenzia Magnum).


Henri Cartier-Bresson (1908-2004). Di nessuno, più di lui, può dirsi che abbia fotografato tutto il '900. Un secolo incredibilmente complesso, iniziato con la Regina Vittoria e terminato con l' 11 settembre. Per tutta la vita HCB ha scattato fotografie con la sua Leica I ad ottica fissa (Elmar 50/3.5) del 1929 numero di serie 20502. Non ha mai avuto bisogno di cambiare, e nemmeno di usare una lente Leica diversa rispetto a quella fissa della sua camera (Elmar 50/3.5). (Ad onor del vero, in età avanzata utilizzò anche una Leica M3). Il motivo lo spiega lui stesso: “È sufficiente che un fotografo si senta a suo agio con la sua macchina e che questa sia adatta al lavoro che vuol fare. Il modo di usarla, le sue tacche, le sue velocità di esposizioni e tutto il resto dovrebbero diventare automatici, come il cambiare una marcia in automobile”. Secondo HCB la familiarità tra il fotografo e la sua macchina deve raggiungere un livello tale da diventare parte di sé, come una mano, perchè non debbono esserci incertezze o ritardi, tra la intuizione del fotografo nel cogliere l’attimo del flusso inarrestabile del tempo, e la cattura dello stesso.
una foto di Henri Cartier-Bresson


Robert Capa pseudonimo di André Erno Friedman (1913-1954), ebreo, comunista, esule ungherese, all’inizio della carriera (1932) utilizzò una Leica II e successivamente una Leica III. Nel maggio 1937 passò alla Contax II e vi rimarrà fedele sino al giorno della sua morte, nel 1954, quando fu ucciso da una mina in Indocina. In realtà Capa utilizzò anche la biottica Roleiflex e, negli ultimi mesi di vita, una Nikon S perché la Nippon Kogaku Kogyo (Nikon Corp.), avendo perfettamente compreso la enorme importanza di convincere i fotografi famosi ad adottare le proprie fotocamere, stava esercitando una pressione enorme su Capa ed i suoi colleghi. Al momento della morte, Capa portava al collo la sua vecchia Contax II e la nuova Nikon S. Anche in questo si comprende il passaggio del testimone tra un marchio ed un altro.
Capa non si affezionava di certo alle proprie macchine fotografiche: più o meno, una valeva l’altra. Lui si preoccupava solo di succhiare il massimo dalla sua vita, non aveva certo tempo da perdere per testare le prestazioni delle sue ottiche con i cartoncini zebrati.
Mentre Cartier Bresson ci ha lasciato numerosi suoi aforismi eterei in merito alla composizione della inquadratura ed all’attimo fuggente da cogliere con uno scatto, assai più pragmaticamente Capa ci ha lasciato un solo aforisma: “se le tue fotografie sono insignificanti, la colpa è la tua che non ti sei avvicinato abbastanza al soggetto”. Capa è tutto qui: buttati dentro le cose che accadono, avvicinati, più vicino ancora, e scatta. Non stupisce che HCB sia morto a 96 anni nel suo letto, mentre Capa a 41 su una mina anti uomo. Per amarissima ironia della sorte (nessuno ha mai evidenziato questo aspetto) fino a quando Capa è rimasto fedele al suo credo (avvicinati al pericolo), ha sempre riportato a casa la pelle (guerra di Spagna, sbarco in Normandia). E’ invece morto quando ha fatto il contrario di ciò che predicava. E’ nota infatti la storia degli ultimi istanti della sua vita. Si trovava a marciare a piedi, in Indocina, con un battaglione di soldati francesi. Ci sono arrivate anche le sue ultime foto, decisamente banali (La foto in bn viene dal rullino nella Contax, quella a colori dalla Nikon) che riproducono una gruppo di soldati sparpagliati, ripresi di spalle da lontano. Improvvisamente Capa (probabilmente insoddisfatto per tali brutte foto) ebbe l’idea di salire su una collinetta per riprendere la stessa scena dall’alto. Su quella collinetta troverà la mina che lo ha ucciso. Dopo aver passato (e rischiato) la vita per fotografare ad un passo dal pericolo, Capa è morto per scattare una foto panoramica dall’alto e quindi da lontano.
Vi è di che riflettere.
PS
Non riesco mai a parlare di Robert Capa senza ricordare anche la sua compagna Gerda Taro (vero nome Gerta Pohorylle) ebrea, comunista, esule tedesca di origine polacca, fotografa di guerra accanto a Capa. Anzi lo pseudonimo "Robert Capa" fu inventato insieme dalla coppia a Parigi nel 1936 (avevano 23 anni lui e 25 lei), ed all'inizio fu usato per vendere le foto scattate da entrambi indistintamente. Successivamente André userà in esclusiva lo pseudonimo Robert Capa mentre Gerta adotterà quello di Gerda Taro (si noti anche il cambio da "Gerta" a "Gerda"). Nel 1937 insieme fotografano la guerra di Spagna, dove Gerda troverà la morte. Aveva 26 anni. Prima fotoreporter donna morta sul campo. Sopravvisse un giorno intero con l'addome maciullato dai cingoli di un carro armato, pienamente cosciente della sua morte inevitabile, si preoccupava solo che le sue fotocamere (Leica II e Leica III) che le aveva regalato André non si fossero rotte. La sua/loro storia qui e qui.
una foto di Robert Capa
Se nel mercato professionistico, i numeri di vendita delle Leica e delle Contax si avvicinavano, nel mercato dei fotoamatori ricchi la Leica conservava un netto predominio. Aveva perduto il monopolio, ma la sua posizione restava nettamente dominante. I motivi di ciò sono essenzialmente due: se i professionisti sono tendenzialmente conservatori, i fotoamatori lo sono di più. Quello che conta è il “nome” ed il nome “Leica” rimaneva altissimo, non si era certamente deprezzato con l’introduzione di fotocamere di scarsa qualità. La politica Leica, al contrario, era molto efficace tra i fotoamatori: quando veniva lanciato un nuovo modello esso rappresentava sempre il nuovo Top di gamma; il modello Top precedente scalava di un gradino ma (e questa era la mossa vincente di Leitz) era sempre data la possibilità di effettuare l’upgrade, attraverso una modifica in fabbrica, dal modello superato a quello all’ultimo grido. Il secondo grande vantaggio di Leica su Contax era dato dal peso. I ricchi spesso viaggiavano e portavano le loro fotocamere con sé, anche in occasione di escursioni in montagna. In queste situazioni, il peso nettamente inferiore di una Leica II con Elmar (520 gr.) rispetto ad una Contax II con Sonnar anteguerra (779 gr.), si faceva apprezzare moltissimo.
le ultime due
L’ultima Leica costruita nell’anteguerra (propriamente detto) fu una Leica IIIc primo tipo “grigia” (né nera, né cromata, bensì dipinta grigio militare) con numero di serie 391.699. Anno 1943.
Tuttavia la produzione proseguì anche in seguito, con delle Leica IIIc primo tipo dotate di numero di serie compreso tra 391.700 e 397.556.
Ufficialmente la produzione Leica post bellica inizia nel 1946 con la prima Leica IIIc secondo tipo, avente numero di serie 400.001.

L’ultima Contax II invece aveva numero di serie O 65500. Anno 1943. 





Dopoguerra

Se il primo dopoguerra aveva visto la Ernst Leitz in gravissima difficoltà economica a causa dei pesanti danni subiti alla fabbrica di Weltzar, tanto che sarebbe sicuramente fallita se non avesse avuto successo il lancio della Leica, mentre contemporaneamente la Carl Zeiss Jena cresceva sempre di più, inglobando tutti i concorrenti; il contrario si può dire del secondo dopoguerra. Weltzar si trovava nella parte occidentale della Germania, quella occupata dagli angloamericani. La produzione delle Leica potè ripartire a tempo di record, già nel 1946, con la prima Leica del dopoguerra (una Leica IIIc numero di serie 400001). Di fatto la produzione della Leica non si era mai interrotta del tutto. Molto diversa era la condizione della Carl Zeiss. La sede principale a Jena venne occupata in un primo momento dall’esercito statunitense, ma ben presto dovette essere consegnata ai sovietici in base agli accordi di Yalta; non prima di aver asportato materiale Zeiss, ma soprattutto aver trasferito tecnici e maestranze nella parte occidentale della Germania, a Stoccarda (Zeiss Ikon e Fondazione Carl Zeiss), Meinz (vetro ottico Schott), Oberkochen (Carl Zeiss e lenti) e Coburgo (lenti). Gli USA si pentirono immediatamente di questa mossa, perché fu subito chiaro che i sovietici si sarebbero sentiti liberi di fare altrettanto, per cui riportarono indietro i macchinari (ma non le persone).
La sede Zeiss Ikon di Dresda, dove venivano costruite le Contax, invece fu occupata sin da subito dai sovietici i quali non gradirono affatto la condotta degli statunitensi, ignorarono totalmente il ravvedimento successivo degli USA, ed applicarono la stessa politica di asportazione, su scala molto maggiore: materiali e soprattutto macchinari per la fabbricazione delle Contax vennero caricati sui treni e trasferiti ad Est, a Kiev in Ucraina, dove i sovietici volevano costruire la loro Contax.
I macchinari in realtà non raggiunsero mai a Kiev, si persero/danneggiarono lungo il tragitto. Le Kiev e le Contax Jena prodotte dopo la guerra furono costruite dunque con dei nuovi macchinari, che lo SMAD (autorità militare sovietica di occupazione della Germania) commissionò alle maestranze Zeiss Ikon. Proprio perchè i macchinari erano nuovi, non fu mai più prodotta una Contax identica a quella prebellica. Anche le ricercatissime Contax Jena (in realtà costruite a Saalfeld) hanno molti elementi che le distinguono dalle Contax. Nel frattempo la Carl Zeiss Jena (e la Zeiss Ikon) anteguerra si spaccarono come la Germania: nel 1946 a Oberkochen venne costituita la nuova Carl Zeiss occidentale (la quale non poteva ovviamente chiamarsi “Jena”) che inizialmente assunse il complicato nome di “Opton Optische Werke Oberkochen GmbH” a cui antepose il nome "Zeiss" nel 1947. A seguito di una lunga battaglia legale che la oppose alla consorella orientale, nel 1953 il ramo occidentale si vide riconosciuto dal tribunale il diritto esclusivo di utilizzare il nome “Carl Zeiss”. In sostanza la prima 35 mm sfornata dalla “Carl Zeiss” (occidentale) fu la Contax IIa che venne lanciata sul mercato solo nel 1950 (quattro anni dopo la Leica del dopoguerra) e priva di nuove ottiche. Sino al 1951 infatti le Contax potevano essere equipaggiate esclusivamente o con le lenti Zeiss prebelliche (prive di trattamento antiriflessi) oppure con le ottiche orientali (con trattamento antiriflessi) fabbricate dalla “nemica” consorella Carl Zeiss Jena nella DDR.
Dunque la seconda decade dell’era delle fotocamere a telemetro (gli anni ‘50) si apriva con uno scenario nettamente più favorevole per Leitz.
Nulla, meglio di uno sguardo al grafico dell’andamento dei prezzi delle fotocamere, rende l’idea dell’enorme profitto che trasse la Leitz dalla scomparsa dal mercato della concorrente Zeiss Ikon negli anni dal 1943 al 1950. In quei sette lunghi anni, i consumatori avevano ben poca scelta: sul mercato c’era solo: la Leica da un lato, ed una miriade di “fotocamere giocattolo” (tipo: Argus) dall’altro.
La Leica raggiunse in quegli anni dei prezzi altissimi (€ 2.500,00 per il solo corpo di una Leica a vite dell’ultimo modello), mentre negli anni precedenti e successivi la sua media era di € 1.500,00.


