Contax
o Leica?
discorso
sopra la funzionalità della fotografia analogica nel XXI secolo
Voglio comprare
una ottima macchina fotografica manuale e meccanica.
Sarà meglio una Leica o
una Contax? Una domanda
ricorrente, da ottanta anni circa.
Se la pone colui
che vuole affacciarsi nel mondo della fotografia, cercando una camera manuale,
a telemetro, che rappresenti il meglio che sia mai stato creato dall’uomo.
E’ abbastanza
evidente che questa domanda, sempre la stessa dagli anni trenta ad oggi, non
può aver avuto sempre la medesima risposta: negli anni ‘30 le persone si
spostavano in calesse su strade non asfaltate, nel 2015 viaggiano su auto
elettriche. Ovviamente in tutti questi anni è cambiato anche il mondo della
fotografia; non solo: in una era di immagini digitali è ovvio chiedersi anche
il senso dell’uso di una macchina fotografica meccanica e manuale 35 mm
fabbricata ottanta anni fa.
Occorre infine
porsi sempre dalla parte di chi vuole acquistare una fotocamera del genere,
comprendere come intenda utilizzare un tale capolavoro della meccanica di
precisione.
Prima di
rispondere pertanto si ritiene indispensabile introdurre quattro piani di
riflessione.
1 – collocazione
storica delle macchine fotografiche meccaniche manuali
2 –
caratteristiche oggettive della Contax II/III e della Leica II/III
3 – esame di
dati oggettivi, puramente numerici, o quantomeno oramai assolutamente pacifici
tra gli addetti ai lavori.
4 – esigenze di
tre diversi tipi di clientela: collezionista, utilizzatore stanziale,
utilizzatore viaggiatore.
1 – Collocazione storica delle macchine
fotografiche meccaniche manuali
Le macchine
fotografiche 35 mm meccaniche manuali a telemetro (sarebbe più corretto dire a
mirino galileiano, perché non tutte avevano un telemetro) sono state introdotte
sul mercato a partire dalla primavera 1925, quando la Leica ad ottica fissa fece
il proprio debutto alla fiera di Lipzia.
Ad onor del vero
le fotocamere a pellicola cinematografica (all'epoca 24 mm e non 35 mm) erano state inventate prima di allora (anzi l’italiana Ambrosio di
Torino, nel 1905, fu proprio la prima in assoluto
link), ma
non avevano mai avuto una diffusione significativa e soprattutto non avevano
alcuna pretesa di essere considerate fotocamere di qualità.
Il punto finale
dell’epoca delle 35 mm a telemetro deve essere individuato nel marzo 1960, il
giorno in cui, l’ing.
Masahiko Fuketa presentò, al Japan Camera Show di Tokio,
la
Nikon F, la prima
macchina fotografica reflex prodotta su scala industriale.
Prima di tale
data le 35 mm a telemetro erano l’unica opzione possibile per un fotografo
professionista (ad eccezione delle
Rolleiflex
e delle
Speed Graphic). Dopo il 1959 le telemetro diventarono improvvisamente oggetti
vintage, abbandonate da tutti i professionisti a favore della Nikon F, salvo
che da pochissimi “stravaganti”. Tra questi stravaganti vale la pena di citare
Horst Fass
(1933-2012. Mutilato da una mina nel 1967), pressocchè l’unico fotografo della
guerra del Vietnam (1963-75) a non essersi convertito alla Nikon F nera. Utilizzava
esclusivamente le sue tre Leica M3 ed una Contarex, tedesche come lui.
Questi 34 anni
di dominio delle macchine a telemetro può essere diviso in due tronconi
nettamente distinti: gli anni ‘30 e gli anni ‘50. Il decennio nel mezzo (gli
anni ‘40) può essere considerato come un medioevo fotografico: la seconda
guerra mondiale nel primo quinquennio, e le enormi difficoltà nella
ricostruzione e ripartenza della attività industriale nel secondo quinquennio,
avevano praticamente azzerato la produzione di macchine fotografiche. Quelle
poche costruite soffrivano di carenza di materie prime, per cui hanno un
elevato valore collezionistico, ma non eccellono di certo in qualità. Nella
seconda metà degli anni ‘40, proprio la temporanea assenza dal mercato dei
colossi fotografici tedeschi, spinse molte fabbriche europee (quasi tutte
italiane) a tentare l’avventura della produzione delle 35 mm. Si trattava si
imprese minuscole (alcune di queste erano mere botteghe artigiane) che hanno
sfornato un numero limitatissimo di fotocamere, tuttavia di qualità accettabile
ed oggi molto ricercate dai collezionisti. Negli anni ‘50, con il ritorno dei
colossi tedeschi, questa breve primavera venne spazzata via.
Nel primo
decennio (anni ‘30) e nel secondo (‘50) Leitz e Zeiss Ikon si sono affrontate
in una competizione acerrima, ma anche piuttosto originale.
Introduciamo
i competitori
Ernst Leitz di
Wetzlar e Zeiss Ikon di Dresda erano imprese commerciali dalle dimensioni molto
diverse. Leitz era molto più piccola di Zeiss Ikon, ma soprattutto era sola al
Mondo. Di contro Zeiss Ikon faceva parte dell’enorme gruppo Carl Zeiss Jena, un
colosso mondiale, primatista assoluto ed incontrastato nel campo di tutte le
lenti, tra le quali, le lenti fotografiche la vedevano parimenti primeggiare di
gran lunga su ogni altro concorrente. Per rendere una idea Leitz era
confrontabile con la odierna fabbrica di motociclette Ducati, mentre Zeiss Ikon
con la Honda. Non solo quest’ultima produce un numero di motociclette molto
superiore rispetto alla Ducati, ma soprattutto la divisione moto è solo una
parte rispetto alla produzione vastissima della Honda Corporation. Appare
opportuno illustrare una breve storia delle due imprese.
Carl
Zeiss di Jena
Nel 1846 il sig. Carl Zeiss, di anni 30, apre la sua bottega di ottica a
Neugasse lungo la strada che porta a Jena. Produce principalmente microscopi.
Tutta l’opera di
Carl Zeiss era basata sul metodo empirico; vale a dire: “prova e sbaglia”. Era
ovvio che questo metodo di produzione comportava lo spreco di grandi quantità
di materiale. Il sig. Zeiss si occupava personalmente di distruggere a
martellate i suoi microscopi che non avevano superato il controllo qualitativo,
prima di essere immessi sul mercato. Zeiss si convinse presto che l’approccio
empirico non poteva portarlo lontano: aveva bisogno di introdurre nella propria
fabbrica dei seri studi scientifici, per ottenere prodotti più precisi, in
minor tempo e con minori sprechi. Nel 1866 Zeiss trovò casualmente quello che
cercava: nel corso di una visita all’Università di Jena conobbe il prof.
Ernst Abbe, successivamente docente a Jena.
Abbe fu subito
assunto nella officina Zeiss come Direttore della ricerca per i prodotti
ottici. Nel 1872, dopo sei anni di lavoro applicati alla produzione di nuovi
tipi di vetro ottico, il laboratorio Zeiss sfornò un “microscopio composto” di
qualità senza pari. Questo strumento è il progenitore di tutti i moderni
microscopi composti in uso oggi.
Come ricompensa
per i suoi sforzi, nel 1876 Carl Zeiss nominò Abbe come partner nel suo fiorente
business. Nel 1879 il terzo membro del team che ha creato la società Carl
Zeiss, venne invitato da Abbe ad unirsi a lui e a Zeiss nello sforzo continuo
per migliorare il microscopio. Friedrich Otto Schott studiò l’uso del litio in un nuovo tipo di vetro
ottico, e scrisse al dottor Abbe descrivendo il suo progresso. Abbe
immediatamente iniziò ad interessarsi e, testato il vetro, ebbe elogi per le
scoperte di Schott.
Nel 1888 muore
Carl Zeiss, il quale pertanto (per ironia della sorte) non vide mai nessuno dei famosi obiettivi che portano tutti il suo nome.
1889, per
iniziativa di Abbe, nasce la
Carl Zeiss Stiftung (Fondazione Carl Zeiss) con sede a Jena la quale giocherà un ruolo decisivo nella storia mondiale della fotografia. Il figlio di Zeiss, unico
erede, vendette tutte le quote ereditate ad Abbe.
1890 l’azienda
si ingrandisce sempre più, il settore degli obiettivi per uso fotografico viene
affidato con successo alla direzione di
Paul Rudolph (1859-1935). Inizia la
produzione di lenti fotografiche:
Anastigmat - Protar (1890) (
schema)
Unar (1899)
(schema)
Planar
(1896)
(schema)
Tessar (1902)
(schema)
Tanto per rendere una idea, occorre considerare che tutte le
lenti fotografiche discendono da soli 4 capostipite: Double Gauss (1888);
Anastigmat – Protar (1890), Cooke Triplet (1893) e Tessar (1902).
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Zeiss Protar (1890) Cooke Triplet (1893) Zeiss Tessar (1902) |
Ebbene due di queste quattro lenti (Protar e Tessar) furono inventate da Paul Rudolph per
la Carl Zeiss, mentre una terza (Planar 1896) è il perfezionamento, sempre ad
opera di Paul Rudolph per la Carl Zeiss del Double Gauss. In pratica Zeiss ha
contribuito per i ¾ alla storia universale dell’ottica fotografica. La lente "Protar" venne, alla nascita (1890) battezzata "Anastigmat" per evidenziarne le caratteristiche di esenzione dal difetto dell'astigmatismo. Tuttavia tale nome non venne registrato, per volontà di Ernst Abbe, il quale sosteneva che "la scienza è di tutti". I concorrenti della Carl Zeiss fecero a gara per denominare con il nome "Anastigmat" le proprie lenti, con ciò ingenerando nei consumatori la fallace convinzione che, la qualità delle loro lenti, fosse simile a quella della Zeiss. Ne risultò una rapida discesa del prestigio del nome "Anastigmat" e la Carl Zeiss reagì cambiando nome alla propria lente, denominata da allora sino ad oggi "Protar" dal greco proto (primo) a cui venne aggiunto il suffisso ar, molto in voga all'epoca nella denominazione delle lenti fotografiche. Con ciò Zeiss volle orgogliosamente ricordare la propria primogenitura nella invenzione di tale importantissima lente. Per quanto
riguarda il quarto ed ultimo capostipite (Cooke Triplet) l’ing. Ludwig Bertele della Carl Zeiss sviluppò nel 1929 lo Zeiss Sonnar, che rappresenta il frutto migliore della
famiglia del Triplet.
Il Planar, inventato nel 1896, non venne sfruttato commercialmente dalla Zeiss sino al 1957, perchè il numero di passaggi aria/vetro (otto), prima della scoperta del trattamento antiriflessi delle lenti, creava un eccessiva rifrazione, tanto da pregiudicare la qualità dell'immagine che pareva poco incisa. Il numero di lenti, inoltre alzava il prezzo di produzione. Il Planar dunque era un diamante rimasto grezzo per 61 anni. Tuttavia era un diamante vero, e se ne ebbe la riprova nel 1966 quando Zeiss presentò l'obiettivo fotografico più luminoso della storia: era un Planar 50/0.7 (schema ottico) commissionato a Zeiss dalla NASA per fotografare la superficie della Luna, al fine di decidere quale fosse il punto migliore dove allunare. Questo obiettivo fantastico (solo 10 pezzi prodotti) venne usato solo in quella occasione e dal regista Stanley Kubrick per il film "Barry Lyndon".
Solo la fotografia sa regalare storie talmente incredibili. Chi fosse interessato può leggerla qui.
Torniamo al 1896. Il Planar per il momento era un fiasco dal punto di vista commerciale. Paul Rudolph aveva pertanto fatto perdere molto denaro alla Carl Zeiss. Dovette correre ai ripari ideando un obiettivo che rappresentasse l'esatto opposto del Planar: economico da costruire (solo 4 lenti in 3 gruppi), spartano, dalla superba incisione, poco luminoso, da vendere a prezzi bassi e di larghissima popolarità. E' la descrizione esatta del Tessar. Lo si sarebbe potuto chiamare "anti-planar" ed avrebbe reso maggiormente l'idea. Il Tessar (e tutte le sue imitazioni) è stato probabilmente l'obiettivo più venduto della storia. Rudolph dimostrò a Zeiss che sapeva progettare sia una ottica elitaria come il Planar, sia una popolarissima come il Tessar. Da notare che il
Tessar, contrariamente a quanto molti credono, pur avendo tre gruppi di lenti,
non discende dal Triplet di Cooke, bensì dalle quattro lenti del Protar. Più precisamente il Tessar mutua le due lenti anteriori dall'Unar (idem inventato da Paul Rudolph) ed il gruppo posteriore dal Protar (idem creazione di Rudolph) (foto). Per questo motivo il Tessar non discende da una delle altre tre lenti capostipite, bensì ne costituisce una quarta a se stante. Le lenti discendenti dal Tessar sono innumerevoli, perchè, come detto, è una lente facile ed economica da costruire, poco luminosa ma con una definizione eccezionale. E' la lente perfetta per tutte le fotocamere ad ottica fissa con prezzo di fascia bassa.
1891 Alla loro
morte, sia Abbe che Schott cedettero le rispettive quote alla Fondazione Carl
Zeiss, la quale divenne così la unica proprietaria di tutte le imprese Carl Zeiss.
1925 La Ernst
Leitz di Wetzlar stupisce il mondo introducendo la Leica, la prima fotocamera 35 mm della storia.