Il grafico rappresenta i prezzi tradotti in Euro 2015, al fine di renderli comparabili, della fotocamera a vite (quindi escluse le Leica M) di punta di casa Leitz. Nel 1932 la Leica di punta era il modello II, nel 1933 la Leica III, successivamente la IIIa, la IIIb, la IIIc, IIIf e IIIg.
Leica era di fatto tornata ad essere monopolista, quantomeno nei due mercati più ambiti: professionistico ed amatoriale di alto livello. Più precisamente Leica era monopolista del mercato del nuovo. In quegli anni infatti non venivano più prodotte nuove Contax, ma i professionisti che avevano una Contax (come Robert Capa) continiarono ad usarla. Si sviluppò inoltre in quegli anni un mercato di Contax “come nuove”. Molti tedeschi, volendo emigrare negli USA per rifarsi una vita, vendettero tutti i propri beni in patria ed impiegarono il denaro ricavato per acquistare fotocamere Contax nuove, con relative ottiche. Era essenziale che il materiale fosse “nuovo” o “come nuovo”, perché lo scopo era quello di mettere in valigia questi tesori, e rivenderli in USA, dove la notevole domanda di Contax, da parte di ricchi collezionisti, non poteva essere soddisfatta dalla produzione oramai ferma. Questo spiega come mai, sulle riviste USA dell’immediato dopoguerra, compaiano annunci di importanti catene di negozi che offrono in vendita fotocamere Contax “come nuove”, quantunque la produzione fosse ferma.
Leitz, al contrario, può offrire al mercato fotocamere nuove. La sua posizione nel settore amatoriale di alto livello, nel quale già primeggiava, si era rafforzata: le sue Leica a vite, continuamente aggiornate con modelli sempre più perfezionati ma esteticamente quasi identici alla prima Leica del 1925, continuarono ad essere richieste. Per il settore nel quale era più debole, ossia il professionistico, Leitz intuisce che non può proporre ad un professionista degli anni ‘50 una fotocamera pensata nel 1925, per cui progetta e lancia sul mercato una fotocamera del tutto nuova, con un tiraggio diverso, con un attacco nuovo (baionetta M) ed ottiche nuove. Per la prima volta Leitz diversifica la propria proposta di fotocamere: sino al 1954 aveva costruito solo un modello (la Leica), adesso propone una fotocamera per l’amatore di alto livello (vecchia Leica a vite) ed una per il professionista (Leica M). La genialità di Leitz la si trova tuttavia nei piccoli dettagli: grande rivoluzione, macchina del tutto nuova, ma Leitz ha avuto l’accortezza di fare in modo che, con un semplicissimo e molto economico anello adattatore, tutte le ottiche della Leica a vite possano essere utilizzate sulle nuovissime Leica M, senza alcuna penalizzazione: l’accoppiamento con il telemetro e l’esposimetro, oltre al riconoscimento della lunghezza focale con conseguente automatico adattamento delle cornici del telemetro, sono mantenute. Una intuizione geniale che permetterà anche a molti amatori di sconfinare nel campo delle Leica M, dovendosi sobbarcare “soltanto” la spesa per l’acquista del corpo macchina, potendo usare le vecchie lenti a vite.
Anche la scelta del lancio della Leica M sul mercato è stata molto azzeccata: probabilmente il modello era pronto da anni, ma Leica si è ben guardata dal proporla ai consumatori nell’arco di tempo (1943-1950) nel quale era tornata ad essere monopolista. Al contrario Leitz ha atteso che Contax tornasse sul mercato (1950), ha atteso che gli entusiasmi per la nuova Contax si attenuassero, e nel 1954 ha lancia la propria Leica M; la quale doveva apparire, necessariamente, più nuova della Contax IIa. In questo modo Leitz ha tratto il massimo profitto con il minimo sforzo.
Nel contempo la disponibilità del trattamento antiriflessi delle lenti accorcerà, come diremo tra poco, la distanza qualitativa tra le ottiche delle due case tedesche.
Se Leitz indovina tutte le scelte di politica industriale, Carl Zeiss al contrario, come vedremo, non ne azzecca una. A mio avviso è la stessa dimensione di colosso monopolista a portare la Zeiss Ikon ad un lento tramonto sino alla chiusura nel 1971. La vicenda ricorda il declino della Spagna nel XVII secolo: ricca di oro ed argento delle colonie sudamericane, la Spagna venne affossata da quelle stesse immense ricchezze piovute dal cielo senza sforzo alcuno, che la rendevano pesante, lenta e tonta, fossilizzata nella mobilità sociale; mentre nuove potenze marittime, agili e sveglie (Olanda ed Inghilterra) emergevano, animate dalla voglia di arricchirsi con il commercio delle classi borghesi. Il che mi rafforza nella mia opinione che i monopoli fanno male a tutti, ma principalmente sono deleteri per lo stesso monopolista.

Misure

Le Contax del dopoguerra erano più piccole e più leggere di quelle anteguerra
La Contax IIa (1950)  misurava 13,48 x 7,77 x 4,27 cm. Peso 510,29 g
La Contax II   (1936)  misurava 13,97 x 8,57 x 4,27 cm. Peso 594,00 g

Contax IIa (avanti) e Contax II (dietro)


La Contax IIIa (1950) misurava 13,48 x 8,00 x 4,27 cm. Peso 633,00 g
La Contax III   (1936) misurava 13,97 x 9,35 x 4,27 cm. Peso 650,35 g

Contax IIIa (avanti) e Contax III (dietro)


I modelli Leica del dopoguerra (Leica IIIc postbellica, Leica IIIf e Leica IIIg) hanno sostanzialmente le stesse misure delle Leica anteguerra
confronto tra fotocamere in ordine crescente di peso
La Leica IIIf   (1951)  misurava 13,60 x 6,50 x 3,90 cm. Peso 427 g
La Contax IIa (1950)  misurava 13,48 x 7,77 x 4,27 cm. Peso 510 g
La Nikon S2 (1954)    misurava 13,60 x 7,90 x 4,34 cm. Peso 550 g
La Leica M3  (1954)   misurava 13,79 x 7,70 x 3,35 cm. Peso 580 g
La Contax II   (1936)  misurava 13,97 x 8,57 x 4,27 cm. Peso 594 g
La Contax IIIa (1950) misurava 13,48 x 8,00 x 4,27 cm. Peso 633 g
La Contax III   (1936) misurava 13,97 x 9,35 x 4,27 cm. Peso 650 g
Perché non inserisco nel confronto Leica/Contax le Leica M?
Prima della guerra la situazione era chiara: Leica corpo macchina più piccolo e leggero, più semplice, più robusto e più affidabile delle Contax; ma le ottiche Zeiss erano superiori a quelle Leitz in tutto. Nel dopoguerra queste nette differenze si attenuano.
Zeiss Ikon costruisce una Contax più piccola e leggera per avvicinarsi alla Leica (e ci riesce al punto da superarla in una misura: la lunghezza di 13,46 contro 13,60 cm). Contemporaneamente Contax cerca anche di aumentare la affidabilità del proprio otturatore (ma ci riesce solo in parte).
Da parte sua la Leitz riduce di molto le distanze nella qualità delle ottiche grazie alla disponibilità della tecnica del trattamento antiriflesso delle lenti (coating). Questo trattamento, inventato da Alexander Smakula (1900-1983) della Carl Zeiss nel 1935, brevettato nel 1939 (DOC) sotto altro nome perché talmente rivoluzionario da essere immediatamente coperto da segreto militare, venne applicato a partire dal 1939 solo su alcune ottiche belliche. Nel dopoguerra il trattamento antiriflessi divenne disponibile per tutti i produttori di ottiche. La sconfitta nella seconda guerra mondiale e la conseguente scomparsa giuridica dello “Stato Germania”, aveva comportato anche l’annullamento di tutti i brevetti tedeschi. Carl Zeiss venne depredata senza ritegno del suo asset più prezioso: la innovazione tecnologica. Tutti i concorrenti (soprattutto i giapponesi) copiarono tutto quel che di buono aveva inventato la Carl Zeiss (il complicato otturatore della Contax non lo copiò invece nessuno, tranne i sovietici).
La Leitz trasse un enorme beneficio dall’utilizzo del trattamento antiriflessi sulle proprie lenti: la differenza qualitativa tra le ottiche Leitz e Zeiss, di colpo, si accorciò notevolmente.
Occorre soprattutto considerare che, sin dalla fine dell’800, erano state inventate e brevettate delle lenti con schemi ottici complessi, che assicuravano una ottima qualità di immagine ed eccezionale (per l’epoca) luminosità a focali estremamente corte o lunghe. Tuttavia i brevetti di queste ottiche erano scaduti senza che le lenti fossero mai state prodotte a livello industriale. Il motivo è presto detto: la qualità di un’ottica dipende dal numero di lenti che la compongono. Più lenti vengono inserite in una ottica, maggiore è la possibilità di correggere le numerose aberrazioni. Tuttavia, in assenza di un trattamento antiriflessi, maggiori sono i passaggi aria/vetro e maggiore sarà l’effetto “flare” (ovattato). Inoltre anche la luminosità diminuisce, perché parte della luce viene riflessa e quindi non attraversa le lenti. La luce riflessa da una lente priva di trattamento antiriflessi varia dal 4 al 5% per ogni passaggio aria/vetro. In un Sonnar che ha 6 superfici aria/vetro la perdita è del 34%. In una lente con 8 superfici la perdita è del 55%. In epoca antecedente alla introduzione del processo antiriflessi era pacifico che, il numero massimo di passaggi aria/vetro accettabile fosse di 6. Questo significava che il numero massimo di lenti inseribili in una ottica fotografica fosse di 3 (aria/lente1; lente1/aria; aria/lente2; lente2/aria; aria/lente3; lente3/aria). In alternativa si potevano inserire 3 gruppi di lenti. Per “gruppo” si intende due o più lenti cementate (incollate) tra loro, in modo da eliminare l’aria in mezzo.
Ai fini che ci interessano in questa sede, un gruppo di lenti si comporta come una singola lente. Non a caso, nel periodo prebellico, le lenti migliori erano il Tessar (Zeiss)/Elmar (Leitz) con schema ottico di 4 lenti in 3 gruppi ed il Sonnar (Zeiss) nella versione Sonnar f 2.0 di 6 lenti in 3 gruppi; o Sonnar f 1.5 di 7 lenti in 3 gruppi. In tutti questi casi non si supera mai il limite di 6 passaggi aria/vetro. Al contrario il Summar 50/2.0 (Leitz) di 6 lenti in 4 gruppi (8 passaggi aria/vetro) non godeva di buona fama. Ancor meno apprezzato era lo Xenon 50/1.5 (Leitz su licenza Schneider-Kreuznach) di 7 lenti in 5 gruppi (10 passaggi aria/vetro). Il loro difetto maggiore era dato dal numero di passaggi aria/vetro superiore a 6. Perché allora Leitz produceva queste ottiche? Per cercare di offrire ai propri clienti una lente che potesse vantare le prestazioni in termini di luminosità degli Zeiss Sonnar 50/2.0 (a cui Leitz opponeva il Summar 50/2.0) e Sonnar 50/1.5 (contrastato con lo Xenon 50/1.5). Il risultato fu tuttavia pessimo, perché se la luminosità era pareggiata, la qualità delle ottiche Leitz era nettamente inferiore. Da qui si comprende anche il motivo per il quale il Sonnar 50 (soprattutto la versione 1.5) è considerata una meraviglia dell’ottica: ben 7 lenti in soli 3 gruppi, mentre lo Xenon aveva 7 lenti in 5 gruppi.
Per il motivo sopraesposto, una lente meravigliosa come il Planar, brevettata dalla Carl Zeiss nel lontano 1896, di 6 lenti in 4 gruppi, non venne mai messo in produzione dalla Carl Zeiss prima del 1957 per equipaggiare la Contarex (la reflex professionale di Zeiss Ikon). Il Planar era una ottica stupenda, ma aveva bisogno del trattamento antiriflessi per dispiegare le sue enormi potenzialità.
Piccola riflessione sulla lentezza pachidermica della Carl Zeiss: a Jena avevano inventato il Planar sin dal 1896. Avevano inventato il trattamento antiriflessi sin dal 1935. Hanno messo in produzione il primo Planar trattato antiriflessi soltanto nel 1957. Va bene la guerra, va bene i sovietici che hanno rubato i macchinari, ma 22 anni sono troppi! Non solo, nel 1957 Zeiss Ikon ha buttato via un tesoro come il Planar coated, cincischiando tra una Contaflex amatoriale alla quale bisognava per forza tarpare le ali, ed una Contarex professionale troppo pesante, troppo costosa, troppo delicata e troppo brutta per essere adottata dai professionisti. Carl Zeiss, come i re spagnoli del ‘600, è riuscita ad affogare nel proprio oceano di oro. La stessa ottica Planar, venduta alla Hasselblad, ha fatto la fortuna imperitura della fabbrica svedese, infallibilmente presente in tutti i servizi fotografici per tutti i matrimoni del globo terracqueo, e nel 1969 è stata portata anche sulla Luna dagli astronauti.
Tornando alla Leitz, nel secondo dopoguerra la fabbrica di Wetzlar ha sfruttato il trattamento antiriflesso (coating) per ridurre di molto le distanze qualitative che la separavano dalla Carl Zeiss, ma soprattutto ha potuto finalmente offrire ai propri clienti nuove lenti con aperture luminose (Summicron 50/2.0 e Summarit 50/1.5) di ottima qualità. Leitz fu in grado di entrare di nuovo nel mercato professionistico. Contemporaneamente Leitz ingrandiva ed appesantiva di poco le proprie Leica a vite, ma soprattutto introduceva la Leica M3 che ha praticamente le stesse dimensioni della Contax IIIa e soprattutto pesa di più (580 g contro 510 g). Questa scelta aveva un senso nel 1954, quando si trattava di aggredire il mercato professionistico (rimasto praticamente senza delle vere ammiraglie) con una macchina nuova, equipaggiata con nuove lenti luminose antiriflesso.
Tuttavia, oggi, nel 2015, una Leica molto più grossa, pesante e costosa di una Leica III, dotata di obiettivi antiriflesso, di buona qualità, ma comunque costosissimi ed inferiori agli Zeiss, a me pare che non abbia un particolare appeal.
Detto in altri termini: chiarito che, nel 2015, non c’è spazio per la pellicola nel settore professionale, resta il settore amatoriale di livello medio ed alto.
Per l’amatoriale medio, una Leica M più grossa, più pesante, e soprattutto molto più costosa di una Leica a vite, non mi sembra appetibile.
Per l’amatoriale ad alto livello, che può spendere, il prezzo del corpo macchina Leica M non è un problema, ma resta la questione della qualità delle ottiche. Le ottiche Zeiss con trattamento antiriflesso sono comunque superiori alle Leitz antiriflesso, e meno costose. E’ possibile montare, come diremo, ottiche Zeiss su corpo Leica, sia a vite che M, ma io continuo a non appassionarmi alle Leica M, che trovo comunque più pesanti e ingombranti, con un telemetro da molti decantato, ma che, a ben vedere, probabilmente è inferiore rispetto a quello delle Leica a vite. Occorre infatti considerare che, nella Leica M, viene “finalmente” introdotta la modernità di accorpare insieme rangefinder e viewfinder. La Contax II e III li aveva accorpati sin dal 1936, ma nelle Leica a vite i due finder sono rimasti sempre separati: da un mirino si inquadrava la scena, dall’altro si metteva a fuoco. Mi si dice che, l’accorpamento delle due funzioni in un unico mirino porterebbe il vantaggio di concentrarsi sulla inquadratura senza perdere l’attimo fuggente mentre si controlla in continuazione la messa a fuoco. Sinceramente io questo vantaggio non lo vedo, il leicista trova naturalissimo spostarsi da un mirino all’altro. Al contrario mi è chiaro lo svantaggio, lo stesso che aveva anche la Contax a telemetro. L’accorpamento del rangefinder nel viewfinder comporta necessariamente tre limitazioni: 1) l’area destinata al rangefinder deve essere necessariamente molto piccola (altrimenti disturberebbe l’inquadratura); 2) l’area destinata al rangefinder non può mostrare l'oggetto inquadrato ingrandito; 3) non può essere aggiunto il correttore di diottrie per il solo rangfinder. Questi ultimi due sono i difetti più gravi. Dalla Leica III in avanti il rangefinder offre una visione ingrandita e la correzione delle diottrie, che agevolano moltissimo l’operazione di messa a fuoco con precisione. Esistono ovviamente delle lentine con correzione delle diottrie da applicare al mirino della Leica M, ma è facile capire quanto poi divenga scomodo far utilizzare la stessa macchina a persone diverse.
Mi risponderete che non s’è mai visto un leicista permettere a qualcun altro, foss’anche un parente strettissimo, di scattare con la propria fotocamera. Debbo darvi ragione. Ma a me la Leica M continua a non convincere.