1926 La fondazione Zeiss reagisce alla mossa di Leitz
decidendo di produrre macchine fotografiche. Acquisisce quattro industrie
fotografiche tedesche: Optische Anstalt C. P. Goërz (Berlino), Contessa Nettel
(Stoccarda), ICA (Dresda) ed
Ernemann (Dresda), le fonde insieme e crea la Zeiss Ikon SA con sede a Dresda.
La politica è
quella di continuare a produrre le medesime macchine fotografiche delle imprese
assorbite, ma dotandole di obiettivi Zeiss. Fu imposto anche l’uso del solo
otturatore “Compur”, con la sola eccezione delle camere più economiche, dotate
del “Klio”.
Dunque Zeiss
Ikon si riforniva esclusivamente da Carl Zeiss Jena per equipaggiare di lenti
le proprie fotocamere. Tuttavia Carl Zeiss Jena era libera di fornire le
proprie lenti anche ad altri produttori di fotocamere.
Occorre
soffermarsi sulla politica commerciale della Carl Zeiss, strano miscuglio di monopolismo
e socialismo utopistico filantropico, con sconfinamenti nell’assistenzialismo tout
court.
Carl Zeiss era
una impresa manufatturiera di enorme successo, leader nell’ottica mondiale ed
una delle più grandi industrie della Germania. Dopo la prima guerra mondiale
l’economia della Repubblica di Weimar era squassata da gravissime crisi, a
cagione dei costi della ricostruzione postbellica e del peso dei risarcimenti
per i danni di guerra che furono inflitti alla Germania dal trattato di
Versailles.
La inflazione in
Germania ha conosciuto tre gravissime fiammate nel giro di pochi anni che hanno
condotto sul lastrico milioni di persone. In questa situazione di crisi, le
numerose acquisizioni (a prezzi irrisori) da parte di Carl Zeiss delle imprese
concorrenti (che altrimenti sarebbero fallite), non solo non furono ostacolate
dal Governo centrale per la tutela del mercato (antitrust) contro la nascita
dei monopoli, bensì vennero al contrario incoraggiate.
Questo spiega
come sia stato possibile, per la Carl Zeiss, divenire il monopolista quasi
assoluto di tutta la filiera dell’ottica e della fotografia in Germania. Non
solo per la produzione di lenti, ma anche dei vetri e dei corpi macchina.
Al tempo stesso
la politica commerciale della Carl Zeiss era determinata dalla proprietà, ossia dalla Fondazione Carl Zeiss, la quale proseguiva ed attuava le idee filantropiche del fondatore Ernst Abbe. Quando la Carl Zeiss (impresa) acquisiva una industria concorrente, la
Carl Zeiss (Fondazione) imponeva che nessun operaio fosse licenziato, immolato
sull’altare della “razionalizzazione” della produzione. Addirittura, le
fabbriche un tempo concorrenti ma ora riunite in un medesimo gruppo,
continuavano ad immettere sul mercato dei prodotti sostanzialmente identici; come se non vi fosse stata una acquisizione. Il risultato di questa politica
portò Zeiss Ikon a produrre contemporaneamente fino a 220 “diversi” modelli di
macchine fotografiche. Ovviamente, molti di questi 220 modelli si
assomigliavano molto tra loro. Provate ad immaginare, una grande marca di
fotocamere (Canon o Nikon) che oggi produce: un solo modello di fotocamera
ammiraglia per i professionisti. Altri cinque modelli di fotocamere
professionali (per professionisti o amatori di alto livello). Altri due modelli
semi-professionali ed altri due modelli entry-level. Totale 10 modelli reflex.
Aggiungiamo anche le compatte digitali mirror-less (30 modelli), arriviamo ad
un totale complessivo di 40 modelli. Che senso hanno gli altri 180 modelli che
mancano per arrivare al numero di 220? E’ ovvio che si tratta di rami secchi.
Gli sprechi che comportavano tali duplicazioni di linee produttive, all’interno
dello stesso gruppo, venivano coperti con i profitti da monopolio. Anche le
“sinergie di gruppo” (una sola fabbrica di otturatori interna è la fornitrice
di tutte le industrie fotografiche del gruppo; idem per i vetri ottici) in
realtà erano degli sprechi produttivi: un otturatore non veniva scelto in
quanto il migliore sul mercato, bensì perché era quello prodotto all’interno
del gruppo Carl Zeiss da una impresa che non poteva essere chiusa perché la
Fondazione lo impediva. L’altissimo standard della qualità produttiva del
reparto ottica, da solo, generava profitti in grado di mantenere in piedi i
reparti in perdita. Zeiss Ikon, ossia il reparto fotografico di Carl Zeiss, era
dunque al tempo stesso un gigante (il più grande produttore mondiale), ma
malato di inefficienza per il mancato taglio dei rami in perdita. E’ in questa
condizione che, nel 1926, la direzione della Zeiss Ikon decideva di entrare nel
mercato delle 35 mm (monopolio assoluto di Leica) creando un nuovo marchio ad
hoc: la Contax, destinato a
rappresentare il diamante della produzione fotografica Zeiss.
Occorre
premettere che il mercato delle fotocamere 35 mm era appena stato creato da
Leitz (1925), ma si era immediatamente imposto come lo standard più alto di
qualità.
Il progetto
viene affidato ad un team composto dai migliori ingegneri Zeiss, coordinato
dall’Ing.
Heinz Küppenbender.
Contemporaneamente Carl Zeiss Jena si occupava della progettazione delle
migliori ottiche mai viste prima a corredo di tale corpo macchina. Si trattava in
realtà di adattare tutte le migliori ottiche Carl Zeiss al formato 35 mm e di
dotarle di attacco a baionetta Contax.
Ma Carl Zeiss
non si volle limitare a questo: per la Contax mise in produzione due lenti
eccezionali del tutto nuove, brevettate nel 1929 ma non ancora immesse sul
mercato: il
Sonnar 50/2.0 (6 lenti in 3 gruppi) e soprattutto il mitico
Sonnar 50/1.5 (7 lenti in 3 gruppi), ritenuta la migliore lente “normale” (ossia 50
mm) mai costruita per una camera 35 mm.
Ad onor del vero
i Sonnar avevano una grande storia alle spalle:
Nel 1923 l'ing.
Ludwig Bertele (1900-1985) creò, per la fabbrica
Ernemann di Dresda, la lente Ernostar 105/1.8 (1923), discendente dal Cook Triplet, la quale equipaggiava la fotocamera (6x4,5) Ermanox. Si trattò di una fotocamera rivoluzionaria (grazie alla eccezionale luminosità della lente Ernostar 1.8), perchè permetteva ai professionisti di fotografare senza treppiede. Quella fotocamera segnò pertanto la nascita del fotogiornalista come lo intendiamo oggi, ossia colui che riprende la scena di sorpresa, senza chiedere al soggetto ripreso di mettersi in posa. Erich Salomon, denominato il "re degli indiscreti" fu il capostipite di questo nuovo tipo di fotogiornalista; lavorava soprattutto in occasione dei vertici internazionali. Era famoso per i suoi scatti "rubati" con i quali coglieva primi ministri e ministri degli esteri in pose informali. A volte parecchio informali. Nel 1928 fotografò la firma del Patto Briand-Kellogg
entrando nella sala e sedendosi nella postazione vuota del delegato polacco. Quando, nel 1926, la Carl Zeiss acquistò la fabbrica Ernemann (che insieme ad altre andò a costituire la Zeiss Ikon), Bertele si ritrovò ad essere un dipendente Zeiss. Per la Carl Zeiss Bertele sviluppò la propria lente Ernostar e creò il Sonnar 50 f 2.0 e f 1.5 per le fotocamere 35 mm.
Senza dubbio il Sonnar è la migliore lente della famiglia
discendente dal capostipite Cook Triplet.
Nel 1932 viene
immessa sul mercato la
Contax I, da subito corredata con sei eccellenti ottiche
Carl Zeiss: ben quattro “normali” (50 mm): Tessar 50/3.5; Tessar 50/2.8; Sonnar
50/2.0 e Sonnar 50/1.5 oltre a due teleobiettivi: Triotar 85/4 e Sonnar 135/4.
Già l’anno successivo le ottiche per la Contax diventeranno dieci: si
aggiungono il Tessar 28/8, il Biotar 40/2, il Sonnar 85/2 ed il Tele-Tessar
180/6.3. Nessuna altra fotocamera al mondo, di nessun formato, poteva vantare
dieci ottiche. Quello che sorprendeva maggiormente era tuttavia l’eccezionale
(per l’epoca) luminosità delle ottiche.
Quattro anni
dopo, nel 1937, le lenti disponibili erano diventate quindici. Tra queste due
ottiche di fama eccelsa: il Biogon 35/2.8 e l’ (Olympia) Sonnar 180/2.8, che si
aggiungono ad Orthometar 35/4.5, Tele-Tessar 300/8 e Telephoto 500/8.
Ernst
Leitz di Wetzlar
Nel
1869
Ernst Leitz I (1843-1920), un meccanico
nativo di Baden trasferitosi a Wetzlar, rilevava la impresa (di cui era già
socio dal 1865) fondata nel 1849 da un altro meccanico, ottico autodidatta,
Carl Kellner prematuramente scomparso, il quale aveva inventato delle lenti per
microscopio prive di distorsioni.
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Ernst Leitz I (sinistra) e Oskar Barnack |
Cambiato il nome in Ernst Leitz, la impresa
produceva soprattutto microscopi, la cui produzione crebbe esponenzialmente:
nel 1887 venne costuito il microscopio n. 10.000; nel 1891 n. 20.000; nel 1899
n. 50.000; nel 1907 n. 100.000 che fu donato al batteriologo Robert Coch. Sin
da allora Leitz aveva adottato quella politica pubblicitaria che sarà
proseguita successivamente per le fotocamere Leica: donare il proprio prodotto,
marcato con un numero di serie significativo, ad una personalità molto illustre.
All’inizio del ‘900 la impresa aveva già fama mondiale, nota anche per il
trattamento dei propri dipendenti: aveva introdotto un orario di 8 ore
lavorative e costruito un centro benessere per i propri dipendenti. La prima
guerra mondiale cagionò ingenti danni alla fabbrica.
Nel frattempo,
nel 1911, dietro raccomandazione del costruttore di cineprese Emil Mechau, era
stato assunto alla Leitz un ingegnere meccanico di precisione che in precedenza
aveva lavorato nella Carl Zeiss di Jena:
Oskar Barnack (1879-1936), il quale aveva in mente una idea molto
precisa e stava cercando un partner per realizzarla. Barnack aveva due grandi
passioni: la fotografia e la montagna; ma anche dei seri problemi di salute che
gli impedivano di trasportare carichi pesanti. Nel 1913 la fotografia era
certamente diffusa, tuttavia gli apparecchi fotografici erano di legno, molto
ingombranti e soprattutto pesanti. Barnack voleva realizzare un apparecchio
fotografico molto piccolo, molto leggero, ma dalla qualità elevatissima. Il suo
slogan era “una piccola fotocamera, per delle grandi fotografie”.
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Oskar Barnack |
Occorre tuttavia sfatare
alcuni luoghi comuni. Non è vero che, prima del 1913, non siano esistite
fotocamere di formato più piccolo rispetto a quelle pesanti di legno di cui
sopra. Sin dal 1888 erano commercializzate dalla Kodak fotocamere di formato 6x9 precaricate di pellicola, pronte a scattare, da spedire al laboratorio che avrebbe restituito le stampe e la fotocamera di nuovo carica link. Non solo: già nel 1905 esistevano anche alcuni modelli più piccoli che
utilizzavano la pellicola cinematografica link. Non
è corretto pertanto dire che fu Barnack il primo a pensare di usare tale
pellicola per le macchine fotografiche. Il punto è che le fotocamere a pellicola cinematografica anteriori a
quella di Barnack erano modelli di scarsa qualità, una specie di curiosità per
amatori. Quelle fotocamere inoltre, anche se usavano la pellicola cinematografica (che oggi chiamiamo 35 mm, ma che allora non si chiamava così) non erano delle 35 mm. Come vedremo tra poco fu Barnack ad inventare il formato 35 mm (24x36 mm), usando due fotogrammi appaiati del formato cinematografico (che era 18x24 mm). Il vero merito di Barnack tuttavia fu quello di scommettere che una 35 mm
potesse diventare una fotocamera di altissima qualità, adatta ad usi
professionali ed in grado pertanto di scalzare, il monopolio delle camere di medio e grande
formato, dagli usi fotografici più redditizzi. Barnack non inventò quindi la
fotocamera 35 mm, ma inventò la fotocamera che ha imposto lo standard 35 mm nel settore fotografico.
Parimenti non è
vero che, prima del 1913, la Leitz non si fosse mai occupata di fotografia; al
contrario aveva realizzato numerose
lenti fotografiche.
Leitz produceva
ottiche, ma non i corpi macchina. O meglio commercializzava delle macchine
fotografiche di legno 4,5x6 denominate Klapp-Kamera e
Moment-Kamera;
ma esse erano fabbricate da artigiani locali: Leitz si limitava a dotarle di
ottiche ed ad apporvi il proprio marchio. L’unica fotocamera prodotta in
proprio da Leitz fu la
Hand-Kamera,
che tuttavia rimase a livello di prototipo.