prezzi

1950
Dopo un lunghissimo digiuno, il mercato (soprattutto quello statunitense) può finalmente disporre di fotocamere Contax nuove. La prima ad essere immessa sul mercato è la Contax IIa. La IIIa debutterà l’anno successivo. La propaganda USA non mancò di sottolineare che la nuova Contax era fabbricata a Stoccarda, ossia nella zona della Germania che era stata sotto il controllo degli USA. Questo per chiarire bene al consumatore che, acquistando questa fotocamera, non si corre il rischio di foraggiare il comunismo. Ci troviamo in piena epoca maccartista, e la confusione tra Carl Zeiss occidentale ed orientale, penalizza non poco la penetrazione nel mercato USA.



La nuova Contax IIa veniva venduta in Germania al prezzo di 480 DM, ma sul mercato statunitense a $ 295 corrispondenti a € 2.710,50 del 2015 € 700,00
1951 aprile
Una Contax IIa, solo corpo,  costava 550 DM ed in USA $ 295   (€ 2.512,73) 
Una Contax IIIa, solo corpo, costava 660 DM ed in USA $ 355   (€ 3.022,50)  € 480,00
Pertanto la differenza tra i due modelli era di 110 DM (€ 509,77), pari al 20% circa (prima della guerra la differenza tra le II e III era invece del 38%)
Trasformare una Contax IIa in IIIa in un secondo momento costava 170 DM (€ 776,00). Prima della guerra (1936) la trasformazione di una Contax II in III costava invece 120 RM (€ 900,00).
1952
E’ l’anno del massimo successo commerciale della Contax del dopoguerra:
Una Contax IIa, solo corpo,  costava in USA $ 340 (€ 2.845,39)
Una Contax IIIa, solo corpo, costava in USA $ 387 (€ 3.238,72)
1953
Dopo la fiammata iniziale i prezzi iniziano subito a scendere:
Una Contax IIa, solo corpo,  costava in USA $ 258 (€ 2.133,39)
Una Contax IIIa, solo corpo, costava in USA $ 303 (€ 2.506,22)
1954
Leitz introduce la Leica M3. Si tratta di un modello del tutto diverso rispetto alle Leica a vite: con il suo mirino unico ed una nuova baionetta di innesto, sarà il vero competitore di Contax.
Leica M3 con il Summicron 50/2.0 costava 1.080 DM (il salario medio in RFT era di 250 DM) ed in USA venivano venduti insieme a $ 447 (€ 3.686,75).
Lo stesso anno la Contax IIa con il Sonnar 50/2.0 veniva venduta a $ 345 (€ 2.845,48).
Non solo. Nello stesso anno (1954) debutta la Nikon S2 con uno splendido Nikkor 50/1.4 che venivano venduti in USA a $ 345,00 (€ 2.845,48), non a caso allo stesso identico prezzo della Contax IIa che tuttavia aveva una lente meno luminosa.

la Nikon S2, in effetti, somiglia vagamente alla Contax II
C’è da dire che la Nikon S2 non è altro che una Contax II fatta bene. Approfittando dell’annullamento di tutti i brevetti tedeschi del dopoguerra, Nikon ha copiato tutto della Contax (dimensioni, forma, telemetro, addirittura l’attacco della baionetta), tutto tranne ovviamente l’otturatore. Quello Nikon lo ha copiato dalla Leica. L’unica botta di originalità consistette nella scelta del formato del negativo 24x32 in luogo del canonico 24x36. Scelta ovviamente sbagliata; tanto che la Nikon non vendette una sola fotocamera, sino a quando non si decise a copiare anche il formato 24x36. Adottato appunto nella Nikon S2 per la prima volta. Se a ciò si aggiunge che Nikon, sino al 1932, non aveva mai prodotto una sola lente fotografica e che fu proprio la Carl Zeiss, con i propri ingegneri (capeggiati da Heinrich Acht) inviati in Giappone tra il 1921 ed il 1928, ad istruire i tecnici nipponici insegnando loro tutto, a partire dalla produzione del vetro, sino alla progettazione degli schemi ottici, ce n’è abbastanza per concludere che Carl Zeiss ha insegnato la fotografia a tutti, tranne che a se stessa.
L’intento di Leitz e Nikon era quello di soppiantare la Contax nel mercato professionale ed amatoriale di alta gamma. Lo scopo venne pienamente raggiunto. Il confronto del valore dell’usato attuale dei tre corpi macchina è impietoso: Contax IIa € 700,00. Leica M3 € 2.000,00. Nikon S2 € 1.100,00
Per quanto riguarda le Leica a vite, nel 1954 la Leica IIIf con Elmar 50/3,5 veniva venduta in USA $ 280,00 (€ 2.309,28). La Leica IIIf vale oggi circa € 900,00
Nel biennio 1952-1954 il prezzo delle nuove Contax tracolla: da € 2.850,00 a € 1.250,00.
A sostenere efficacemente le vendite della Contax sarà piuttosto l’introduzione, sempre nel 1954, del formidabile grandangolo Zeiss Opton Biogon 21/4,5; (foto) una vera rivoluzione nel campo dell’ottica fotografica, tanto che molti fotografi professionisti acquistano la Contax proprio per utilizzare quest’ottica, mentre altri, che scelsero la Leica, montarono il Biogon sulle macchine di Wetzlar con l’anello adattatore Orion. Non era altro che la ulteriore conferma di ciò che già si è detto per il periodo anteguerra: il vero punto di forza della Contax era la qualità delle ottiche della casa madre Carl Zeiss. Zeiss Ikon non è mai riuscita ad emanciparsi ed a camminare con le proprie gambe.
1958
Nel triennio 1955/1957 il prezzo della Contax IIa si assestava sul livello di € 1.800/1.600, comunque inferiore rispetto a quello anteguerra, quando la Contax II veniva venduta ad un prezzo costante di poco superiore ad € 2.000,00.
Nel 1958 il prezzo subiva un ulteriore tracollo, dal quale non si riprenderà più.
Contax IIa con Sonnar 50/2 costava in USA $ 298,00                (€ 2.230,36)
Contax IIa con Sonnar 50/1.5 costava in USA $ 318,00             (€ 2.380,00)
Leica M3 con il Summicron 50/2.0 costava in USA a $ 456,00 (€ 3.412,90)
Nikon S2 con Nikkor 50/1.4 costava in USA $ 415,00              (€ 3.106,04)
Leica IIIg con Summicron 50/2.0 costava in USA $ 342,00      (€ 2.559,68)
L’andamento discendente dei prezzi delle Contax IIa nel mercato USA parla chiaro: sono lontani i tempi anteguerra in cui Contax era sinonimo di massima qualità, e pertanto di prezzi nettamente superiori alla concorrenza. Se nel 1950, al suo debutto, Contax IIa era ancora la regina delle 35 mm, già nel 1954, con il lancio di Leica M3 e Nikon S2, Contax viene scalzata dal gradino più alto.
Due anni dopo, nel 1956, la crisi sarà evidentissima, sia nel calo dei prezzi, sia nel fortissimo rallentamento della produzione.


vendite

Le Contax IIa furono prodotte tra il 1949 (nov) ed il 1962 (ago). La IIIa venne introdotta dal 1951. In totale furono prodotte 135.025 Contax (IIa e IIIa) nel dopoguerra. Un numero molto vicino a quelle delle II e III prodotte prima della guerra (100.200) e praticamente identico a tutte le Contax preguerra: 134.200 (sommando anche le I) a cui vanno aggiunte poche migliaia di Contax belliche (fino al 1945) e Contax Jena, delle quali non si hanno numeri certi.
Nello stesso periodo (1949/11-1962/8) Leitz aveva venduto 540.000 Leica (tra cui 185.100 IIIf + 206.500 M3 + 56.400 M2).
Il rapporto Contax / Leica che, prima della guerra, era di 1 a 2,3; nel dopoguerra era salito a 1 Contax venduta ogni 4 Leica. 
In particolare, ciò che trascina impietosamente giù i numeri di Contax, è la crisi di vendite iniziata nel 1954 ed esplosa nel 1956: nel 1953 si producevano 20.000 pezzi/anno di Contax (IIa e IIIa).
Nel 1956 la produzione si era dimezzata: 10.000; nel 1957: 5.000; nel 1958: 2.500. Da qui in poi, sino alla fine (1962) la produzione oscillerà tra 1.500/2.500 pezzi annui.

Conclusioni per il periodo postbellico

I numeri relativi alle vendite parlano chiaro: l’amara e cruda realtà ci dice che, se la Contax II nel periodo prebellico aveva un suo senso molto preciso (era adottata da molti professionisti e da una ristretta cerchia di fotoamatori ricchi ed elitari), al contrario la Contax IIa del dopoguerra non ha un suo ruolo effettivo, se non quello di un amarcord dei bei tempi andati. Più in generale tutto il progetto Contax a telemetro nel dopoguerra (e dunque nella Germania Ovest) è un anacronismo: un crepuscolo senza mai un’alba per dirla con lo storico prof. Renzo De Felice. Basti pensare che Zeiss Ikon da tempo aveva brevettato sia l’esposimetro accoppiato alla ghiera dei diaframmi, sia il cambio automatico della inquadratura del viewfinder a seconda della focale della lente montata.
Nel 1949 si trattava semplicemente di decidere se introdurre o meno queste enormi innovazioni nelle nuove Contax II e III. Introdurle avrebbe significato dover cambiare la baionetta Contax e rinunciare pertanto alla compatibilità con le lenti anteguerra. Si scelse di mantenere la stessa baionetta e rinunciare a queste innovazioni. Questa decisione fu infelice: si trattò infatti di sacrificare il progresso (e quindi le esigenze dei professionisti) per soddisfare la clientela dei ricchi fotoamatori, soprattutto statunitensi, i quali erano affamati delle care vecchie Contax sparite dal mercato dal 1942. Erano affamati di un marchio, erano affamati di ricordi, erano affamati di passato.
Le Contax del dopoguerra erano apparecchi per nostalgici, e Zeiss Ikon occidentale scelse di soddisfarli, ignorando chi poteva realmente decretare il successo di una fotocamera.
Ancora una volta, ad essere decisiva, è stata la condotta dei fotografi professionisti.
I professionisti che avevano adottato una Contax II prima della guerra (come il più illustre tra loro: Robert Capa), continueranno ad usare la loro vecchia Contax II nel dopoguerra. Non la lasceranno per adottare la nuova Contax IIa, anche se questa rappresenta un miglioramento di quella per molti aspetti ed è certamente più leggera e comoda da usare. Appena introdotte sul mercato le Contax del dopoguerra furono richiestissime; ma si trattò di una operazione commerciale effimera, durata un solo biennio, tutta volta al passato, a sfruttare il prestigio che il nome “Contax” riscuoteva ancora tra i fotoamatori ricchi. A venire acquistato era il marchio, non la fotocamera. Tuttavia il prestigio del marchio segue le sorti delle scelte dei professionisti: se nessun professionista famoso utilizza la Contax IIa, il prestigio è destinato a declinare. Questo declino sarebbe stato lento per Contax IIa se non fosse stato brutalmente accelerato dal lancio sul mercato, nel 1954, di due prodotti killer: la Leica M3 e la Nikon S2.
Nel 1959 il lancio della Nikon F, la prima reflex di successo planetario, adottata da (quasi) tutti i professionisti, raderà definitivamente al suolo le ultime rovine Contax.
Per Leica il discorso è molto diverso. La storia della Leica presenta delle similitudini sorprendenti con un altro marchio commerciale, la Apple Computers. Come la Apple immise sul mercato il primo (di fatto) personal Computer, allo stesso modo Leica introdusse la prima (di fatto) fotocamera 35 mm. Per un breve periodo di tempo tali prodotti crearono un mercato che prima semplicemente non esisteva affatto; godettero del monopolio assoluto dato dalla mancanza di qualsiasi concorrente (salvo imitazioni servili di fabbriche minuscole). Tale monopolio è stato poi frantumato dall’ingresso di un competitore, molto più grande ed economicamente potente: Zeiss Ikon prima, ma soprattutto Nikon dopo, per Leica ed IBM/Microsoft per Apple. Leica ed Apple hanno tuttavia saputo ritagliare per sé un settore di mercato di nicchia, piccolo ma prestigioso, perché la fama della qualità dei propri prodotti non è mai venuta meno. Gli utilizzatori dei prodotti Leica ed Apple sono giudicati, dalla massa degli altri utenti, come delle persone strane, dei settari devoti al loro marchio contro il corso della storia; tuttavia il rispetto nei loro riguardi non è mai venuto meno, a causa della riconosciuta qualità dei prodotti.
Il mondo Leica nel dopoguerra si è pertanto chiuso in una bolla atemporale: il mercato professionistico era oramai irrimediabilmente perduto (salvo pochissime sacche di resistenza, rivitalizzate indubbiamente dalla introduzione del formato M), ma il prestigio conquistato dal marchio tra i fotoamatori d’elite (e quindi dei collezionisti), quello è rimasto saldo ed ha resistito a tutte le bufere. Ha resistito alla reflex Nikon F, ha resistito all’avvento delle giapponesi con prezzi di produzione stracciati rispetto all’Europa, ha resistito all’avvento dell’elettronica, degli automatismi, delle programmabili e della plastica. Se è sopravvissuta addirittura al digitale oramai è certo: la Leica a telemetro non morirà mai. All’interno della sua nicchia la Leica II attraverserà i secoli e ci seppellirà tutti, continuando a scattare senza nessuna incertezza sulle nostre tombe, come ha sempre fatto sin dal primo giorno in cui è uscita dalla fabbrica di Wetzlar. Questo spiega come mai, nel mercato dell’usato del 2015, le fotocamere Leica vantano delle quotazioni decisamente superiori rispetto alle Contax II, quantunque queste ultime siano decisamente più rare (soprattutto sono rare quelle con l’otturatore funzionante).

4 – esigenze di tre diverse tipologie di clientela:

La scelta tra Leica e Contax, non può prescindere, ovviamente, dalle esigenze proprie di chi deve operare la scelta. Innanzi tutto occorre distinguere tra chi compra una macchina fotografica per collezionarla (ossia tenerla dietro una vetrina) e chi intende invece utilizzarla. A sua volta, nel gruppo degli utilizzatori, occorre distinguere tra coloro che intendono farne un uso “stanziale” ossia impugnare la macchina fotografica in alcune occasioni (fotografando i figli, compleanni, matrimoni, incontri tra amici) e chi invece pensa alla macchina fotografica come una fedele compagna di viaggio, da portare dietro per condividere con lei l’emozione della scoperta.

(1) collezionista

Non sono un collezionista, per cui posso solo limitarmi ad immaginare le motivazioni di costoro.
Solitamente il collezionista è una persona che, al di fuori della propria vita lavorativa e familiare, avverte il bisogno di ritagliare del tempo libero per sè stesso, da impiegare per il raggiungimento di un obiettivo che egli stesso si impone. Questo obiettivo può essere il più disparato: possedere tutte le prime edizioni dei libri stampati in Italia nell’anno 1956, oppure tutte le monete della Repubblica Romana, oppure gli autografi di tutti i giocatori di pallannuoto della virtus Torvajanica del 1990. Va da sé che si può decidere anche di collezionare tutte le fotocamere italiane degli anni ‘40; oppure solo le fotocamere romane, ma di qualsiasi epoca.
Unico comun denominatore di questo obiettivo è appunto l’aggettivo “tutti”, ossia la definizione di un campo di interesse, più o meno ampio (dipende dall’ambizione e dalla disponibilità economica) all’interno del quale il collezionista opera. Tale obiettivo rappresenta una sfida, e come tutte le sfide, la soddisfazione finale è tanto maggiore quanto maggiore sarà stato il rischio del fallimento, ossia del non riuscire a completare la collezione. Una volta raggiunto l’obiettivo, alla soddisfazione segue in fretta la delusione: “ed ora cosa faccio?”. Era a ben vedere lo stesso stato d’animo di Ulisse nell’inferno di Dante: raggiunto il risultato (tornare a casa, ad Itaca) era dura restare a fare niente su quello scoglio, dopo dieci anni di Iliade ed altri dieci di Odissea; per questo Ulisse fece l’unica cosa da fare: fissò per sé stesso un altro obiettivo (superare le colonne d’Ercole) e prese di nuovo il mare.
Per il collezionista succede qualcosa di molto analogo: si fisserà un altro obiettivo, o cedendo l’intera collezione per iniziarne una del tutto diversa, oppure allargando l’obiettivo della collezione precedente (es. passare dalla collezione di tutte le fotocamere meccaniche romane del dopo guerra a quello della collezione di tutte le fotocamere italiane, e poi a tutte le fotocamere europee).
E’ facile tacciare questa condotta come irrazionale. Certamente, ognuno trova ridicola la passione che non lo tocca. Tuttavia questa critica può essere mossa a tutti gli esseri umani: gli italiani trovano inspiegabile come si possa pagare un biglietto per vedere una partita di baseball o peggio di cricket; gli statunitensi trovano inspiegabile la passione italiana per il calcio; statunitensi ed italiani insieme non comprendono come ci si possa appassionare al biathlon.
Al collezionista che si pone come fine quello di completare la collezione, io posso dire ben poco. Ha scelto di collezionare solo Leica o solo Contax o entrambe? Il confronto tecnico tra queste fotocamere non sposta in nulla la sua scelta.
Il secondo tipo di collezionista, cd “estemporaneo”, è mosso dal desiderio di possedere cose attraenti ai suoi occhi. Egli non ha tracciato i confini della sua passione: se si imbatte in una cosa bella oppure significativa dal punto di vista storico, a prezzi per lui accessibili, è mosso dal desiderio di includerla nella sua sfera di affetti. Anche a questo secondo tipo di collezionista interesserà ben poco un giudizio ragionato sulla comparazione delle caratteristiche delle due fotocamere.