Per realizzare
la fotocamera compatta di alta qualità che aveva in mente, Barnack aveva
tentato senza successo varie strade; sino a quando, nel 1913, non ebbe l’idea
di utilizzare la pellicola cinematografica. Barnack aveva constatato che le pellicole per il cinema avevano oramai raggiunto qualità molto alte, tuttavia, la dimensione del fotogramma cinematografico (18x24 mm) non lo soddisfaceva: lo giudicava troppo piccolo per produrre stampe di alta qualità. Poichè la larghezza della pellicola a 24 mm si era oramai affermata come standard (pertanto non era immaginabile di poterla mutare) Barnack ebbe una idea tanto semplice quanto geniale: trasformò il lato lungo del fotogramma (24 mm) in lato corto, mentre il nuovo lato lungo derivò dalla somma di due vecchi lati corti (18+18=36 mm). Nasceva in questo modo il formato 35 mm. Chi pertanto sostiene che esistevano delle fotocamere 35 mm prima di quella di Barnack afferma una inesattezza: esistevano fotocamere a pellicola cinematografica, è vero, ma non erano 35 mm bensì 24 mm; perchè il 35 mm è invenzione di Barnack. Sfruttando i macchinari della
Leitz, Barnack realizzò il suo prototipo: la UR-Leica. UR sta per “Urbild” che in tedesco significa
“archetipo”, equipaggiata con una ottica cinematografica: il Kino Tessar della
Carl Zeiss (la fabbrica dove Barnack lavorava sino a pochi anni prima).
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la "madre" della UR-Leica |
Barnak non
scelse una ottica Leitz per un motivo evidente: se la pellicola era quella
cinematografica, aveva bisogno di una ottica cinematografica, e la Leitz non ne
produceva. Era nata la prima 35 mm al mondo. Ad onor del vero, la lente Zeiss Tessar Kino impressionava fotogrammi cinematografici (18x24) per cui l'intuizione di Barnak del 35 mm non potè trovare applicazione sino a quando l'ing. Berek (come vedremo) non progettò la prima lente 35 mm al mondo: l'Anastigmat/Elmax (5 lenti in 3 gruppi). Il 35 mm venne inizialmente denominato "formato Leica", e successivamente (quando venne adottato anche da altre case) "35 mm"; nome che passò in seguito ad indicare anche la pellicola cinematografica. In questo modo si è creata la convinzione che le fotocamere a pellicola cinematografica antecedenti alla Leica fossero delle 35 mm. Tuttavia non lo erano affatto. La prima UR-Leica (ne venne fatta anche una seconda per uso privato di Barnack) è attualmente conservata nel museo della Leitz a Wetzlar ed ha un valore non calcolabile. L'esemplare di Barnack fu ereditato dal figlio bottegaio, il quale la vendette ad un'asta ad uno sconosciuto, e da allora se ne sono perse le tracce. Poichè è inspiegabile il motivo per il quale l'attuale proprietario non si manifesti, è altamente probabile che sia stata gettata nella spazzatura. Barnack usò il suo prototipo per molti anni, ed alcune foto sono giunte fino a noi: la qualità era decisamente buona e "la macchina di Barnack" fu apprezzata anche dal titolare Ernst Leitz I. Tuttavia il progetto di Barnack rimase inattuato fino al primo dopoguerra, quando Ernst Leitz I, in un contesto di profonda crisi economica, fu costretto a scommettere su un prodotto nuovo e diverso per rilanciare la propria industria.
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UR-Leica (1913) |
Si tenga conto che, prima di allora, la Leitz non aveva mai
prodotto una sola macchina fotografica nei suoi 50 anni di vita. O meglio, ne
aveva prodotta una sola: la UR-Leica, il prototipo di Barnack. (Ad onor del
vero le UR erano tre, le due già citate più la madre della UR-Leica, a cui va aggiunto il prototipo della Hand-Kamera 6x4,5).
La decisione di gettarsi, senza nessuna esperienza, nel mercato delle macchine
fotografiche, rischiando la sopravvivenza della Leitz, fu pertanto veramente
coraggiosa. Se il tentativo non avesse avuto successo Leitz sarebbe fallita ed avrebbe
fatto la fine di tutte le altre fabbriche di ottiche tedesche del primo
dopoguerra: sarebbe stata rilevata a costo zero ed assorbita all’interno del
gruppo Carl Zeiss. Non si pone mai mente al fatto che, la straordinaria
caratteristica delle macchine Leica (meccanica perfetta, ma al tempo stesso
estremamente semplice e pertanto affidabile e resistente) è frutto anche di
questa drammatica scelta: essendo costretta a rischiare, Leitz pretendeva
quantomeno il contenimento al minimo dei rischi. Niente colpi di teatro, niente
originalità narcisistiche: navigare lungo la costa, ossia attenersi il più
possibile a soluzioni semplici e di sperimentata efficacia. Come vedremo la
politica di Zeiss Ikon sarà del tutto opposta. Una volta presa la decisione di
produrre le fotocamere 35 mm vennero migliorati l’otturatore ed il contapose
della UR-Leica; i tempi di scatto furono portati da 2 a 6 incluso Z (ossia il
tempo T); inoltre la fotocamera fu dotata di un mirino galileiano e di un
obiettivo progettato appositamente per il nuovo formato.
Barnack inventò
la cassetta a tenuta di luce (Leica cassette), quello che noi oggi chiamiamo “rullino fotografico” e che prima della Leica non
esisteva; la quale, pre-caricata in camera oscura con la pellicola
cinematografica, permetteva di riavvolgere la pellicola esposta facendola
rientrare nel rullino (Leica cassette), e di sostituirla alla luce del giorno con un'altra da esporre,
consentendo in tal modo al fotografo grande autonomia senza aumentare le dimensioni della
macchina. Il primo rullino fotografico industriale venne messo in commercio solo nel 1932 dalla Perutz, aveva solo 4 ASA. Questo significa che, tra il 1925 ed il 1932 il fotografo Leica doveva necessariamente prepararsi da solo le Leica cassette, in camera oscura, usando la pellicola cinematografica. La vera novità introdotta da Barnack non fu tanto la fotocamera 35 mm,
quanto piuttosto la Leica cassette (che evolverà nel rullino fotografico) e l’azione di riavvolgimento della
pellicola all’interno dello stesso.
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Leica casssette aperta (a sinistra) e chiusa (a destra) confrontata con un moderno rullino fotografico |
Prima della
Leica la fotocamera veniva caricata e svuotata della pellicola soltanto in
camera oscura. Del resto è noto a chi usa una fotocamera medio formato (6x6)
che, ancora oggi, la pellicola passa dal rocchetto (
spool)
cedente (
take-out spool) a quello
ricevente (
take-up spool); e qui vi rimane, perchè non viene riavvolto. Quando si carica una nuova pellicola, il
vecchio
take-out spool ormai
privo di pellicola, viene cambiato di posto, e diventa il nuovo
take-up
spool. Con la Leica invece, per la prima
volta, la pellicola passa dalla
Leica cassette (
take-out cassette) [c] al rocchetto ricevente (
take-up spool) [m]; una volta terminato il film la pellicola viene
riavvolta all’interno della
Leica cassette.
Vale la pensa di
soffermarsi ancora sulla
Leica cassette
per descriverne il funzionamento e sottolineare come essa (inventata nel 1925)
sia, ancora oggi, più efficiente dei rullini fotografici industriali che
conosciamo. Una
Leica cassette
caricata di pellicola e pronta all’uso, si presenta con la coda di pellicola
che fuoriesce dalla
cassette, al
pari dei rullini moderni. Questi ultimi tuttavia sono dotati di velluto per
impedire alla luce di penetrare all’interno attraverso la feritoia da cui esce
la pellicola. La
Leica cassette
invece non ha alcun velluto, bensì una feritoia per l’uscita della pellicola
molto più larga. Lo stesso risultato di permettere alla pellicola di uscire, ma
impedire alla luce di entrare, è ottenuto attraverso il movimento di due
cilindri di ottone che scorrono uno all’interno dell’altro. Entrambi i cilindri
presentano una larga feritoia da cui fuoriesce la pellicola quando le feritoie
sono allineate. Quando invece non lo sono la luce non può entrare, ed un blocco
meccanico impedisce al cilindro esterno di ruotare accidentalmente con il
rischio di far combaciare le feritoie dei due cilindri. La base della Leica è
progettata in maniera tale che, una volta posizionata nella sua sede, ruotando
in senso orario (direzione “
zu” chiuso)
la leva che unisce la base al corpo macchina, viene automaticamente anche
liberato il blocco meccanico della
Leica cassette e contemporaneamente ruotato il cilindro esterno
dello stesso sino a far coincidere le due feritoie. In questo modo la pellicola
è libera di uscire dalla
cassette
attraverso l’ampia feritoia tra i due cilindri. Una volta esposta tutta la
pellicola (avvolta nel
take-up spool)
e riavvolta nella
Leica Cassette,
quando si ruota in senso antiorario (direzione “
auf” aperto) la leva alla base della Leica, lo stesso
meccanismo fa ruotare automaticamente il cilindro esterno della
cassette, in modo che la feritoia venga chiusa; e fa scattare
il blocco di sicurezza, in modo che non possa riaprirsi accidentalmente.
Rimossa la base della Leica la
cassette può essere asportata in tutta sicurezza anche alla luce del sole. Per quale motivo questo
sistema sarebbe migliore rispetto ai rullini industriali moderni? Perché nel
rullini industriali la pellicola non fuoriesce mai liberamente dal rullino
attraverso una ampia feritoia, bensì sfila attraverso il velluto che preme
costantemente sulla pellicola. In questo modo tuttavia la delicata pellicola
deve strusciare costantemente contro il velluto, il che significa che, in caso
di presenze di impurità (polvere) sul velluto, queste graffieranno la pellicola
lasciando un segno orizzontale molto visibile. Non solo: la pellicola deve
passare due volte attraverso il velluto, la prima in uscita, e la seconda in
entrata quando il rullino viene riavvolto. Usando la
Leica cassette invece la pellicola non entra mai in contatto con la
cassette; né in uscita, né in
fase di riavvolgimento. E’ la stessa differenza che esiste tra far passare un
foglio di carta sotto la fessura molto stretta di una porta chiusa, oppure attraverso
una porta aperta. Ovviamente il secondo modo è migliore, perché assicura che il
foglio non si sporchi durante il passaggio.
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Leica 0 ("null serie") n. 107 (1923)
Queste camere non erano in vendita, furono donate a dei fotografi per testarle
questo esemplare, in un'asta del 2012 a Vienna, è stato venduto a € 2,16 milioni |
Anche altre case
produttrici di fotocamere adottarono il sistema delle
cassette, e così abbiamo
le
Contax cassette,
Nikon cassette (anche per la Nikon F reflex!), Kiev, Canon
ecc.. Ognuna di queste cassette aveva una forma specifica, per non consentire l’utilizzo
sulla fotocamera di un altro produttore. Ovviamente la colpa della
incompatibilità non era di Leica (che fu la prima ad inventare la
cassette)
bensì dei suoi concorrenti, i quali copiarono servilmente la idea, ma
rancorosamente impedirono l’uso delle
Leica cassette nelle proprie fotocamere.
La scelta di riavvolgere la pellicola esposta nel medesimo rullino che lo conteneva, rese necessari un comando di sblocco ed un altro per riavvolgere la pellicola. Per comprendere sino a che punto Barnack abbia influito sulle nostre vite di fotografi è sufficiente porsi una domanda che avrete avuto anche voi: perché un rullino è lungo 36 pose (e non 30 o 40 o 45)? Non ho mai trovato una risposta. Una legenda tramandata nella fabbrica di Weltzar narra che, la lunghezza della pellicola da inserire nel rullino
Leica cassette, venne stabilita da Barnack: corrispondeva esattamente alla lunghezza delle sue braccia aperte.
Probabilmente è una favola, ma non cambia il punto
centrale del discorso: la lunghezza la decise Barnack da solo. Miliardi di
fotografi hanno camminato mettendo i loro piedi nelle orme tracciate da Barnak.
Torniamo al debutto della Leica. Leitz produsse una preserie di
31 (teorici) pezzi di Leica 0 (null serie), leggermente diverse fra loro, le quali vennero sottoposte al giudizio di alcuni fotografi nel 1923. Hanno numeri di serie da
100 a 130. In realtà i pezzi realmente realizzati furono 22 e di essi ne sopravvivono oggi solo 17.
Inizia l'avventura
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Leica I Anastigmat (1925)
La prima Leica venduta al pubblico aveva il numero 131. Questa riprodotta nella foto ha il n. 201
E' stata battuta all'asta per € 50.000,00 |
Nella primavera 1925 la Leica (LEItz CAmera) fu finalmente proposta al mercato in occasione della Fiera di Lipzia. La prima Leica I immessa sul mercato aveva il numero di serie 131.
La Leica I era
una machina perfetta: Leitz aveva fatto centro con il primo colpo (l’unico che
aveva in canna, perché non aveva risorse economiche per un secondo tentativo:
sarebbe fallita).
La Leica I era
equipaggiata con una ottica fissa, la lente Anastigmat 50/3.5 (5 lenti in 3
gruppi)
progettata da un altro genio assoluto che all’epoca era dipendente
della Leitz di Wetzlar:
Max Berek (1886-1949).
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albero genealogico delle prime Leica |
E’ decisamente
corretto affermare che tutta la fotografia che utilizziamo oggi (discendente
dal formato 35 mm) è nata dalla mente di due sole persone: Oskar Barnack per
quanto riguarda il corpo macchina e Max Berek per le ottiche. La lente 50 mm progettata da Beker per la camera di Barnack era nata quasi perfetta sin
dall’origine. Lo schema ottico era un semplice 5 lenti in 3 gruppi. Si ispirava
alla medesima politica industriale della Leica: prodotto semplice ed
affidabile. Per renderlo perfetto andava tolta una lente, cosa che avvenne
l’anno seguente (1926): nasce l’
Elmar 4
lenti in 3 gruppi. Prima della invenzione del trattamento antiriflessi (1935),
per tenere alta la qualità dell’ottica, era fondamentale ridurre al minimo il
numero di passaggi aria-vetro. Elmar ne ha solo 6 (3 gruppi = 6 passaggi).
Inoltre meno lenti significa minor peso e minori costi. Il miracolo di Berek è
stato quello di mantenere comunque alta la qualità, pur sottraendo lenti.
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Leitz Anastigmat 50/3,5 (1924 - 1925) Leitz Elmar 50/3,5 (1925 - 1961)Leitz Elmax 50/3,5 (1925) |
E’ importante
notare i rapporti che da subito si instaurarono tra Leitz e Zeiss, concorrenti
tra loro, ma entro determinati limiti.
Come abbiamo detto in precedenza il nome
“Anastigmat” era stato ideato dalla Carl Zeiss ed attribuito ad una propria
lente inventata nel 1890 (
4 lenti in 2 gruppi, quindi uno schema ottico del
tutto diverso rispetto alla lente di Berek). Tuttavia il nome “Anastigmat” non
era stato registrato, e ciò per una precisa scelta di politica idealistica di
Ernst Abbe, secondo il quale “la scienza è di tutti”. I produttori di lenti
concorrenti della Carl Zeiss gentilmente ringraziarono ed approfittarono a mani
basse di tale regalo di Abbe. Anche Leitz, in un primo momento, adottò il nome
“Anastigmat” per la propria ottica (quantunque lo schema ottico fosse diverso
rispetto a quello Zeiss); tuttavia pochissimo tempo dopo (nello stesso 1925,
dopo sole 250 lenti fabbricate, in aggiunta alle 31 della Leica 0) lo abbandò a
favore di un nome nuovo esclusivo: Elmax. Il nome è una fusione tra Ernst Leitz
e MAX Berek. Ne vennero prodotti 800. Otticamente sono identici all'Anastigmat (5 lenti, 3 gruppi).
E’ controverso
se tale scelta fu dettata da una forma di rispetto per il concorrente Zeiss, o
se per elevarsi dal gregge degli imitatori di Zeiss. Sta di fatto che, quando
(nel 1926) l’ottica venne modificata (da 5 a 4 lenti in 3 gruppi) cambiando
nome in Elmar, le strade di Leitz e
Zeiss si incrociarono nuovamente.
Il gruppo ottico
a 4 lenti in 3 gruppi era stato infatti inventato da Paul Rudolph (dipendente Zeiss) e brevettato nel 1902
dalla Zeiss, che lo aveva denominato
Tessar (dal greco “quattro” ad indicare appunto il numero di lenti). Allo scadere
del brevetto, la Leitz si era affrettata a brevettarlo a nome proprio,
denominandolo appunto Elmar. Il fornitore di Leitz per il vetro dell’Elmar era
la berlinese Goërz, la quale nel 1925 aveva introdotto un nuovo tipo di vetro
che aveva permesso a Leitz di passare, l’anno successivo, dall’Anastigmat/Elmax
5 lenti all’Elmar 4 lenti. Tuttavia poco dopo, nel 1926, la Goërz venne
acquistata (in regime fallimentare) dalla Carl Zeiss ed inglobata per dare
vita, come abbiamo visto, alla Zeiss Ikon. Carl Zeiss (Fondazione) decise di
cancellare la produzione di vetri ottici della Goërz, per lasciare l’esclusiva
all’altra propria controllata: la Schott. Come si vede Leitz si trovava a dover
lavorare circondata da ogni parte dalla potenza monopolistica di Carl Zeiss, la
quale aveva acquisito praticamente tutte le industrie tedesche legate
all’ottica ed alla fotografia, tranne poche eccezioni come la Voigtländer e la
Leitz, appunto. Leitz aveva l’assoluta necessità di approvviggionarsi di vetro
per le proprie lenti, e l’unico fornitore rimasto era la Schott, controllata
dalla concorrente Zeiss. La Schott fornì alla Leitz un vetro non
perfettamente identico al precedente della Goërz,
per cui Leitz dovette ricomputare lo schema ottico del proprio Elmar.
Se solo la Zeiss avesse voluto, avrebbe potuto utilizzare
la propria posizione dominante per schiacciare la concorrente Leitz,
semplicemente rifiutandosi di fornirle il vetro. Il monopolio della Carl Zeiss
era tuttavia temperato dai “precetti morali” della fondazione Carl Zeiss voluta
da Ernst Abbe, che continuava ad imporre i valori di questi determinando le
politiche commerciali del colosso di Jena.
Leitz, era cosciente di sopravvivere solo grazie alla
filantropia della Fondazione Zeiss. Per questo Leitz non tentò nemmeno di opporsi
quando la Carl Zeiss brevettò nuovamente il “proprio” Tessar, malgrado fosse
già attivo e vincolante il brevetto “Elmar” di Leitz per il medesimo schema
ottico. Alcuni sostengono che, malgrado lo schema ottico di Elmar e Tessar
fosse identico (4 lenti in 3 gruppi), Elmar non discenderebbe dal Tessar ma
sarebbe il frutto di autonomi calcoli di Berek. Di certo Elmar, al contrario
del Tessar, era stato computato, sin dall’origine, per l’uso con le fotocamere
35 mm. Per approfondire:
link
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Zeiss Tessar 50/3.5(1902) Leitz Elmar 50/3.5 (1926) |
Potrà anche essere vero che Berek nel 1926 arrivò, per
altra strada, allo stesso risultato a cui era giunto Paul Rudolph un quarto di secolo prima (1902); tuttavia resta il fatto che
si tratta di ottiche identiche, per cui la presunta differenza tra le due lenti
assomiglia molto ad una via di uscita diplomatica, visto che la strada
alternativa (fare la guerra alla Carl Zeiss) era semplicemente impossibile. A
mio avviso anche immorale, dal momento che è indubbio che la grandiosa
invenzione dello schema ottico di 4 lenti in 3 gruppi, è indiscutibilmente merito
della Carl Zeiss.
Ci siamo dilungati su queste vicende perché altrimenti non
si sarebbe colto il vero significato della “concorrenza” tra Zeiss e Leitz. Una
concorrenza serrata, ma all’interno di precisi limiti di rispetto reciproco,
tra due competitori molto diversi per mentalità, disponibilità economica e
dimensioni.
Conclusioni
La Carl Zeiss di Jena e la Ernst Leitz di Wetzlar
rappresentano due modi del tutto antitetici di pensare; quantunque, entrambi i
modi, siano propriamente tedeschi.
Il primo metodo, quello Leitz, consiste nello sforzo
intellettuale di una sola persona, la quale parte da un problema o da una
esigenza, ed isolandosi dal mondo, con l’impegno ed il genio, arriva a trovare
la soluzione. Una soluzione bella ed efficace nella sua apparente semplicità.
E’ un modo di ragionare questo che noi italiani possiamo comprendere bene: lo
riconsociamo nei grandi geni del Rinascimento (Michelangelo, Raffaello,
Leonardo) o negli scienziati contemporanei (Meucci, Marconi, Fermi).
Il secondo metodo, quello di Zeiss, si basa invece
sull’orgoglio della appartenenza ad un gruppo che, a torto o a ragione, si
sente superiore e si specchia (in maniera anche narcisistica) nella propria
bravura, prefissandosi traguardi ulteriori rispetto alla semplice soluzione del
problema; per potersi cingere il capo con l’alloro della “supplementare
complicazione aggiunta”. E’ difficile da comprendere, se non ci si immerge nel
modo di pensare tedesco: per risolvere il problema in maniera semplice è
sufficiente il singolo; ma noi siamo tedeschi, dobbiamo fare di più: il
problema va superato con una soluzione più “complicata” rispetto a quella
banalmente efficiente.
Questi due modi opposti di ragionare li ritroviamo,
rispettivamente, negli otturatori delle Leica e delle Contax.
2 – Caratteristiche oggettive della Contax
II/III e della Leica II/III
Prima di introdurre le misure delle Contax e delle Leica,
sarà opportuno parlare di come, le due diverse filosofie citate nel capitolo
precedente, abbiano influenzato le Leica e le Contax.
Le Leica a vite sono tutte figlie di un unico padre: l’ing.
Oskar Barnack. I modelli successivi alla Leica I sono dei meri
perfezionamenti dell’idea originaria, la quale è stata fedelmente conservata.
La Leica I corrisponde in pieno alla mia (non solo mia) definizione di una
macchina fotografica: “una scatola metallica, a tenuta di luce, dotata di un
otturatore, di una manopola per avanzamento pellicola e di un buco dove
inserire le lenti”. Niente telemetro,
esposimetro, vano batterie, specchi, fili elettrici, chips, circuiti stampati,
centraline, led, porte USB e display. Occorre accettare una banale verità: la
fotocamera è un apparecchio meccanico semplice e tecnologicamente povero. Se
proprio volete aggiungere qualcosa, dotatelo di un buon telemetro e basta. Già
l’esposimetro è di troppo, e quindi di danno.
Le qualità di un corpo macchina vanno ricercate altrove,
non già nella quantità di orpelli infilati ovunque, bensì nella robustezza del
corpo ed affidabilità del funzionamento.
Moltissime imprese hanno tentato di entrare nel mercato
delle macchine fotografiche con l’idea di aggiungere un quid pluris, un qualcosa in più che le altre camere non avevano. Per
farlo hanno sempre ingaggiato ingegneri ed operai provenienti dall’industria
orologiera. Errore fatale che ha infallibilmente condotto tali tentativi
all’insuccesso: una macchina fotografica è molto diversa rispetto ad un
orologio; direi anzi che sono due oggetti antitetici. In orologiera si cerca
la miniatura, la complicazione, la cosa in più; ovviamente inutile, ma che
altri orologi non hanno. In fotografia si cerca solo robustezza ed affidabilità
portate agli estremi.
La Leica I, quintessenza della semplicità ed affidabilità,
era equipaggiata con un otturatore altrettanto semplice ed affidabile. Un
otturatore
a tendine di stoffa a scorrimento verticale.
Questo otturatore non si rompe praticamente mai. Se qualche
accidente può occorrere ad esso riguarda le tendine, che possono (caso raro) strapparsi. E' altresì possibile che le tendine possano prendere fuoco, se si
lascia la macchina al sole con la lente priva di tappo (la lente concentra i
raggi di luce in un solo punto: la tendina appunto. In tal modo la “messa a
fuoco” diventava letterale).
Inoltre, con il freddo invernale le tendine si irrigidiscono e possono spaccarsi. Con il caldo eccessivo, al contrario, la gomma delle
tendine può squagliarsi. La sostituzione delle tendine di una Leica è
operazione relativamente facile, comunque alla portata di un qualsiasi
riparatore degno di questo nome, ed a costi ragionevoli.
Le Contax a telemetro, al contrario, sono il frutto di
ostentazione della bravura teutonica.
|
Otturatore a tendine di stoffa, a scorrimento orizzontale, della Leica |
Il più classico esempio del secondo modo di ragionare. La
più grande fabbrica mondiale di apparecchi fotografici (Zeiss Ikon), si
cimentava per la prima volta nella costruzione di una 35 mm. Non si trattava
solo di creare una scatola di metallo a tenuta di luce dotata di otturatore.
No, si trattava di creare un gioiello di meccanica, una fotocamera che si
ponesse all’apice, ad un livello di complicazione e perfezione tale che,
nessuno prima e nessuno dopo, sarebbe mai riuscito nemmeno ad avvicinarvisi.
Zeiss Ikon, affidò il progetto ad un team di ingegneri, ognuno dei quali
|
Otturatore a tendine metalliche, a scorrimento verticale, della Contax |
eccellente nel campo specifico di sua competenza, coordinati dall’ing. Heinz Küppenbender
.
La parte più complessa di una fotocamera è, evidentemente,
l’otturatore. Sull’otturatore il team di ingegneri Zeiss ha inserito il maggior
numero di complicazioni. Il motto di Oskar Barnack era: “fai la cosa
semplice”. Quello
di Heinz Küppenbender era: “fai il contrario di quel che ha fatto Oskar
Barnack”. Se le tendine dell’otturatore di
Barnack erano di stoffa, allora quelle della Contax dovevano essere di metallo.
Se le tendine di Barnack scorrevano orizzontalmente, allora quelle della Contax
dovettero scorrere in verticale. Se con la Leica si metteva a fuoco ruotando, con la mano sinistra, la lente dell'obiettivo; nella Contax la messa a fuoco doveva avvenire con la mano destra e ruotando una piccola rotellina vicino al pulsante di scatto. Se si aziona questa rotellina con l'indice, tuttavia, il dito medio della mano destra andrà a coprire la finestrella del telemetro, impedendo la messa a fuoco. per questo motivo, le istruzioni Contax esortavano il fotografo a muovere la rotellina con il dito medio, ed a scattare con l'indice. Postura totalmente innaturale, tanto che, ovviamente, i fotografi Contax se ne infischiavano della rotellina e mettevano a fuoco come i leicisti, ossia girando la lente con l'indice ed il pollice della mano sinistra.