(2) utilizzatore

Spesso mi è stata rivolta la domanda: che senso ha usare una fotocamera a pellicola, meccanica e manuale, nel 2015, in piena epoca di fotografia digitale?
Quando ho fretta e mi voglio liberare velocemente dell’interlocutore, ricorro ad una risposta dalla sperimentata efficacia: “Non ho abbastanza soldi per poter comprare una macchina fotografica digitale professionale e relative ottiche, così, piuttosto che accontentarmi di usare una compatta digitale da € 100,00, utilizzo l’attrezzatura professionale degli anni ‘50”.
Avviene sempre che, chi mi ha posto la domanda, rimanga a riflettere sul significato della risposta; dandomi il tempo per svignarmela.
Se la domanda me la pone invece una persona a cui tengo, la risposta è molto più ragionata.
Iniziamo con il dire che io non appartengo ad una setta di persone che ha deciso di fermare le lancette dell’orologio, tipo comunità amish, la quale ha deciso che, tutte le invenzioni successive al 1890, siano opera del demonio, per cui i suoi membri vivono senza TV e si muovono in calesse.
Molto semplicemente io credo che il progresso tecnologico non porti mai alla totale estinzione del settore preesistente, bensì ad una contrazione di questo (a volte sino a rasentare lo zero) e la contemporanea nascita di nuovi settori analoghi. In sostanza la tecnologia apre nuovi scenari che in precedenza non c’erano.
Prima della invenzione delle macchine sartoriali, vi era un solo modo per procurarsi un vestito: farselo cucire su misura da un sarto. Essendo manufatti artigianali, i vestiti erano necessariamente costosi. I poveri avevano due vestiti soltanto: quello per il lavoro quotidiano e quello della domenica. Entrambi dovevano servire per quasi tutta la vita. I ricchi avevano la possibilità di acquistare molti vestiti e di fornirsi dai sarti più abili e costosi. All’interno della nutrita categoria dei sarti, si distingueva un ventaglio di sfumature: da coloro che avevano una fama più illustre, sino agli artigiani più grossolani. La invenzione della manifattura industriale degli abiti ha portato ad una forte diminuzione dei prezzi, ma anche alla introduzione delle taglie standardizzate, in luogo degli abiti su misura. La categoria dei sarti è stata falcidiata: gli artigiani meno abili – coloro che confezionavano abiti con tagli scadenti, ma che tuttavia riuscivano a venderli comunque, perché i poveri non avevano alternative – furono i primi ad essere spazzati via. Il povero poteva improvvisamente acquistare un abito di fabbrica, con taglio migliore rispetto a quello del sarto di infima categoria, ad un prezzo decisamente inferiore. Gli unici sarti ad essersi salvati sono stati quelli della fascia più alta: gli abiti su misura che essi offrivano al mercato avevano infatti qualità tanto elevate da non poter essere raggiunte da nessun abito industriale. Il prezzo, molto superiore rispetto a quello dell’abito industriale, non era di ostacolo per la nicchia dei clienti ricchi; i quali anzi vedevano ora nell’abito sartoriale uno status symbol che li distingueva, in maniera netta, dal borghese recentemente arricchitosi. Se prima si poteva discutere in merito alla distanza qualitativa tra due capi confezionati da diverse sartorie in competizione tra loro, adesso è tutto più chiaro: il mio è un abito su misura, il tuo è un abito industriale. Come si vede l’evoluzione industriale non ha semplicemente estinto la figura del sarto di abiti: l’ha fortemente ridimensionata, rinchiusa in una nicchia, ha spazzato via chi offriva un prodotto di basso livello qualitativo, ma i pochi sarti che sono sopravvissuti offrono prodotti che sono sul mercato nel 2015 con una loro ragion d’essere: non vivono fuori dal tempo. Il mercato si è quindi rivoluzionato, ma complessivamente ampliato e diversificato, per soddisfare domande che prima della rivoluzione tecnologica, erano prive di risposta.
Cosa c’entra questo con il quesito iniziale: esiste ancora una domanda di fotografie scattate con la vecchia pellicola, in una era di immagini digitali?
La mia risposta è sulla falsa riga di quanto ho detto a proposito dei sarti: la fotografia digitale ha stravolto tutto, ha certamente scalzato la fotografia con pellicola dal monopolio che ha goduto per oltre un secolo, ma non ha sostituito completamente la pellicola. Certamente, il campo della foto analogica si è ridotto enormemente: non è più richiesta nel settore professionale, nessun giornale, rivista, agenzia pubblicitaria accetterà più una pellicola, e tuttavia essa ha ancora un mercato nel 2015. Ancora una volta il mercato si è ampliato, alcune esigenze che prima non trovavano risposta (l’immagine immediatamente scattata e fruibile, ed anche trasmissibile immediatamente a grandissima distanza) ora l’hanno trovata, a dei prezzi sempre più bassi, fino a divenire irrisori. Il grande mercato, sia professionistico che consumer, si è radicalmente trasformato (il monopolio analogico è ora diventato un quasi monopolio digitale), il vecchio sovrano (la fotografia analogica) che un tempo imperava senza rivali nel campo delle immagini, come i bisonti nelle praterie americane, oggi è rinchiuso in un recinto elitario; al pari dei pochi bisonti sopravvissuti nelle riserve.
La domanda è: a quale esigenza concreta, del 2015, la pellicola analogica fornisce risposte efficienti? In altri termini: che cos’ha oggi la pellicola da offrire al mercato?
La mia risposta è chiara: nel 2015 la fotografia digitale è la risposta efficiente per la stragrande maggioranza delle esigenze. Io utilizzo con massima soddisfazione una economica fotocamera compatta digitale impermeabile, per fare le foto ai pupi al mare, in estate, in condizioni nelle quali mai avrei potuto scattare con una delle mie fotocamere a pellicola.
Detto questo, al di fuori delle esigenze comuni, ne esistono altre che molti non vedono.
Il problema della conservazione della immagine fotografica.
Ho usato non a caso il termine “immagine fotografica” in luogo di “fotografia” intesa come immagine su carta, perché la carta è, e sarà sempre, nulla. Conta la pellicola impressionata.
Negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, il capofamiglia, al termine dell’estate, portava i rullini scattati in vacanza al negozio di fotografia. Qualche giorno dopo veniva a ritirare le foto. Ammirava le immagini stampate su carta, e si disinteressava totalmente alla pellicola sviluppata. Alcuni addirittura buttavano via i negativi per tenere solo la carta. Nella migliore delle ipotesi le pellicole finivano in un cassetto, mischiate, disperse, graffiate, piegate. Un qualsiasi fotografo professionista o un archivista, potrà dirvi che tale condotta è criminale. Quello che sfida il tempo è l’immagine impressa sulla pellicola (se correttamente sviluppata, fissata e sciacquata) non certo l’immagine su carta, destinata ad alterarsi nel corso di un decennio. Il professionista bada solo alla pellicola, il dilettante solo alla carta. Per la diapositiva il discorso è del tutto identico, con l’unica differenza che la pellicola ed il positivo coincidono.
La conservazione della immagine su pellicola è molto più facile e sicura, rispetto a quella digitale.
Il supporto che contiene l’immagine digitale è infatti soggetto ad una velocissima obsolescenza tecnologica. Hard Disk e pennette USB sembrano garantire una leggibilità eterna, ma è pura illusione.
Anche i Floppy Disk da 8” (di dimensioni 20 x 20 cm), nel 1971 sembravano eterni, ma oggi sono, di fatto, illeggibili per indisponibilità di un disk driver, ossia un lettore, efficiente. I Floppy da 5”1/4 erano diffusissimi negli anni ‘80, solo 35 anni fa, ma vale quanto detto sopra. I floppy da 3”1/2 (quelli rigidi da 1,5 Mb) saranno illeggibili ben presto. I disk driver SCSI idem. I CD-ROM ed i DVD tra 10 anni saranno illeggibili. Vi è di peggio: i supporti per i dati digitali si smagnetizzano, sono molto più fragili di quanto non si creda.
La NASA oggi non è in grado di leggere i dati archiviati su nastro magnetico, delle missioni Apollo sulla Luna. Centinaia di migliaia di preziosissime informazioni, andate in fumo per sempre, nell’arco di soli 40 anni.
Una lastra fotografica di fine ‘800 è oggi perfettamente trasformabile in formato digitale e stampabile, restituendo immagini molto belle ed incise. La stampa coeva di tale lastra è pessima, ma non importa, quel che conta è l’immagine sul supporto: essa è capace di sfidare il tempo ed essere riprodotta a distanza di secoli.
Certamente, archiviando le immagini digitali su supporti moderni, avendo cura di riversare l’immagine digitale dal vecchio supporto, oramai obsoleto, su quello nuovo, si risolve con poca spesa il problema della obsolescenza dei supporti. Effettuando in aggiunta dei back-up periodici, si previene anche il problema della smagnetizzazione. Verissimo, ma chi può assicurare la costanza di tali processi?
Avrete sempre voglia di trasferire, ogni cinque anni, tutte le vostre immagini digitali da un supporto ad un altro? E’ necessaria la costanza, perché saltare anche un solo passaggio significherebbe perdere tutto. Inoltre, dopo la vostra serena dipartita da questa valle di lacrime, i vostri figli, nipoti e pronipoti saranno animati dalla stessa costanza?
Fotografare con una macchina analogica, significa conservare l’immagine su una pellicola.
Una volta sviluppata rispettando le poche regole auree, la pellicola viene asciugata, tagliata e conservata in appositi raccoglitori. Da quel momento in poi potete non pensarci più. Se quelle pellicole non verranno smarrite in un trasloco o bruciate in un incendio, saranno fruibili anche tra 300 anni, e forse ancora di più, senza che nessuno debba prendersene cura.
Questo è il primo motivo per il quale vale la pena scattare fotografie con una fotocamera analogica: ci sono immagini che vorrei che i miei pronipoti potessero vedere, tra 150 anni. L’unico modo per raggiungere realisticamente questo obiettivo è fissare le immagini su pellicola.
Ovviamente non tutte le immagini fotografiche da me prodotte meritano di attraversare gli oceani dei secoli, ma solo alcune tra esse. Quelle relative ad eventi importanti, certo (nascite, lauree e matrimoni), ma non solo. È importante per me testimoniare la vita comune, gli ambienti domestici, le foto di strada, dei diversi decenni della vita mia e dei miei figli. Almeno un rullino all’anno mi pare il numero giusto da scattare, conservare e tramandare.