Se l’otturatore
di Barnack si arma ruotando un pomello parallelo all’otturatore e posto sulla
parte superiore della camera, allora il pomello della Contax deve essere
perpendicolare e posto nella parte anteriore. Si trattava di un posto idiota
dove collocare il pomello di avanzamento, ma a Küppenbender non importava,
l’essenziale è che fosse diverso dal posto scelto da Barnack.
|
Il pomello per l'avanzamento della pellicola sulla Leica e sulla Contax I
Nella Contax II e III il pomello sarà spostato nell'unico posto logico dove deve stare: quello scelto da Barnack |
Si arrivò al
parossismo estremo con la take-up cassette
Contax. Abbiamo detto che Barnack aveva inventato il rullino di metallo (Leica
cassette) che conteneva la pellicola, e
l’azione di riavvolgimento della pellicola esposta, nel medesimo rullino, una
volta terminato il film. Si trattava pertanto di una take-out cassette. Gli ingegneri Zeiss Ikon non potevano prescindere
dal rullino di metallo di Barnack, ma per distinguersi in qualche modo “re-inventarono”
il procedimento di “non-riavvolgimento” della pellicola esposta nel rullino da
cui era uscita. Per ottenere questo risultato inventarono un secondo rullino di
metallo, ricevente la pellicola esposta (take-up cassette), e dal quale la pellicola non doveva più uscire per
rientrare nel rullino originario (take-out cassette, ossia la Leica cassette di Barnack). Pertanto, se un fotografo Leica andava a fotografare portandosi dietro 3 Leica cassette (tre rullini), il fotografo Contax doveva portarsi
dietro 6 Contax cassette: 3 take-out
cassette ed altre 3 take-up
cassette per contenere la pellicola esposta. In realtà le Contax cassette non
si dividevano tra take-out e take-up, tutte erano uguali e potevano essere utilizzate per l’una o
l’altra funzione. Tutto questo ingombro e confusione di cassette solo per evitare l’azione di riavvolgimento della
pellicola. Solo per non fare come Barnack. Non vi erano altri vantaggi.
Poiché si
trattava di un assurdo, quantunque le istruzioni della fotocamera Contax consigliassero
l’uso della take-up cassette, tuttavia
le Contax erano comunque dotate di meccanismo di sblocco e riavvolgimento della
pellicola.
Esisteva,
certamente, l’esigenza di evitare di violare i numerosi brevetti della Leica,
ma questo appare in molti casi solo un pretesto degli ingegneri Zeiss Ikon per introdurre complicazioni.
Il motivo vero era un altro: progettare un otturatore a tendina è troppo
semplice, noi tedeschi sappiamo fare cose molto, ma molto più complicate.
Si tratta di una classica applicazione del modo di ragionare
tedesco del secondo tipo.
Il punto debole di questo ragionamento è che esistono
alcune cose che sono semplici (come suonare il campanello di una porta) che devono restare
semplici. Complicarle artificiosamente, non solo non porta alcun vantaggio
(suonare il campanello con il naso), ma allontandosi dalla strada più semplice,
quasi certamente recherà un danno. E’ quello che è accaduto purtroppo agli
otturatori Contax.
Gli otturatori Contax presentano due gravi problemi:
1 – le tendine (curtains) sono state progettate come una piccola saracinesca di
un negozio, una serie di lamelle metalliche agganciate tra di loro e poggianti su
una guida: due nastri di stoffa (silk belts o ribbons).
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Sono ben visibili le tendine a "saracinesca", i due nastri di seta e la grande molla intorno alla quale si avvolge la tendina, quando viene premuto il pulsante di scatto |
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le lamelle metalliche della tendina si agganciano una all'altra |
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le due tendine metalliche poggiano sui due nastri di seta |
Questa stoffa è fatta con una seta (
silk tape) molto particolare, che era fornita alla Zeiss Ikon da una fabbrica
giapponese, oggi chiusa da decenni (maggiori informazioni
qui). La seta in
questione, per quanto molto resistente, è inesorabilmente destinata a rompersi
a causa dell’usura derivante dall’attrito durante lo scorrimento. In effetti Zeiss Ikon aveva previsto una
sostituzione di tali nastri di seta ogni 10 / 20 anni. Non si tratta di un
errore di progettazione, bensì di manutenzione ordinaria programmata. Il punto
è che, tale sostituzione dei nastri di seta, può essere effettuata
esclusivamente da un riparatore altamente specializzato (e pertanto è una operazione
costosa, quantunque di manutenzione ordinaria).
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le frecce indicano il punto dove si è spezzato il nastro di seta. Di fatto non esiste soluzione a questo problema.
Gli unici riparatori che hanno le competenze ed il materiale per sostituire i nastri di seta, infatti chiedono per la riparazione delle somme molto superiori al costo di una Contax II funzionante. |
La notizia peggiore è che, da molti decenni, questa
operazione non è più possibile tout court,
a causa della mancanza di nastri di seta nuovi. Si è tentato di sostituire tali
nastri di seta con altri materiali, ad esempio il naylon, ma i risultati sono
stati insoddisfacenti. Né è possibile usare i nastri delle Kiev sulle Contax,
in quanto essi sono molto più spessi e non scorrono affatto nelle Contax.
Questo
riparatore offre
tuttavia tale servizio, a dei prezzi che non oso immaginare.
In sostanza, tutti i nastri di seta, di tutte le Contax,
prima o poi si spezzeranno e le Contax rimarrano mute per sempre. Al pari di
tutte le stelle del firmamento che, presto o tardi, si spegneranno.
Molto poetico. Troppo, per i miei gusti.
2 – Il secondo problema è dato dalla irrimediabile
delicatezza dell’otturatore, a sua volta figlio della complicazione artificiosa
del meccanismo. Basti pensare che Zeiss Ikon, nei propri annunci pubblicitari
degli anni ‘30, menava vanto del fatto che, per costruire una Contax III, erano
necessarie 22.000 misurazioni. Ecco cosa intendevo dire per “specchiarsi, in
maniera narcisistica, nella propria bravura” senza alcun vantaggio, ma anzi
cagionando danni. E’ facile immaginare cosa accade se, a causa di un qualche
urto, un migliaio di quelle 22.000 misurazioni iniziano ad essere sballate.
|
Contax II vista ai raggi X |
Zeiss Ikon raccomanda continuamente di non trattare male le
proprie Contax. Viene citato l’esempio nefasto di una Contax gettata sul sedile
posteriore di una automobile. Le accelerazioni e brusche decelerazioni, con
annessi contraccolpi, possono essere fatali per l’otturatore della Contax (link)
La domanda sorge spontanea: un oggetto tanto delicato può
essere definito come la migliore macchina fotografica meccanica mai costruita
al Mondo in qualsiasi epoca?
Forse sarà la migliore macchina da tenere in vetrina, non
certo la migliore per essere usata.
Con questo si anticipa il tema del capitolo 4:
collezionista o utilizzatore?
Ma davvero le cose stanno in questi termini?
Dopo tutto Robert Capa ha usato la sua Contax II per
documentare la guerra civile spagnola, la guerra di resistenza cinese contro i
giapponesi, la seconda guerra mondiale (tra cui lo
sbarco in Normandia) e la
guerra di Indocina. Forse la Contax II non è tanto fragile quanto asserisce la
stessa Zeiss Ikon.
Passimo ai dati oggettivi
Misure
La Leica II (senza ottica) misura 13,4
x 6,7 x 2,9 cm
La Contax II (senza ottica) misura 13,9 x 8,5 x 4,3 cm
La Leica II pesa solo
corpo 409 gr. con
Elmar 50/3.5 520 gr.
La Contax II pesa solo
corpo 586 gr. con
Sonnar 50/1.5 prebellico 779 gr.
con Sonnar 50/1.5 postbellico 753 gr
La differenza di
259 gr (o 233 gr) si avverte parecchio durante le lunghe camminate a piedi.
3 – Panoramica di dati oggettivi, puramente
numerici,
o quantomeno oramai assolutamente pacifici
tra gli addetti ai lavori
I numeri parlano
e dicono molte cose, a chi sa farli parlare.
Prezzi
Per ogni prezzo
indicherò la quantità in marchi tedeschi (RM anteguerra o DEM postguerra) riferita all’anno di vendita, e tra
parentesi il prezzo in Euro 2015. Tale valore è ottenuto partendo dal prezzo (USD) di
vendita dell’epoca in USA, attualizzato in USD 2015 e poi convertito in Euro
(calcolato ad un cambio 1 EUR = 1,07 USD). Il prezzo 2015 pertanto si riferisce
a quanto sarebbe costato acquistare in USA nell’anno indicato, con dollari
2015, convertiti in euro. Indicherò anche in grassetto il valore attuale in euro
delle fotocamere usate valutato da questo
sito
(questo è un esempio
Leica I). Cercando bene si possono tuttavia spuntare prezzi anche molto
inferiori, la indicazione omogenea è comunque utile per un raffronto.
I prezzi in Euro
2015 vi appariranno bassi, appunto perché derivanti dal dollaro USA. Se
tuttavia si parte dal presupposto che, nel 1932, anno di introduzione della Leica
II e della Contax I, lo stipendio medio mensile di un operaio tedesco era di 80
RM (corrispondenti ad € 443,5 secondo lo schema di cui sopra), considerando che
lo stipendio medio di un operaio tedesco nel 2015 è pari almeno al quintuplo di
€ 443,5 (ossia € 2.217,33), per comprendere correttamente le cifre fornite
occorrerebbe moltiplicare per 5 tutti i valori Euro 2015 riferiti all’anno
1932. Solo in questo modo si comprende come mai, una Contax con obiettivo, nel
1932 costasse in Giappone (tra dazi doganali altissimi e cambio sfavorevole)
quanto un appartamento.
La Leica II con
Elmar 50/3.5 costava 240 RM (€ 1.358,12)
La Contax I con
Tessar 50/3.5 costava 245 RM (€ 1.386,55)
Sin da subito la
Contax I fu offerta con altri tre obiettivi normali:
Contax I +
Tessar 50/2.8 per 270 RM (€ 1.528,04)
Contax I +
Sonnar 50/2.0 per 320 RM (€ 1.811,01)
Contax I +
Sonnar 50/1.5 per 470 RM (€ 2.659,92)
Le lenti 50 mm
si vendevano esclusivamente abbinate al corpo macchina, tuttavia possiamo
ricavare il costo 1932 delle sole lenti attraverso dei facili ed affidabili
calcoli. Ad esse aggiungiamo le altre due lenti disponibili per la Contax già
dal suo lancio:
Già nel 1933 le
lenti diventeranno dieci, alle 6 iniziali si aggiunsero
nel 1934 dodici
Nel 1936
quattordici con l’aggiunta di due lenti eccezionali la cui fama dura ancora
oggi
e nel 1937
quindici
Questi numeri
già dicono molto. Zeiss Ikon ha subito giocato le proprie carte migliori: il
suo principale punto di forza era costituito dalla casa madre Carl Zeiss la
quale era, di gran lunga, il più grande e migliore produttore mondiale di lenti
fotografiche.
Gli addetti ai
lavori concordano nel sostenere che la qualità dell’Elmar e del Tessar,
entrambi 50/3.5 ed entrambi dotati di uno schema ottico identico (4 lenti in 3
gruppi), è praticamente uguale e molto alta. Anche il prezzo (1932) era
assolutamente identico Tessar 50/3.5 = 515 Lire; Elmar 50/3.5 = 513 Lire pari a
75 RM (€ 424,46). Tuttavia l’ottica Elmar 50/3.5 era la lente migliore che
Leitz fosse in grado di produrre prima della guerra: era il suo punto di
arrivo. Al contrario il Tessar
50/3.5 era, per Zeiss, il semplice punto di partenza, il prodotto più
economico. In aggiunta a tale lente “commerciale” Zeiss poteva offrire al
mercato altre tre lenti 50 mm, tra cui i due Sonnar, nettamente superiori a
qualsiasi altra lente fotografica dell’epoca. Se poi ci si spostava dalle lenti
normali (50 mm) alle altre focali, siano esse grandangolari o teleobiettivi, il
confronto tra i due parchi di ottiche diviene impietoso. Nessuna lente Leitz
diversa dall’Elmar 50/3.5 può avvicinarsi alla qualità delle lenti Carl Zeiss.
Zeiss Ikon
(controllata dalla Carl Zeiss Jena) pertanto aggrediva la posizione di Leitz
(monopolista nel solo settore 35 mm), offrendo un prodotto entry level (camera e lente) allo stesso livello qualitativo,
ed allo stesso prezzo di Leica. Tuttavia, per chi poteva spendere, si aprivano,
sin dal lancio della Contax I, possibilità qualitative di gran lunga superiori.
Nel 1936 Zeiss
Ikon lanciava due nuovi modelli: la Contax II e la Contax III. Si trattò di un
anno di svolta, non è un caso che contemporaneamente Carl Zeiss rese
disponibili per le Contax anche le due lenti eccezionali di cui abbiamo
parlato: un grandangolare (Biogon 35/2.8 € 2.263,71) ed un tele (Olympia Sonnar
180/2.8 € 6.495,86)
Contax II +
Tessar 50/3.5 per 360 RM (€
2.891,15)
Contax II +
Tessar 50/2.8 per 385 RM (€
3.167,96)
Contax II +
Sonnar 50/2.0 per 450 RM (€ 3.583,18)
Contax II +
Sonnar 50/1.5 per 585 RM (€ 4.921,11)
Contax III +
Tessar 50/3.5 per 470 RM (€ 3.660,08)
Contax III +
Tessar 50/2.8 per 495 RM (€ 3.936,89)
Contax III +
Sonnar 50/2.0 per 560 RM (€ 4.352,11)
Contax III +
Sonnar 50/1.5 per 695 RM (€ 5.690,03)
Poiché ci sono
noti i prezzi 1936 delle sole lenti
Tessar 50/3.5 =
75 RM (€ 761,23);
Tessar 50/2.8 =
100 RM (€ 945,78)
Sonnar 50/2.0 =
165 RM (€ 1.683,94)
Sonnar 50/1.5 =
300 RM (€ 2.960,36)
possiamo
ricavare i prezzi (solo teorici) dei corpi macchina delle diverse Contax.
Contax I = 1932:
170 RM (€ 962,00) 1936: 97 RM (€ 1.491,71) prezzo usato 2015 € 1.700,00 circa a seconda delle versioni
Contax II = 285
RM (€ 2.152,99) € 270,00
Contax III = 395
RM (€ 2.921,91) € 270,00
Una Contax III
costava dunque 110 RM (€ 768,92) in più rispetto ad una II, ma era possibile,
dopo l’acquisto, chiedere a Zeiss Ikon di trasformare una Contax II in III al
prezzo di 120 RM (€ 838,82).
In realtà questa
trasformazione non era integrale al 100%, perché la Contax III non si
differenziava solo per la presenza dell’esposimetro: era più complessa ed
avanzata tecnologicamente di una II.
Nel 1936 il
Sonnar 50/1.5, da solo, costava più di una Contax II; costava come tre Contax I
ed esattamente il quadruplo del Tessar 50/3.5 o dell’Elmar 50/3.5 o dello
stipendio di un operaio. Questo rende l’idea di quanto fosse stimata quella
lente, sin dal suo debutto.
Se nel 1936 il
Sonnar valeva il triplo della Contax I, oggi una Contax I (€ 1.700,00) vale 10 volte un Sonnar 50/1.5 non coated (€
170,00). Tuttavia questo dipende
esclusivamente dal fatto che le Contax I sono molto rare. Se dovessimo
attenerci alla validità del prodotto, è indubbio che oggi un Sonnar può essere
utilizzato traendone ottime fotografie, mentre una Contax I è buona solo per
stare chiusa in vetrina.
Nel 1936 la
Leica IIIa + Elmar 50/3.5 costava 268 RM (€ 2.699,00). Considerando che l’Elmar
da solo era venduto a 75 RM (€ 761,23) ne ricaviamo un costo (teorico) del solo
corpo
Leica IIIa
cromata = 193 RM (€ 1.937,69) € 700,00
Si noti che,
all’epoca, un medesimo modello di fotocamera, costava sensibilmente di più se
aveva la finitura cromata rispetto a quella nera (considerata meno lussuosa).
Oggi è vero il contrario: la stessa Leica IIIa in versione nera vale € 2.600,00 (il quadruplo della versione cromata).
La Leica II nera
nel 1936 costava invece 175 RM (€ 1.245,66) € 900,00
In calce a questo articolo riporto tutti i prezzi minimi e massimi di tutte le fotocamere dell'epoca.
Vendite
La Contax I
venne prodotta dal ‘32 al ‘38 in 36.700 esemplari.
La Leica II
venne prodotta dal ‘32 al ‘48 in 53.674 esemplari. Dal ‘32 al ‘38 in 49.349. In
realtà il 55% di Leica II (29.801 pezzi) vennero venduti nel solo anno di
debutto (1932). Già dall’anno successivo il vero competitor della Contax I fu
la Leica III.
Già questi
numeri offrono spunti di riflessione. La Leica II venne prodotta in un periodo
temporale molto maggiore rispetto alla Contax I (16 anni contro 6). Il motivo
va ricercato nel fatto che, quando la Leica II venne immessa sul mercato (1932)
essa rappresentava il Top della gamma offerta da Leitz. Contemporaneamente
veniva immessa sul mercato la Leica Standard, la quale non era un nuovo modello
di Leica I; bensì una Leica II priva di telemetro ma con la possibilità di
montarlo in un secondo momento, ottenendo in tal modo una Leica II perfettamente
identica a quelle “nativa”. Idem, la Leica III venne introdotta nel 1933 per
rispondere alla concorrenza della Contax I che aveva introdotto i tempi di
scatto lenti. La Leica II occupò il vertice della gamma per un solo anno,
tuttavia rimase in produzione per ulteriori 15 anni. La introduzione della
Leica III non comportò il pensionamento della II, perché la II andò ad occupare
una fetta di mercato intermedia tra la Leica Standard e la III; essendo sempre
possibile, per l’acquirente della II, chiedere l’upgrade alla III. La politica
commerciale di Leitz era pertanto quella di diversificare la gamma di
fotocamere proposte, per permettere l’acquisto delle camere Leica anche a
consumatori con disponibilità economiche (relativamente) inferiori, lasciando tuttavia immutata
la fama di qualità eccelsa e promettendo sempre la possibilità dell’upgrade al
modello Top di gamma. Lo stesso non avvenne per le Contax per due ordini di
motivi. Il primo: al contrario di Leica (unica marca di fotocamere di Leitz) le
camere Contax non erano le sole fotocamere prodotte dalla Zeiss Ikon: esse
erano i modelli di punta. Ai consumatori con minori disponibilità
economiche Zeiss Ikon offriva una vastissima (anche eccessiva) scelta di altri
modelli a medio formato (6x6). Il neo era piuttosto costituito dal fatto che
Contax era l’unica fotocamera 35 mm prodotta da Zeiss Ikon. Contax era nata, e
doveva restare, la gamma di punta per clienti che chiedevano solo il meglio.
Il secondo
motivo era costituito dal fatto che la Contax II non rappresentava l’upgrade
della Contax I, bensì la totale ri-progettazione di questa, facendo tesoro dei
moltissimi errori commessi nella progettazione della prima. In questo modo, dai
numeri oggettivi, ricaviamo dei giudizi che non sono semplici opinioni, ma dati
incontrovertibili: la Contax I fu un fiasco dal punto di vista, non tanto
commerciale, quanto di affidabilità meccanica. Quando una Contax I, dopo la vendita, tornava in fabbrica per la riparazione, le veniva aggiunta una "A" incisa accanto al numero di serie. Ebbene tra le prime 9.000 Contax I prodotte, sono rarissime quelle prive di questa "A". Inoltre, in sei anni di produzione, si
contano ben 8 varianti della Contax I (ma potrebbero essere di più), ossia
modifiche apportate mentre il prodotto era fabbricato e commercializzato. Per
il collezionista odierno queste varianti danno sapore, ma per il consumatore
dell’epoca doveva essere molto frustante constatare che il proprio status symbol, la Contax appena acquistata, era già stata superata
da un modello modificato, e pertanto era divenuta vecchia.
Il motivo di
tale continuo rimaneggiamento è da ricercarsi nel fatto che la Contax I era
stata immessa sul mercato troppo presto, senza farla precedere dai necessari
test. Probabilmente l’introduzione della Leica II aveva imposto a Zeiss Ikon
tale accelerazione, la quale tuttavia aveva un costo in termini di
affidabilità. Inoltre la Contax I aveva due gravi pecche: 1) l’otturatore a
saracinesca metallica verticale era assurdamente complesso e pertanto delicato
e quindi soggetto a continue rotture. Questo difetto verrà solo in parte
risolto negli otturatori successivi (completamente ridisegnati) che
equipaggeranno le Contax II e III; nonché le IIa e IIIa del dopoguerra.
Nondimeno la inaffidabilità dell’otturatore sarà sempre il punto debole di
tutte le Contax a telemetro. 2) la Contax I presentava una serie di soluzioni
molto originali. Tanto originali da non essere assolutamente pratiche. Ci si
riferisce alla idea bislacca di posizionare la ruota di avanzamento della
pellicola, che arma anche l’otturatore, nella parte frontale anteriore, invece
che nel posto più ovvio, ossia dove la aveva posta Barnack e dove la porranno tutti i costruttori di
fotocamere: nella parte superiore della camera.
Con tutti questi
difetti, ci si stupisce dell’elevato numero di Contax I vendute (37.000 unità
in sei anni). A mio avviso, al risultato contribuì molto il prezzo di vendita
relativamente basso (170 RM € 962,10) vistosamente finalizzato ad aggredire il
mercato Leica (la Leica II costava 165 RM € 933,80), ma probabilmente
insufficiente a coprire i costi di produzione. E’ probabile che Zeiss Ikon
abbia adottato una politica di jumping ai danni di Leica, ossia produrre in
perdita per espellere il concorrente più debole dal mercato. Questa convinzione
è supportata dal prezzo di vendita, assai più alto, delle Contax II (285 RM €
2.152,99) e III (395 RM € 2.921,91) uscite nel 1936, ossia 4 anni dopo la Contax
I, la cui produzione cesserà 2 anni dopo nel 1938.
La Contax II venne prodotta dal ‘36 al ‘41, ed in modo
discontinuo sino al 1943. In totale gli esemplari prodotti furono 59.500
La Contax III venne prodotta dal ‘36 al ‘41, ed in modo
discontinuo sino al 1943. In totale gli esemplari prodotti furono 38.000
Nello stesso
periodo di tempo (1932 – 1941) la Leitz non produsse solo la Leica II (1932-48)
in 53.249 esemplari entro il ‘41 (su 53.674 totali), bensì molti altri modelli:
Leica I (1931-
33) 7.231 esemplari;
Leica Standard
(1931-50) 34.556 esemplari circa entro il ‘41 (su 35.706 totali);
Leica III
(1933-39) 76.457 esemplari;
Leica IIIa
(1935-50) 90.410 esemplari circa entro il ‘41 (su 92.687 totali);
Leica IIIb
(1938-46) 30.250 esemplari circa entro il ‘41 (su 30.850 totali);
Leica IIIc
(1940-51) 16.900 esemplari circa entro il ‘41 (su 138.228 totali);
Leica IIId
(1940-45) 100 esemplari circa entro il ‘41 (su 427 totali);
Dunque, nel
periodo prebellico e bellico (1932-1941) la produzione totale fu la seguente
Contax 134.200
esemplari
Leica 309.153
esemplari (dal 1925 al 1941: 390.000 esemplari)
Il rapporto è di
circa 1 Contax venduta ogni
2,3 Leica.
Conclusioni
per il periodo anteguerra
Leica e Contax
erano fotocamere costose, molto costose. Si pensi solo al fatto che in
Giappone, vuoi per gli altissimi dazi doganali, vuoi per il cambio molto
sfavorevole, una Contax III con Sonnar 50 1.5 costava negli anni ‘30
l’equivalente di un appartamento.
In Europa queste
fotocamere costavano meno, ma si trattava pur sempre di prezzi inaccessibili,
anche per le classi medio alte. Leica e Contax avevano due ben distinti tipi di
utilizzatori: i fotografi professionisti ed i ricchi, i quali spesso
viaggiavano per l’Europa e per il Mondo, portandosi dietro le proprie
fotocamere d’elite, da sfoggiare agli altri membri del jet set internazionale, che come loro erano inclusi in quel
circolo ristretto ed abbiente.
Occorre
ricordare che le Leica I erano (di fatto) le prime fotocamere 35 mm della
storia, e vennero commercializzate a partire dal 1925. Questo significa che,
quando la Contax I si affacciò (per seconda) sul mercato delle 35 mm, si trovò a
fronteggiare un prodotto che da ben sette anni riscuoteva l’ammirazione unanime
di tutti i fotografi, sia che potessero permettersi una Leica, sia che non
potessero. La Leica era monopolista assoluta nel campo dei 35 mm, questo
comportava che infallibilmente, tutti i fotografi professionisti del Mondo, o
erano leicisti, oppure dovevano usare macchine mezzo formato. Non c’era possibilità
di scelta, tanto che, nel gergo tecnico fotografico, non v’era differenza
alcuna tra dire “formato Leica” e “formato 35 mm” (o “piccolo formato”, o
“microcamere”). Quando nel 1932 Zeiss Ikon introdusse la Contax I i
professionisti cominciano a differenziarsi tra fotografi Contax e Leica. Questa
divisione si accentua a partire dal 1936 con l’introduzione della Contax II. La
Contax III invece non fu mai la fotocamera di un professionista perché
l’esposimetro è un accessorio che ai primi professionisti serviva assai poco; e
se per averlo dovevano in aggiunta pagare un prezzo superiore in peso, denaro
ed estetica, ovviamente la opzione era esclusa. Da notare che un quarto di
secolo dopo, negli anni ‘60, i professionisti continuarono a fare la stessa scelta
in materia di Reflex: tra una Nikon F nera con pentaprisma privo di esposimetro
(eye level) ed una dotata di Photomic (ossia con esposimetro) ma che rendeva la
Nikon F più pesante, più cara e più brutta, continuarono a scegliere il modello
senza esposimetro.
Il ruolo giocato
dai professionisti nel successo di una marca e di un modello non sarà mai
sufficientemente evidenziato. I professionisti operano la scelta di una
macchina fotografica sulla base di esigenze meramente pratiche; tra queste
(nell’ordine) sono importantissime: a) la varietà e qualità di ottiche a
corredo del corpo macchina; b) la robustezza ed affidabilità del corpo macchina
anche in circostanze estreme; c) il peso dell’attrezzatura da portarsi dietro;
d) la varietà e qualità degli accessori, per gli usi più specifici e settoriali
ed in ultimo e) il prezzo.
Una volta
effettuata la scelta, il professionista non cambierà marca a meno che non
sopraggiungano motivi importantissimi.
Il fotoamatore
d’elite, il ricco che considera la propria fotocamera come status symbol, seguiva (all’epoca) e segue ancora oggi,
essenzialmente il marchio. Vuole la fotocamera con il marchio maggiormente
prestigioso; il resto (peso dell’attrezzatura e costo) viene molto dopo.
Ciò che rende un
marchio prestigioso è principalmente il fatto di essere stato adottato dai più
famosi fotografi professionisti. Da questo si comprende l’importanza vitale,
per una casa produttrice di macchine fotografiche, di conquistare il settore
professionistico.