Il problema della sovrapproduzione della immagine fotografica.
Scattare con il digitale è facile ed a costo zero. Una volta procuratosi lo strumento (camera, lente e scheda di memoria), scattare 10 foto, o 1.000 o 100.000 costa la stessa cifra: zero.
La prima volta che ho affidato la macchina digitale a mio figlio per la sua prima gita scolastica alle elementari, è tornato a casa con 590 scatti. Per fortuna la batteria ha avuto pietà di me: si è scaricata e mi ha salvato. Lavorare su quelle 590 immagini, scartare tutte quelle mosse e sfocate, e poi eliminare le decine di foto in sostanza identiche, mi ha snervato. Ne sono sopravvissute 150 circa, ma sono un numero parimenti impossibile. Nessuno mai passerà del tempo a vedere quelle 150 foto, sospirando di nostalgia, magari con una lacrimuccia. Quelle immagini, che ho deciso di conservare, dovranno essere riversate in continuo su supporti digitali sempre nuovi, richiederanno cure costanti; cure che non meritano, perché sono troppe e troppo insulse. Inutili. Occuperanno per decenni inutilmente dello spazio. Mi ricordo che, quando da bambino ero io ad andare in gita, avevo una piccola (economicissima e pessima) fotocamera compatta analogica. Le fotografie erano altrettanto insulse, e di qualità infinitamente peggiore rispetto a quelle di mio figlio; tuttavia ricordo benissimo che, mentre inquadravo il soggetto, prima di premere il bottone dello scatto, mi chiedevo sempre: “varrà la pena di utilizzare uno dei limitati fotogrammi di cui dispongo, per catturare questa immagine?”. In sostanza, quel che sto inquadrando merita di essere fissato per sempre nella storia?
I nativi digitali come mio figlio, questa domanda non se la pongono mai. Scattano e basta: tanto non ci sono controindicazioni (credono loro), al limite cestinerò la foto successivamente. Non è così. A parte il fatto che la carica della batteria e lo spazio nel supporto di memoria, sono limitati, questi signori non considerano il fatto che, visionare le foto e decidere quale scartare, richiede tempo. Ha un costo. Costo limitato, se avrò scattato 50 fotogrammi. Costo assolutamente inaccettabile se, al termine di una stagione estiva, avrò scattato 5.000 fotogrammi.
Veniamo in questo modo al secondo motivo per il quale il sottoscritto utilizza la pellicola: la selezione a monte.
Inquadrare l’immagine e decidere se premere o non premere il bottone di scatto, se l’inquadratura merita un fotogramma della pellicola, attendere perché si pensa di poter ottenere una immagine migliore, rammaricarsi per essersi lasciato sfuggire il momento in cui la scena era perfetta, confidare che possa ripresentarsi in futuro, cogliere l’attimo: ora! ecco il momento!.
Per dirla con Henri Cartier-Bresson: “il fotografo deve essere sicuro, mentre è in presenza della scena che si sta dispiegando, di non aver perso alcun passaggio, di aver realmente espresso il significato unitario della scena. Dopo sarebbe troppo tardi. Il fotografo non può far retrocedere gli avvenimenti, per fotografarli di nuovo”.
E poi, certo, vi è anche il rischio di sbagliare; rendersi conto che il soggetto si era mosso all’ultimo istante o aveva chiuso gli occhi.
Vi accorgerete allora, quando è troppo tardi, con terribile chiarezza, dove avete fallito. A questo punto, ricorderete il sentimento rivelatore che avevate provato mentre stavate fotografando (H.C. Bresson).
Sono i fallimenti a dare un gusto alle vittorie. Questa scarica di adrenalina significava (all’epoca dell’analogico) fotografare. Significava attaccare la spina del cervello mentre si inquadrava l’immagine. Anche se la fotocamera era automatica riguardo alla scelta della esposizione ed autofocus, comunque il fotografo doveva decidere l’inquadratura ed il momento giusto per lo scatto.
Con le digitali, il fotografo non scatta: mitraglia a caso nel buio.
La similitudine tra fotografare e sparare è abusata. Si pensi alla terminologia “safari fotografico” o “catturare una immagine”. Preparare la macchina allo scatto successivo, avanzando la pellicola, si dice in italiano “caricare l’otturatore”; in inglese “cock the shutter” (letteralmente armare lo sparatore). In inglese infatti “scattare” si dice “to shoot” (sparare) ed otturatore “shootter”. Si pensi addirittura che, negli anni ‘30, sia Leica che Contax vendevano un accessorio consistente in un vero e proprio calcio di fucile (Contax Leica), con tanto di vero grilletto, collegato alla macchina fotografica che veniva posizionata all’altezza del mirino. La canna del fucile era sostituita da un lungo teleobiettivo. Si trattava di un accessorio indispensabile per poter scattare delle foto senza cavalletto evitando il mosso. Usando tale similitudine, può ben affermarsi che la macchina analogica è come un fucile: non hai molti colpi, devi pensarci bene prima di scattare. Al contrario la camera digitale è come una mitraglietta: l’invito è a scattare a più non posso senza pensarci, qualche proiettile dovrà per forza andare a segno. Mi viene spesso in mente la scena del film “il cacciatore” con Robert De Niro. A chi gli chiedeva che senso avesse seguire un cervo per giorni e giorni nei boschi, portandosi dietro un fucile con un solo proiettile, il personaggio Michael rispondeva: “la caccia ha un senso solo se è leale. Io devo avere una sola possibilità, perché il cervo deve poter avere la sua”. Detto altrimenti: la soddisfazione di aver scattato una ottima foto è data dal fatto che avevi solo una possibilità per farlo, non una raffica.
Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale (H.C. Bresson).
*
Vi sono molte altre ragioni per scattare in analogico in luogo del digitale.
Ne citerò brevemente solo una. Il digitale sta eliminando il confine tra la produzione della immagine (scatto) ed il trattamento in postproduzione. Il software di manipolazione delle immagini (Photoshop) fa miracoli, ma questi miracoli sono ancora fotografia, oppure è arte digitale?
Distinguiamo il caso delle fotocamere digitali per i professionisti e per i fotoamatori più evoluti, dalle fotocamere digitali entry level, compatte e smart phone.
Per quanto attiene a questo secondo gruppo si rimane sempre più sbalorditi dalla eccelsa bellezza delle immagini scattate. La tendenza attuale è quella di anticipare ed automatizzare le correzioni di Photoshop già nella fotocamera. In quello spazio di tempo, tra lo scatto e la registrazione sul supporto digitale, viene automaticamente corretto tutto: l’assenza di luce, il mosso, lo sfocato, il controluce. Vengono anche saturati i colori, eliminate le rughe, smagriti i corpi, pompati i pettorali e sbiancati i denti. Ma a questo punto eliminiamo anche i capelli grigi, la cellulite; e visto che ci siamo, cambiamo anche il colore della cravatta per abbinarlo correttamente alla giacca. Alcuni di questi traguardi non sono ancora stati raggiunti, ma ci si riuscirà. Tra poco non sarà più possibile distinguere tra fotografia e fotografia modificata. A quel punto saremo tutti “oggettivamente” bellissimi, salvo poi guardarci dal vero e non capire che fine abbia fatto quel modello/a che avevamo visto in “foto”. Si impone la domanda: questa roba è ancora fotografare?
Per quanto riguarda invece il primo gruppo di fotocamere (quelle professionali e top amatoriale), la tendenza è opposta. Si è compreso che, se la fotografia deve essere opera artistica di un fotografo, ebbene le correzioni di Photoshop non possono essere automatizzate dal firmware della fotocamera, bensì lasciate al lavoro del fotografo. Ecco allora che questo tipo di fotocamera ha il compito di fornire al fotografo materiale grezzo (in formato .RAW) da lavorare successivamente nelle lunghe sedute di Photoshop. Questa divisione del lavoro in due sedute, scatto e postproduzione, non è un concetto alieno al fotografo in pellicola bianco/nero, il quale sa bene che ogni foto “si scatta due volte”: la prima in sede di cattura (tempo, diaframma, messa a fuoco ed inquadratura); la seconda in camera oscura, con la luce rossa, al momento di impressionare la carta (idem tempo, diaframma, messa a fuoco ed inquadratura). Sembrerebbe non essere cambiato nulla, ma è solo apparenza, perché le possibilità di modificare le foto digitali in postproduzione sono enormemente aumentate.
Il punto vero è tuttavia un altro, e si chiama tempo. E’ impensabile scattare in .RAW ed usare la fotografia senza modificarla con Photoshop. Ma le sedute di Photoshop durano ore, se non giorni.
Per un fotografo professionista questo tempo è lavoro, viene retribuito dal committente.
Per il fotografo amatoriale, invece, questo tempo è tempo tolto ad altri svaghi. Non solo ma i software di manipolazione di immagini digitali diventano sempre più complessi e richiedono veri e propri corsi a pagamento per essere pienamente sfruttati. L’asticella per il fotografo amatoriale che confinava con il professionismo, si alza sempre di più e diviene sempre più difficile stazionare a cavallo del confine tra fotografia amatoriale di alto livello e professionismo. Se non hai il denaro, il software, ma soprattutto la formazione ed il tempo per accedere al campo del professionismo, vieni rigettato non già nel campo amatoriale di alto livello, bensì in quello amatoriale e basta.
Sta nascendo un deserto tra la massa degli amatori e l’elitè dei professionisti: una fotocamera digitale di livello immediatamente inferiore rispetto alle ammiraglie professionali, oltre a costare una barca di soldi ed essere soggetta a velocissima obsolescenza e deprezzamento di valore, restituisce immagini in formato .RAW, ossia piatte e smunte, se utilizzate senza essere processate con Photoshop; “bruttissime” se confrontate con la “bellezza” e vividezza delle immagini scattate con un economico cellulare da € 200,00. Ma un fotografo amatoriale non ha il tempo e la conoscenza dell’uso del software per le sedute di Photoshop. Ed allora le fotocamere di fascia amatoriale top level non saranno più acquistate dai fotografi amatoriali, bensì dai professionisti che non possono permettersi le ammiraglie. Il fotografo amatoriale verrà schiacciato sulle fotocamere entry level o sulle compatte, le quali provvedono loro, in automatico, a processare “correttamente” le immagini digitali scattate. Chi viene enormemente penalizzato è il fotografo amatoriale di alto livello, che vorrebbe intervenire consapevolmente sulla produzione della immagine, ma che ne è sempre di più tagliato fuori e rigettato nella massa dei fotografi scatta-a-mitraglia.

(2.A) utilizzatore stanziale

La circostanza che le fotocamere a pellicola abbiano perso il monopolio a favore del digitale ha comportato un indubbio, enorme vantaggio. L’abbattimento del prezzo di mercato di tali macchine ha fatto sì che oggi sia possibile acquistare, intorno ai € 150/200, il corpo macchina di una qualsiasi fotocamera prodotta tra il 1935 ed il 1995; escluse ovviamente le rarità collezionistiche.
Potendo scegliere il meglio a quella cifra, non ha senso acquistare una macchina che non sia stata il top per i suoi tempi, al solo fine di risparmiare poche decine di euro.
Detto questo l’utilizzatore dovrà decidere se orientarsi verso una macchina reflex oppure a telemetro. La macchina reflex offre molti vantaggi (mirino grande e luminoso, facilità di messa a fuoco, robustezza, facilità di utilizzo, vasta scelta di lenti a prezzi parimenti accessibili) e pochissimi svantaggi (peso maggiore e impossibilità di scattare sotto 1/30). Per un utilizzatore stanziale questi problemi sono assai trascurabili.
Scelta l’opzione reflex, ci si chiede verso quale modello orientarsi.
La mia opinione è la seguente. Una volta compiuto il grande passo dell’ingresso nella fotografia analogica, una volta cioè che si è deciso di fotografare usando il proprio cervello invece che gli automatismi, che senso ha portarsi dietro tutti quei problemi che sono inscindibilmente legati alla fotografia digitale? Mi rifersico alla dipendenza dalla durata delle batterie; alla impossibilità di scegliere di testa propria tempi, diaframmi e messa a fuoco; alla bruttura della plastica; alla fragilità dei circuiti elettrici, soggetti agli urti ed alle condizioni metereologiche avverse. La frenetica ed irrazionale moltiplicazione dei modelli di fotocamere, all’interno di ciascun marchio, moltiplicata per tre fasce di consumatori (professionisti, amatori ed entry level), al fine di rincorrere l’ultimo inutile record e l’aggiunta dell’ultimo pulsantino succhiabatterie; la conseguente obsolescenza tecnologica accelerata e pianificata a tavolino dalle case madri, non è caratteristica esclusiva delle odierne fotocamere digitali. Essa caratterizzava anche l’ultimo decennio (1993/2003) dell’era analogica. Prima di sparire in pochi mesi come i dinosauri, le ultime fotocamere analogiche avevano dato il peggio di sé, in un delirio di sigle e modelli sostanzialmente tutti uguali, ed ugualmente brutti, inutili e costosi. Non v’è proprio motivo per far tornare in vita uno di quei mostri di plastica e chips.
Fatta la scelta per l’analogico, vi invito ad optare per una fotocamera di metallo vero, robusta, meccanica (e quindi indipendente dalle batterie), manuale al 100% (sceglierete voi tempi e diaframmi), non autofocus e dotata solo di esposimetro; ma a condizione che, se la batteria di questo si dovesse scaricare, possiate comunque continuare a scattare normalmente su tutti i tempi.
Io vengo dal mondo Nikon, per cui vi suggerisco due modelli che rispondono a questi requisiti; la Nikon F e la Nikon F2. Rispettivamente le ammiraglie Nikon degli anni ‘60 e ‘70. Queste fotocamere sono state usate, per due decenni, da tutti i fotografi professionisti del mondo (salvo poche eccezioni). Andranno benone anche per voi. Le potete trovare agevolmente sul mercato dell'usato a € 100,00 (F) € 150,00 (F2). I modelli color nero sono più rari dei cromati (il rapporto era circa di 1 a 8) e costano pertanto di più. I modelli neri furono introdotti per espressa richiesta dei professionisti (Nikon aveva in mente solo la versione cromata, più lussuosa secondo il modo di pensare dell'epoca) per cui, già all'epoca, costavano più dei cromati. Attenzione! Questo significa che, se acquistate un modello nero, quasi sicuramente il primo proprietario sarà stato un professionista che avrà fatto un uso massiccio e stressante della macchina. Avrà scattato un numero di rullini infinitamente superiore rispetto a quelli di un fotografo amatoriale. Si sconsiglia sempre di acquistare una fotocamera appartenuta ad un professionista, perchè la meccanica si presume spappolata dall'abuso. Tuttavia, per quanto riguarda specificamente le Nikon F ed F2, occorre considerare che: 1) sono macchine veramente robuste; 2) quello che danneggia veramente la meccanica è l'uso del motore di avanzamento pellicola. Nelle Nikon F ed F2 era possibile montare il motore, ma erano pochi in professionisti che lo usavano, perchè era estremamente arcaico e pesantissimo.
Questo per dire che non è raro trovare una Nikon F o F2 nera con una ottima meccanica. Per valutare lo stato della meccanica (delle Nikon F ed F2, non di altri modelli) vi sarà sufficiente provare la leva di avanzamento della pellicola: se lo sentite "scotto, sfatto" lasciate immediatamente perdere. Se invece lo sentire bello "al dente" la meccanica è ok.
Ovviamente un fotografo Canon vi suggerirà i rispettivi modelli di quella casa. Cambia poco, a condizione di rispettare i requisiti che ho indicato sopra.

(2.B) utilizzatore viaggiatore

Le reflex sono ottime macchine. Hanno tuttavia due difetti. Il peso e la impossibilità di scattare a mano libera sotto 1/30. Questo ultimo aspetto interessa a ben pochi fotografi (tra i quali il sottoscritto), pertanto lo si può trascurare.
Il peso invece è un problema serio per chi viaggia sempre e soprattutto si sposta a piedi.
Per intenderci fornisco di seguito una tabella con alcuni dati
Marca             Modello          peso solo corpo          peso con lente 50 mm        

Nikon             F2 (reflex)        844 gr                        1.204 gr
Nikon             F (reflex)          819 gr                        1.179 gr
Contax            IIIa                  633 gr                            796 gr
Contax            II                     594 gr                            748 gr
Nikon             S2                   550 gr                            700 gr
Contax            IIa                  510 gr                            673 gr
Leica              M3                  580 gr                            632 gr
Leica               IIIc                419 gr                            534 gr   
Leica               II                   409 gr                            520 gr

Dall’esame di questi dati ben si comprende come mai, agli occhi di molti, una fotocamera a telemetro, malgrado la maggiore difficoltà di messa a fuoco, possa apparire ancora oggi desiderabile.
Volendo restare nell’ambito della scelta tra una Leica ed una Contax, le due camere da confrontare sono probabilmente la Contax IIa e la Leica IIIc, le più comuni da reperire sul mercato dell’usato, e pertanto più economiche. La differenza di peso tra le due ancora si apprezza: La Contax pesa il 26% in più: ben 139 gr.

CONCLUSIONI

Insomma: meglio una Contax o una Leica?

Alla fine di questa lunga chiacchiera disponiamo di tutti i dati per rispondere.
Ho sempre sostenuto che una buona foto dipende al 90% dal fotografo, al 10% dalla lente, allo 0% dalla fotocamera.
Nel tempo ho leggermente rivisto questa mia posizione e sono arrivato alle seguenti conclusioni:
Una buona foto dipende al 90% dal fotografo, al 9% dalla lente, allo 1% dalla fotocamera.
Le lenti Carl Zeiss sono sicuramente migliori di quelle Leitz, per cui la risposta alla domanda dovrebbe essere scontata: la Contax è migliore della Leica.
Tuttavia ci sono alcune cose da aggiungere.
Il corpo macchina della Leica presenta molti vantaggi rispetto a quello Contax II.
1)    è più piccolo
2)    è più leggero
3)    è più robusto
4)    l’otturatore è molto più affidabile, per cui la intera fotocamera è più affidabile
5)    è più facile e meno costoso da riparare
6)    nella Leica III la messa a fuoco è più facile per quattro motivi:
      a) il rangefinder distinto dal viewfinder permette una visione ingrandita;
b) la correzione delle diottrie è utilissima (ma non c’è nella Leica II);
c) la finestrella della Contax è troppo vicina al pulsante di scatto, e pertanto spesso è coperta dalla mano destra, il che non permette di vedere le immagini sdoppiate e mettere a fuoco;
d) nella Leica è tutto più semplice, per cui anche sostituire i vetrini del telemetro, tararli, pulire i mirini è più facile.
I vantaggi nella messa a fuoco garantiscono maggiore probabilità di foto a fuoco.
Obiettivamente, l’ideale sarebbe avere un corpo Leica su cui poter montare le ottiche Contax.
Non sono stato il primo ad averci pensato. All’inizio della seconda guerra mondiale, il regime nazista aveva bisogno di macchine fotografiche per l’esercito, marina ed aviazione e pertanto ordinò alle due fabbriche tedesche di farla finita con la loro rivalità: la Leica avrebbe fornito i corpi macchina e la Carl Zeiss i suoi famosi obiettivi (dotati del trattamento antiriflessi che ne aumentava ancora di più la qualità, inventato da Carl Zeiss nel 1935 ed immediatamente posto sotto segreto militare) ma dotati di montatura a vite Leica (LTM passo 39x1) in modo da poter essere usati con le fotocamere di Wetzlar.
Leica III con Carl Zeiss Sonnar 50/1.5 a vite (falso)
più precisamente, può darsi che il nocciolo ottico sia autenticamente Sonnar, di certo il barilotto è quello di uno Jupiter-3

Sarebbe una ottima cosa entrare in possesso di questi obiettivi ed usarli sulle Leica.
Tuttavia ciò non sarebbe esattamente l’ideale. Su ebay si trovano infatti queste lenti a dei prezzi molto alti (tra 500 ed 800 euro) ma sono quasi tutti dei falsi; ed è comunque molto, molto difficile distinguere gli originali dai falsi. A ciò si aggiunga che, durante le guerre, le materie prime scarseggiavano per tutti, anche per le forniture militari, per cui la qualità delle ottiche ne risente e, quel che è peggio, non è garantita la costanza dello standard qualitativo.
Infine la tecnologia del trattamento antiriflessi (coating) era appena stato inventato. Non v’è dubbio che le lenti degli anni ‘50, trattate con molti strati antiriflesso in luogo di uno solo, siano indubbiamente più performanti rispetto a quelle di 15 anni prima, nate durante la guerra.
Il mio suggerimento è piuttosto quello di acquistare un anello adattatore che permetta l’utilizzo delle lenti Carl Zeiss sulle Leica a vite.
Attenzione n. 1 accertatevi che l’anello accetti veramente le ottiche Contax RF (RF = rangefinder), da non confondere con le lenti Contax per le reflex (stesso attacco Yashica). Se leggete “C/Y” non va bene. Se non vedete il classico braccetto di metallo tipico dell’attacco Contax RF, non vanno bene.
Attenzione n. 2 di anelli Leica/Contax RF ne furono costruiti sin dagli anni ‘30. Alcuni di questi sono fissi, ovvero non hanno la scala metrica incisa sull’anello e non possono pertanto ruotare per mettere a fuoco. Questi anelli sostanzialmente trasformano la vostra Leica in una macchina con fuoco fisso (spesso a 3,5 mt). In pieno giorno, con un diaframma f 11 o f 16, grazie alla notevole profondità di campo, potete scattare buone foto che mettono a fuoco il vostro parente ed il Colosseo alla sue spalle contemporaneamente; ma possono avere solo questo uso turistico. Per il resto sono da scartare.
Attenzione n. 3 la Contax RF ha due diverse baionette: una interna (per le lenti 50 mm) ed una esterna (per tutte le altre lenti, grandangolari e tele). Alcuni anelli hanno esclusivamente la baionetta esterna, altri solo quella interna, altri ancora entrambe. Preferite questi ultimi, alla peggio quelli con la sola baionetta interna. Quelli con la baionetta esterna probabilmente non vi saranno utili.
Questi anelli sono rari: ne esistono degli anni ‘30, degli anni ‘50 e vi sono due fabbriche che ne producono al giorno d’oggi. Tutti sono piuttosto costosi (si parte da € 200 / € 250, sino ad arrivare ai € 1.000 per gli oggetti da collezione) tuttavia ne consiglio l’acquisto.

l'ultimo anello è del tipo fisso e pertanto non consente alcuna messa a fuoco. Inoltre non ha la baionetta esterna, per cui non può essere usato per ottiche diverse dai 50 mm. Non è consigliabile l'acquisto.


Leica IIIa con anello adattatore e Carl Zeiss Sonnar 50/1.5
Alternativa.
E’ possibile procurarsi un Sonnar 50/1.5 coated occidentale (quindi degli anni ‘50) ed una sua copia sovietica con montatura a vite (Jupiter 3 50/1.3). Qualsiasi riparatore, con poca spesa, sarà in grado di trapiantarvi il nocciolo ottico del Sonnar dentro la montatura LTM dello Jupiter.
L’operazione è possibile perché i noccioli ottici di Sonnar 50/1.5 e Jupiter 3 50/1.5 sono identici e possono essere usati indifferentemente su montatura tipo Contax o tipo Leica (LTM).
Avrete in questo modo ottenuto la migliore lente 50 mm montata sulla migliore fotocamera 35 mm.