Due casi
esemplari, di due fotografi colleghi ed amici (entrambi fondatori dell’agenzia
Magnum).
Henri
Cartier-Bresson (1908-2004). Di nessuno, più di lui, può dirsi che abbia fotografato tutto il '900. Un secolo incredibilmente complesso, iniziato con la Regina Vittoria e terminato con l' 11 settembre. Per tutta la
vita HCB ha scattato fotografie con la sua Leica I ad ottica fissa (Elmar 50/3.5)
del 1929 numero di serie
20502. Non ha mai avuto bisogno di cambiare, e
nemmeno di usare una lente Leica diversa rispetto a quella fissa della sua
camera (Elmar 50/3.5). (Ad onor del vero, in età avanzata utilizzò anche una Leica M3). Il
motivo lo spiega lui stesso: “
È sufficiente che un fotografo si senta a suo
agio con la sua macchina e che questa sia adatta al lavoro che vuol fare. Il
modo di usarla, le sue tacche, le sue velocità di esposizioni e tutto il resto
dovrebbero diventare automatici, come il cambiare una marcia in automobile”.
Secondo HCB la familiarità tra il fotografo e la sua macchina deve raggiungere
un livello tale da diventare parte di sé, come una mano, perchè non debbono
esserci incertezze o ritardi, tra la intuizione del fotografo nel cogliere
l’attimo del flusso inarrestabile del tempo, e la cattura dello stesso.
|
una foto di Henri Cartier-Bresson |
Robert Capa pseudonimo di André Erno Friedman
(1913-1954), ebreo, comunista, esule ungherese, all’inizio della carriera (1932)
utilizzò una Leica II e successivamente una Leica III. Nel maggio 1937 passò
alla Contax II e vi rimarrà fedele sino al giorno della sua morte, nel 1954,
quando fu ucciso da una mina in Indocina. In realtà Capa utilizzò anche la biottica Roleiflex e, negli ultimi mesi di vita, una Nikon S perché la Nippon
Kogaku Kogyo (Nikon Corp.), avendo perfettamente compreso la enorme importanza di
convincere i fotografi famosi ad adottare le proprie fotocamere, stava
esercitando una pressione enorme su Capa ed i suoi colleghi. Al momento della
morte, Capa portava al collo la sua vecchia Contax II e la nuova Nikon S. Anche
in questo si comprende il passaggio del testimone tra un marchio ed un altro.
Capa non si
affezionava di certo alle proprie macchine fotografiche: più o meno, una valeva
l’altra. Lui si preoccupava solo di succhiare il massimo dalla sua vita, non
aveva certo tempo da perdere per testare le prestazioni delle sue ottiche con i
cartoncini zebrati.
Mentre Cartier
Bresson ci ha lasciato numerosi suoi aforismi eterei in merito alla
composizione della inquadratura ed all’attimo fuggente da cogliere con uno
scatto, assai più pragmaticamente Capa ci ha lasciato un solo aforisma: “
se
le tue fotografie sono insignificanti, la colpa è la tua che non ti sei
avvicinato abbastanza al soggetto”. Capa è
tutto qui: buttati dentro le cose che accadono, avvicinati, più vicino ancora,
e scatta. Non stupisce che HCB sia morto a 96 anni nel suo letto, mentre Capa a
41 su una mina anti uomo. Per amarissima ironia della sorte (nessuno ha mai
evidenziato questo aspetto) fino a quando Capa è rimasto fedele al suo credo
(avvicinati al pericolo), ha sempre riportato a casa la pelle (guerra di
Spagna, sbarco in Normandia). E’ invece morto quando ha fatto il contrario di
ciò che predicava. E’ nota infatti la storia degli ultimi istanti della sua
vita. Si trovava a marciare a piedi, in Indocina, con un battaglione di soldati
francesi. Ci sono arrivate anche le sue
ultime foto, decisamente banali (La foto in bn viene dal rullino nella Contax,
quella a colori dalla Nikon) che riproducono una gruppo di soldati
sparpagliati, ripresi di spalle da lontano. Improvvisamente Capa (probabilmente
insoddisfatto per tali brutte foto) ebbe l’idea di salire su una collinetta per
riprendere la stessa scena dall’alto. Su quella collinetta troverà la mina che
lo ha ucciso. Dopo aver passato (e rischiato) la vita per fotografare ad un
passo dal pericolo, Capa è morto per scattare una foto panoramica dall’alto e quindi da lontano.
Vi è di che
riflettere.
PS
Non riesco mai a parlare di Robert Capa senza ricordare anche la sua compagna
Gerda Taro (vero nome Gerta Pohorylle)
ebrea, comunista, esule tedesca di origine polacca, fotografa di guerra accanto a Capa. Anzi lo pseudonimo "Robert Capa" fu inventato insieme dalla coppia a Parigi nel 1936 (avevano 23 anni lui e 25 lei), ed all'inizio fu usato per vendere le foto scattate da entrambi indistintamente. Successivamente André userà in esclusiva lo pseudonimo Robert Capa mentre Gerta adotterà quello di Gerda Taro (si noti anche il cambio da "Gerta" a "Gerda"). Nel 1937 insieme fotografano la guerra di Spagna, dove Gerda troverà la morte. Aveva 26 anni. Prima fotoreporter donna morta sul campo. Sopravvisse un giorno intero con l'addome maciullato dai cingoli di un carro armato, pienamente cosciente della sua morte inevitabile, si preoccupava solo che le sue fotocamere (Leica II e Leica III) che le aveva regalato André non si fossero rotte. La sua/loro storia qui e qui.
|
una foto di Robert Capa |
Se nel mercato
professionistico, i numeri di vendita delle Leica e delle Contax si
avvicinavano, nel mercato dei fotoamatori ricchi la Leica conservava un netto
predominio. Aveva perduto il monopolio, ma la sua posizione restava nettamente
dominante. I motivi di ciò sono essenzialmente due: se i professionisti sono
tendenzialmente conservatori, i fotoamatori lo sono di più. Quello che conta è
il “nome” ed il nome “Leica” rimaneva altissimo, non si era certamente
deprezzato con l’introduzione di fotocamere di scarsa qualità. La politica
Leica, al contrario, era molto efficace tra i fotoamatori: quando veniva
lanciato un nuovo modello esso rappresentava sempre il nuovo Top di gamma; il
modello Top precedente scalava di un gradino ma (e questa era la mossa vincente
di Leitz) era sempre data la possibilità di effettuare l’upgrade, attraverso
una modifica in fabbrica, dal modello superato a quello all’ultimo grido. Il
secondo grande vantaggio di Leica su Contax era dato dal peso. I ricchi spesso
viaggiavano e portavano le loro fotocamere con sé, anche in occasione di escursioni
in montagna. In queste situazioni, il peso nettamente inferiore di una Leica II
con Elmar (520 gr.) rispetto ad una Contax II con Sonnar anteguerra (779 gr.),
si faceva apprezzare moltissimo.
le ultime due
L’ultima Leica costruita nell’anteguerra
(propriamente detto) fu una Leica IIIc primo tipo “grigia” (né nera, né
cromata, bensì dipinta grigio militare) con numero di serie 391.699. Anno 1943.
Tuttavia la produzione proseguì
anche in seguito, con delle Leica IIIc primo tipo dotate di numero di serie
compreso tra 391.700 e 397.556.
Ufficialmente la produzione Leica post
bellica inizia nel 1946 con la prima Leica IIIc secondo tipo, avente numero di
serie 400.001.
L’ultima Contax II invece aveva
numero di serie O 65500. Anno 1943.
Dopoguerra
Se il primo
dopoguerra aveva visto la Ernst Leitz in gravissima difficoltà economica a
causa dei pesanti danni subiti alla fabbrica di Weltzar, tanto che sarebbe
sicuramente fallita se non avesse avuto successo il lancio della Leica, mentre
contemporaneamente la Carl Zeiss Jena cresceva sempre di più, inglobando tutti
i concorrenti; il contrario si può dire del secondo dopoguerra. Weltzar si
trovava nella parte occidentale della Germania, quella occupata dagli
angloamericani. La produzione delle Leica potè ripartire a tempo di record, già
nel 1946, con la prima Leica del dopoguerra (una Leica IIIc numero di serie
400001). Di fatto la produzione della Leica non si era mai interrotta del
tutto. Molto diversa era la condizione della Carl Zeiss. La sede principale a
Jena venne occupata in un primo momento dall’esercito statunitense, ma ben
presto dovette essere consegnata ai sovietici in base agli accordi di Yalta;
non prima di aver asportato materiale Zeiss, ma soprattutto aver trasferito
tecnici e maestranze nella parte occidentale della Germania, a Stoccarda (Zeiss Ikon e Fondazione Carl Zeiss), Meinz (vetro ottico Schott), Oberkochen (Carl Zeiss e lenti) e Coburgo (lenti). Gli USA si
pentirono immediatamente di questa mossa, perché fu subito chiaro che i
sovietici si sarebbero sentiti liberi di fare altrettanto, per cui riportarono
indietro i macchinari (ma non le persone).
La sede Zeiss
Ikon di Dresda, dove venivano costruite le Contax, invece fu occupata sin da
subito dai sovietici i quali non gradirono affatto la condotta degli
statunitensi, ignorarono totalmente il ravvedimento successivo degli USA, ed
applicarono la stessa politica di asportazione, su scala molto maggiore: materiali
e soprattutto macchinari per la fabbricazione delle Contax vennero caricati sui
treni e trasferiti ad Est, a Kiev in Ucraina, dove i sovietici volevano costruire la
loro Contax.
I macchinari in
realtà non raggiunsero mai a Kiev, si persero/danneggiarono lungo il tragitto. Le
Kiev e le Contax Jena prodotte dopo la guerra furono costruite dunque con dei
nuovi macchinari, che lo SMAD (autorità militare sovietica di occupazione della
Germania) commissionò alle maestranze Zeiss Ikon. Proprio perchè i macchinari erano nuovi, non fu mai più prodotta una Contax identica a quella prebellica. Anche le ricercatissime Contax Jena (in realtà costruite a Saalfeld) hanno molti elementi che le distinguono dalle Contax. Nel frattempo la Carl Zeiss Jena
(e la Zeiss Ikon) anteguerra si spaccarono come la Germania: nel 1946 a Oberkochen venne
costituita la nuova Carl Zeiss occidentale (la quale non poteva ovviamente
chiamarsi “Jena”) che inizialmente assunse il complicato nome di “Opton Optische Werke Oberkochen GmbH” a cui antepose il nome "Zeiss" nel 1947. A seguito
di una lunga battaglia legale che la oppose alla consorella orientale, nel 1953
il ramo occidentale si vide riconosciuto dal tribunale il diritto esclusivo di utilizzare il
nome “Carl Zeiss”. In sostanza la prima 35 mm sfornata dalla “Carl
Zeiss” (occidentale) fu la Contax IIa che venne lanciata sul mercato solo nel
1950 (quattro anni dopo la Leica del dopoguerra) e priva di nuove ottiche. Sino
al 1951 infatti le Contax potevano essere equipaggiate esclusivamente o con le
lenti Zeiss prebelliche (prive di trattamento antiriflessi) oppure con le
ottiche orientali (con trattamento antiriflessi) fabbricate dalla “nemica”
consorella Carl Zeiss Jena nella DDR.
Dunque la
seconda decade dell’era delle fotocamere a telemetro (gli anni ‘50) si apriva con
uno scenario nettamente più favorevole per Leitz.
Nulla, meglio di
uno sguardo al grafico dell’andamento dei prezzi delle fotocamere, rende l’idea
dell’enorme profitto che trasse la Leitz dalla scomparsa dal mercato della
concorrente Zeiss Ikon negli anni dal 1943 al 1950. In quei sette lunghi anni,
i consumatori avevano ben poca scelta: sul mercato c’era solo: la Leica da un
lato, ed una miriade di “fotocamere giocattolo” (tipo: Argus) dall’altro.
La Leica
raggiunse in quegli anni dei prezzi altissimi (€ 2.500,00 per il solo corpo di
una Leica a vite dell’ultimo modello), mentre negli anni precedenti e
successivi la sua media era di € 1.500,00.
Il grafico
rappresenta i prezzi tradotti in Euro 2015, al fine di renderli comparabili,
della fotocamera a vite (quindi escluse le Leica M) di punta di casa Leitz. Nel
1932 la Leica di punta era il modello II, nel 1933 la Leica III,
successivamente la IIIa, la IIIb, la IIIc, IIIf e IIIg.
Leica era di
fatto tornata ad essere monopolista, quantomeno nei due mercati più ambiti: professionistico
ed amatoriale di alto livello. Più precisamente Leica era monopolista del
mercato del nuovo. In quegli anni infatti non venivano più prodotte nuove
Contax, ma i professionisti che avevano una Contax (come Robert Capa)
continiarono ad usarla. Si sviluppò inoltre in quegli anni un mercato di Contax
“come nuove”. Molti tedeschi, volendo emigrare negli USA per rifarsi una vita,
vendettero tutti i propri beni in patria ed impiegarono il denaro ricavato per
acquistare fotocamere Contax nuove, con relative ottiche. Era essenziale che il
materiale fosse “nuovo” o “come nuovo”, perché lo scopo era quello di mettere
in valigia questi tesori, e rivenderli in USA, dove la notevole domanda di
Contax, da parte di ricchi collezionisti, non poteva essere soddisfatta dalla
produzione oramai ferma. Questo spiega come mai, sulle riviste USA
dell’immediato dopoguerra, compaiano annunci di importanti catene di negozi che
offrono in vendita fotocamere Contax “come nuove”, quantunque la produzione
fosse ferma.