Jupiter-3 50/1.5 montatura Leica (sinistra) e Sonnar 50/1.5 (destra) prima del trapianto




Jupiter-3 50/1.5 montatura Contax (sinistra) e Sonnar 50/1.5 montatura Leica (destra) dopo del trapianto


Controindicazioni:
-       Lo Jupiter 3, al contrario dello Jupiter 8, costa parecchio (quasi come un Sonnar), nè si può usare la montatura di uno Jupiter 8 perché il nocciolo ottico è molto più piccolo rispetto a quello di un Sonnar 50/1.5.
-       Il costo dell’operazione è praticamente pari a quella dell’anello, con la controindicazione che l’anello può essere usato per infinite ottiche Contax, mentre se si sceglie la strada del trapianto, si potrà usare sulla Leica solo il Sonnar trapiantato.
-   I Sonnar 50/1.5 postbellici della Zeiss occidentale (Zeiss-Opton e Carl Zeiss) non possono essere trapiantati perchè hanno una forma del nocciolo diversa. Questo significa che per avere un Sonnar 50/1.5 trapiantato che sia anche coated, occorre procurarsi uno dei pochissimi Sonnar coated fabbricati durante la guerra, oppure un Sonnar postbellico della Zeiss orientale (la cui qualità non è certa)
Vantaggi:
Un Sonnar con montatura Leica pesa meno rispetto alla soluzione anello + Sonnar. Tuttavia questa differenza è minima (solo 10 g)

Leica II nera con Ottica Carl Zeiss Sonnar 50/1.5 montata sul barilotto di uno Jupiter-3 50/1.5


Consiglio finale

Corpo macchina:
acquistate una Leica III o IIIa o IIIc postbellica. Volendo spendere il minimo ed avendo tempo e pazienza, si possono acquistare su eBay ad € 150,00 circa. Se avete fretta per € 200,00 la potete avere subito.
Lente:
io userei esclusivamente un buon 50 mm. Una sola lente ma buona.
Due opzioni. Se non avete soldi acquistate uno Jupiter-8 con attacco Leica. Lo Jupiter-8 è una copia sovietica postbellica del Carl Zeiss Sonnar 50/2.0: ottima lente. In questo sito troverete la descrizione di tutti i modelli. Delle lenti sovietiche occorre conoscere poche semplici regole: 1) più sono vecchie e migliore è la loro qualità. Acquistate solo lenti degli anni ‘50. Per fortuna è facile conoscere l’anno di fabbricazione: è indicato dalle prime due cifre del numero di serie, ben visibile sul frontale. 2) il maggiore difetto delle lenti sovietiche è la eccessiva tolleranza in sede di controllo qualità. Capita sovente che, anche le lenti tedesche e giapponesi, come quelle russe, escano dalla catena di montaggio con dei difetti. Quello che distingue le lenti tedesche e giapponesi dalle russe è la severità nello scartare (e quindi buttare nel cestino) le lenti con dei difetti, anche piccoli. I sovietici avevano la esigenza di rifornire di lenti e fotocamere un enorme mercato interno (URSS e stati satelliti), a prezzi politici. Tedeschi e giapponesi dovevano esclusivamente conservare la loro fama mondiale di altissimo standard qualitativo. E’ facile comprendere come mai le lenti tedesche e giapponesi sono tutte egualmente eccellenti, mentre le sovietiche possano essere eccellenti o pessime.

Jupiter-8 50/2.0 del 1957
Per fortuna gli Jupiter 8 costano poco (intorno ad € 40/50). Compratene tre (sempre ed esclusivamente degli anni ‘50) e fate una prova sul campo con la pellicola, scattando alle varie aperture. Selezionate la lente migliore e vendete le altre due. Poi compratene altre due e ripetete la prova. Idem rivendete le lenti scartate. Eventualmente ripetete il ciclo una terza o quarta volta.
Alla fine avrete un ottimo obiettivo, con una resa assai simile al mitico Sonnar 50/1.5, avendo speso € 100,00 circa.
In totale con € 250,00 avrete una Leica IIIa o IIIc con uno Jupietr-8. Usatele e ne sarete soddisfatti.
Alternativa se non avete soldi. Su eBay USA potete trovare facilmente un annuncio di una Contax IIIa abbinata ad un Sonnar 50/1.5 del dopoguerra, per € 200,00/250,00. A questa somma dovete aggiungere il costo di spedizione e le tasse di importazione (25% circa) che si applicano anche alle spese di spedizione. Totale € 350,00 circa. E' più comoda e bella la Contax IIa, ma costa di più. Se scegliete questa seconda strada avrete una fotocamera un pò pesante e scomoda (pur sempre una Contax); ma in compenso un ottimo Sonnar (attenti allo stato della lente, non deve avere separazioni. Oppure accettate le separazioni periferiche alla lente, ma pretendete un forte sconto).

Alternativa migliore, spendendo poco di più. Acquistate uno Jupiter-8 con attacco a vite (spendete il meno possibile, di qualsiasi anno ed anche con le lenti graffiate) ad € 40,00 ed un Sonnar 50/2.0 prebellico o postbellico della Zeiss orientale a circa € 80,00 (i Sonnar della Zeiss occidentale: Zeiss-Opton o Carl Zeiss non vanno bene perchè hanno forma del nocciolo incompatibile) ed effettuate il trapianto del Sonnar 50/2.0 sul barilotto dello Jupiter-8. Il Sonnar 50/2.0 è una lente meno mitica del 50/1.5 ma comunque una lente meravigliosa. Il problema è che vi sarà molto difficile trovare un Sonnar 50/2.0 prebellico coated, per cui o rinunciate al coated, oppure dovrete ripiegare su una ottica della Zeiss orientale (la cui qualità è ballerina).

Ulteriore alternativa. In contraddizione con ciò che ho detto sino ad ora, con poco più di € 200,00 potete prendervi una Contax IIIa insieme ad un ottimo Sonnar 50/1.5 coated Zeiss-Opton o Carl Zeiss. Quindi occidentale postbellico. Il migliore. Sino ad ora ho parlato male dei corpi contax, ho detto che sono pesanti, che gli otturatori si romperanno tutti e le Contax postbelliche sono prive di fascino. Lo so, ma entrate nell'ottica che, ad un prezzo molto basso, state comprando la migliore lente al mondo con in più una cosa dietro (la Contax IIIa) che vi permette di usarla.

Se avete un po’ più di soldi invece il mio consiglio è quello di acquistare un anello adattatore Leica a vite (LTM)/Contax RF. Spenderete € 200/250 (link)
A questo punto vi occorre solo una buona lente. Andate sulla migliore: un Sonnar 50/1.5 coated degli anni ‘50 di produzione occidentale (Germania Federale – RFT).
Queste lenti sono marcate “Zeiss Opton” nei primi modelli del dopoguerra (dal 1946 al 1953) aventi numero di serie da n. 10.000 a n. 1.256.000 circa; mentre sono marcati “Carl Zeiss” (senza la parola Jena) nei modelli successivi. I "Carl Zeiss" sono da preferire agli "Zeiss Opton".
Cose da sapere:
1) i primissimi “Zeiss Opton” sono da scartare per via della scarsa qualità del barilotto (ma sono praticamente introvabili);
2) Tutte le lenti “Zeiss Opton” e “Carl Zeiss (senza Jena)” sono coated. Non hanno la lettera T rossa solo perché non ve n’è bisogno (essendo appunto solo coated non c’è da confondersi). Solo i primissimi modelli “Zeiss Opton” (il numero di serie più alto da me conosciuto è 887.000) presentavano un T rossa, il che comunque non li distingue in nulla da quelli senza T.
3) queste lenti occidentali sono soggette ad un difetto: la separazione delle lenti, a causa di un collante nuovo che venne utilizzato al posto di quello anteguerra. Per questo motivo, prima di acquistare accertatevi accuratamente che, guardando attraverso la lente anteriore, non si vedano degli strani aloni (come delle macchie, spesso con colori dell’arcobaleno).
Nel caso scartatele, oppure (ma solo se il fenomeno è limitato e presente esclusivamente ai bordi della lente) pretendete una forte riduzione del prezzo.
le frecce indicano i punti dove le lenti si sono separate

I Sonnar 50/1.5 postbellici ed occidentali marcati “Carl Zeiss” sono il top.
Tuttavia anche gli altri Sonnar – quelli prebellici e quelli postbellici orientali (Germania Democratica - DDR) – non sono affatto malvagi.
- I Sonnar della Germania unita (nazista) prebellici sono tutti marcati “Carl Zeiss Jena” ed hanno un numero di serie compreso tra 1.280.000 circa e 2.520.000 circa
Non sono coated e quindi non hanno una T rossa incisa sul frontale.
- I Sonnar prodotti durante la guerra hanno un numero di serie compreso tra 2.520.000 circa e 2.842.000 circa. Si tratta di lenti che possono avere il trattamento antiriflesso, oppure non averlo. Possono avere attacco Contax oppure Leica a vite. Alcuni erano prodotti per usi militari, altri per l’esportazione nei Paesi neutrali (Svezia e Portogallo). Molte di quelle con attacco a vite sono false: si tratta di lenti sovietiche Jupiter (molto comuni) alle quali è stata cambiata la scritta frontale ed il numero di serie. Anche le lenti autentiche hanno tuttavia qualità molto altalenante. Evitate queste lenti e lasciatele ai collezionisti
- I Sonnar della Germania Democratica (DDR) vale a dire comunista, sono facilmente distinguibili: essi proseguono la numerazione seriale della Germania prebellica (il numero di serie più basso da me conosciuto è 2.846.504), e parimenti è usata la scritta “Carl Zeiss Jena”, ma hanno una T rossa stampata a significare che la lente è dotata di trattamento antiriflessi. Inoltre recano la scritta “Germany”. Anche alcune lenti Zeiss anteguerra portavano la scritta “Germany”, ma solo quelle destinate all’esportazione. Le lenti Zeiss postbelliche occidentali portano invece la scritta “Made in Germany”.
Quanta differenza qualitativa esiste tra i Sonnar 50/1.5 postbellici occidentali e gli altri due?
Non ho sufficienti competenze ed esperienze per rispondere. A grandi linee è possibile dire che un modello coated ha prestazioni superiori rispetto al non coated, anche se, nelle lenti Sonnar, questo aumento di qualità è molto inferiore rispetto alle lenti della concorrenza (perché erano molto superiori già in partenza). Le lenti Leitz del dopoguerra, al contrario, hanno tratto un giovamento enorme dal trattamento antiriflessi, per cui hanno notevolmente ridotto il divario che le separava dalle lenti Carl Zeiss. Amara constatazione, visto che il trattamento antiriflessi è stato appunto inventato dalla Carl Zeiss, la quale non ha potuto nemmeno beneficiare dell’esclusiva del brevetto del 1939, perché alla fine della guerra (1945) tutti i brevetti tedeschi sono stati annullati e la tecnologia antiriflesso inventata dalla Zeiss è stata depredata da tutti gli altri concorrenti.
Riguardo alle lenti della Germania orientale (DDR) è possibile dire quel che si è già detto a proposito delle lenti sovietiche: 1) più sono vecchie e meglio è; 2) la vera differenza dipende, non già dalle materie prime o dalle tecniche costruttive, bensì dalla rigidità del controllo qualità.
I tedeschi (quantunque comunisti) erano comunque più rigorosi rispetto ai sovietici, per cui lo standard si è mantenuto discretamente alto.








2 commenti:

  1. Veramente ottimo. Grazie: chiaro, documentato e convincente
    Luigi

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  2. l'articolo e veramente bello e ben fatto,unico appunto anche se essenziale,la Zeiss Contax ha alla fine vinto la battaglia,con chi ??? con Nikon ovviamente,òa vecchie Nikon RF non erano altro (nella filosofia) che della Contax come la Nikon F che ha ucciso Leica relegandola in un mondo dei balocchi. Cordiali Saluti Enrico Nerozzi

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