Leitz, al
contrario, può offrire al mercato fotocamere nuove. La sua posizione nel
settore amatoriale di alto livello, nel quale già primeggiava, si era
rafforzata: le sue Leica a vite, continuamente aggiornate con modelli sempre
più perfezionati ma esteticamente quasi identici alla prima Leica del 1925,
continuarono ad essere richieste. Per il settore nel quale era più debole,
ossia il professionistico, Leitz intuisce che non può proporre ad un
professionista degli anni ‘50 una fotocamera pensata nel 1925, per cui progetta
e lancia sul mercato una fotocamera del tutto nuova, con un tiraggio diverso, con un
attacco nuovo (baionetta M) ed ottiche nuove. Per la prima volta Leitz
diversifica la propria proposta di fotocamere: sino al 1954 aveva costruito
solo un modello (la Leica), adesso propone una fotocamera per l’amatore di alto
livello (vecchia Leica a vite) ed una per il professionista (Leica M). La genialità di
Leitz la si trova tuttavia nei piccoli dettagli: grande rivoluzione, macchina
del tutto nuova, ma Leitz ha avuto l’accortezza di fare in modo che, con un
semplicissimo e molto economico anello adattatore, tutte le ottiche della Leica
a vite possano essere utilizzate sulle nuovissime Leica M, senza alcuna
penalizzazione: l’accoppiamento con il telemetro e l’esposimetro, oltre al
riconoscimento della lunghezza focale con conseguente automatico adattamento
delle cornici del telemetro, sono mantenute. Una intuizione geniale che
permetterà anche a molti amatori di sconfinare nel campo delle Leica M,
dovendosi sobbarcare “soltanto” la spesa per l’acquista del corpo
macchina, potendo usare le vecchie lenti a vite.
Anche la scelta
del lancio della Leica M sul mercato è stata molto azzeccata: probabilmente il
modello era pronto da anni, ma Leica si è ben guardata dal proporla ai
consumatori nell’arco di tempo (1943-1950) nel quale era tornata ad essere
monopolista. Al contrario Leitz ha atteso che Contax tornasse sul mercato (1950), ha
atteso che gli entusiasmi per la nuova Contax si attenuassero, e nel 1954 ha
lancia la propria Leica M; la quale doveva apparire, necessariamente, più nuova
della Contax IIa. In questo modo Leitz ha tratto il massimo profitto con il
minimo sforzo.
Nel contempo la
disponibilità del trattamento antiriflessi delle lenti accorcerà, come diremo
tra poco, la distanza qualitativa tra le ottiche delle due case tedesche.
Se Leitz
indovina tutte le scelte di politica industriale, Carl Zeiss al contrario, come
vedremo, non ne azzecca una. A mio avviso è la stessa dimensione di colosso
monopolista a portare la Zeiss Ikon ad un lento tramonto sino alla chiusura nel
1971. La vicenda ricorda il declino della Spagna nel XVII secolo: ricca di oro
ed argento delle colonie sudamericane, la Spagna venne affossata da quelle
stesse immense ricchezze piovute dal cielo senza sforzo alcuno, che la
rendevano pesante, lenta e tonta, fossilizzata nella mobilità sociale; mentre
nuove potenze marittime, agili e sveglie (Olanda ed Inghilterra) emergevano,
animate dalla voglia di arricchirsi con il commercio delle classi borghesi. Il
che mi rafforza nella mia opinione che i monopoli fanno male a tutti, ma
principalmente sono deleteri per lo stesso monopolista.
Misure
Le Contax del
dopoguerra erano più piccole e più leggere di quelle anteguerra
La Contax IIa
(1950) misurava 13,48 x 7,77 x 4,27
cm. Peso 510,29 g
La Contax
II (1936) misurava 13,97 x 8,57 x 4,27 cm. Peso 594,00 g
|
Contax IIa (avanti) e Contax II (dietro) |
La Contax IIIa
(1950) misurava 13,48 x 8,00 x 4,27 cm.
Peso 633,00 g
La Contax
III (1936) misurava 13,97 x
9,35 x 4,27 cm. Peso 650,35 g
|
Contax IIIa (avanti) e Contax III (dietro) |
I modelli Leica
del dopoguerra (Leica IIIc postbellica, Leica IIIf e Leica IIIg) hanno
sostanzialmente le stesse misure delle Leica anteguerra
confronto tra fotocamere in ordine crescente di peso
La Leica
IIIf (1951) misurava 13,60 x 6,50 x 3,90 cm. Peso
427 g
La Contax IIa (1950) misurava 13,48 x 7,77 x 4,27 cm. Peso 510 g
La Nikon S2 (1954) misurava 13,60 x 7,90 x 4,34 cm. Peso 550 g
La Leica M3 (1954) misurava 13,79 x 7,70 x 3,35 cm. Peso 580 g
La Contax II (1936) misurava 13,97 x 8,57 x 4,27 cm. Peso 594 g
La Contax IIIa (1950) misurava 13,48 x 8,00 x 4,27 cm. Peso 633 g
La Contax III (1936) misurava 13,97 x 9,35 x 4,27 cm. Peso 650 g
Perché non
inserisco nel confronto Leica/Contax le Leica M?
Prima della
guerra la situazione era chiara: Leica corpo macchina più piccolo e leggero,
più semplice, più robusto e più affidabile delle Contax; ma le ottiche Zeiss erano superiori a quelle Leitz in tutto. Nel dopoguerra queste nette differenze
si attenuano.
Zeiss Ikon
costruisce una Contax più piccola e leggera per avvicinarsi alla Leica (e ci
riesce al punto da superarla in una misura: la lunghezza di 13,46 contro 13,60
cm). Contemporaneamente Contax cerca anche di aumentare la affidabilità del
proprio otturatore (ma ci riesce solo in parte).
Da parte sua la
Leitz riduce di molto le distanze nella qualità delle ottiche grazie alla
disponibilità della tecnica del trattamento antiriflesso delle lenti (
coating).
Questo trattamento, inventato da
Alexander Smakula (1900-1983) della Carl Zeiss
nel 1935, brevettato nel 1939 (
DOC) sotto altro nome perché talmente rivoluzionario
da essere immediatamente coperto da segreto militare, venne applicato a partire
dal 1939 solo su alcune ottiche belliche. Nel dopoguerra il trattamento
antiriflessi divenne disponibile per tutti i produttori di ottiche. La
sconfitta nella seconda guerra mondiale e la conseguente scomparsa giuridica
dello “Stato Germania”, aveva comportato anche l’annullamento di tutti i
brevetti tedeschi. Carl Zeiss venne depredata senza ritegno del suo asset più
prezioso: la innovazione tecnologica. Tutti i concorrenti (soprattutto i
giapponesi) copiarono tutto quel che di buono aveva inventato la Carl Zeiss (il
complicato otturatore della Contax non lo copiò invece nessuno, tranne i
sovietici).
La Leitz trasse
un enorme beneficio dall’utilizzo del trattamento antiriflessi sulle proprie
lenti: la differenza qualitativa tra le ottiche Leitz e Zeiss, di colpo, si
accorciò notevolmente.
Occorre
soprattutto considerare che, sin dalla fine dell’800, erano state inventate e
brevettate delle lenti con schemi ottici complessi, che assicuravano una ottima
qualità di immagine ed eccezionale (per l’epoca) luminosità a focali
estremamente corte o lunghe. Tuttavia i brevetti di queste ottiche erano
scaduti senza che le lenti fossero mai state prodotte a livello industriale.
Il motivo è presto detto: la qualità di un’ottica dipende dal numero di lenti
che la compongono. Più lenti vengono inserite in una ottica, maggiore è la
possibilità di correggere le numerose aberrazioni. Tuttavia, in assenza di un
trattamento antiriflessi, maggiori sono i passaggi aria/vetro e maggiore sarà
l’effetto “flare” (ovattato). Inoltre anche la luminosità diminuisce, perché
parte della luce viene riflessa e quindi non attraversa le lenti. La luce
riflessa da una lente priva di trattamento antiriflessi varia dal 4 al 5% per
ogni passaggio aria/vetro. In un Sonnar che ha 6 superfici aria/vetro la
perdita è del 34%. In una lente con 8 superfici la perdita è del 55%. In epoca
antecedente alla introduzione del processo antiriflessi era pacifico che, il
numero massimo di passaggi aria/vetro accettabile fosse di 6. Questo
significava che il numero massimo di lenti inseribili in una ottica fotografica
fosse di 3 (aria/lente1; lente1/aria; aria/lente2; lente2/aria; aria/lente3;
lente3/aria). In alternativa si potevano inserire 3 gruppi di lenti. Per
“gruppo” si intende due o più lenti cementate (incollate) tra loro, in modo da
eliminare l’aria in mezzo.
Ai fini che ci
interessano in questa sede, un gruppo di lenti si comporta come una singola
lente. Non a caso, nel periodo prebellico, le lenti migliori erano il
Tessar
(Zeiss)/
Elmar (Leitz) con schema ottico di 4 lenti in 3 gruppi ed il Sonnar
(Zeiss) nella versione
Sonnar f 2.0 di 6 lenti in 3 gruppi; o
Sonnar f 1.5 di 7 lenti in 3
gruppi. In tutti questi casi non si supera mai il limite di 6 passaggi
aria/vetro. Al contrario il
Summar 50/2.0 (Leitz) di 6 lenti in 4 gruppi (8
passaggi aria/vetro)
non godeva di buona fama. Ancor
meno apprezzato era lo
Xenon 50/1.5 (Leitz su licenza Schneider-Kreuznach) di 7 lenti in 5 gruppi (10
passaggi aria/vetro). Il loro difetto maggiore era dato dal numero di passaggi
aria/vetro superiore a 6. Perché allora Leitz produceva queste ottiche? Per
cercare di offrire ai propri clienti una lente che potesse vantare le
prestazioni in termini di luminosità degli Zeiss Sonnar 50/2.0 (a cui Leitz
opponeva il Summar 50/2.0) e Sonnar 50/1.5 (contrastato con lo Xenon 50/1.5).
Il risultato fu tuttavia pessimo, perché se la luminosità era pareggiata, la
qualità delle ottiche Leitz era nettamente inferiore. Da qui si comprende anche
il motivo per il quale il Sonnar 50 (soprattutto la versione 1.5) è considerata
una meraviglia dell’ottica: ben 7 lenti in soli 3 gruppi, mentre lo Xenon aveva
7 lenti in 5 gruppi.
Per il motivo
sopraesposto, una lente meravigliosa come il
Planar,
brevettata dalla Carl Zeiss nel lontano 1896, di 6 lenti in 4 gruppi, non venne
mai messo in produzione dalla Carl Zeiss prima del 1957 per equipaggiare la
Contarex (la reflex professionale di Zeiss Ikon). Il Planar era una ottica
stupenda, ma aveva bisogno del trattamento antiriflessi per dispiegare le sue
enormi potenzialità.
Piccola
riflessione sulla lentezza pachidermica della Carl Zeiss: a Jena avevano
inventato il Planar sin dal 1896. Avevano inventato il trattamento antiriflessi
sin dal 1935. Hanno messo in produzione il primo Planar trattato antiriflessi
soltanto nel 1957. Va bene la guerra, va bene i sovietici che hanno rubato i
macchinari, ma 22 anni sono troppi! Non solo, nel 1957 Zeiss Ikon ha buttato
via un tesoro come il Planar
coated, cincischiando tra una
Contaflex
amatoriale alla quale bisognava per forza tarpare le ali, ed una
Contarex
professionale troppo pesante, troppo costosa, troppo delicata e troppo brutta
per essere adottata dai professionisti. Carl Zeiss, come i re spagnoli del
‘600, è riuscita ad affogare nel proprio oceano di oro. La stessa ottica
Planar, venduta alla
Hasselblad,
ha fatto la fortuna imperitura della fabbrica svedese, infallibilmente presente
in tutti i servizi fotografici per tutti i matrimoni del globo terracqueo, e
nel 1969 è stata portata anche sulla
Luna dagli
astronauti.
Tornando alla
Leitz, nel secondo dopoguerra la fabbrica di Wetzlar ha sfruttato il
trattamento antiriflesso (coating) per
ridurre di molto le distanze qualitative che la separavano dalla Carl Zeiss, ma
soprattutto ha potuto finalmente offrire ai propri clienti nuove lenti con aperture luminose
(Summicron 50/2.0 e Summarit 50/1.5) di ottima qualità. Leitz
fu in grado di entrare di nuovo nel mercato professionistico.
Contemporaneamente Leitz ingrandiva ed appesantiva di poco le proprie Leica a
vite, ma soprattutto introduceva la Leica M3 che ha praticamente le stesse
dimensioni della Contax IIIa e soprattutto pesa di più (580 g contro 510 g).
Questa scelta aveva un senso nel 1954, quando si trattava di aggredire il
mercato professionistico (rimasto praticamente senza delle vere ammiraglie) con
una macchina nuova, equipaggiata con nuove lenti luminose antiriflesso.
Tuttavia, oggi,
nel 2015, una Leica molto più grossa, pesante e costosa di una Leica III,
dotata di obiettivi antiriflesso, di buona qualità, ma comunque costosissimi ed
inferiori agli Zeiss, a me pare che non abbia un particolare appeal.
Detto in altri
termini: chiarito che, nel 2015, non c’è spazio per la pellicola nel settore
professionale, resta il settore amatoriale di livello medio ed alto.
Per l’amatoriale
medio, una Leica M più grossa, più pesante, e soprattutto molto più costosa di
una Leica a vite, non mi sembra appetibile.
Per l’amatoriale
ad alto livello, che può spendere, il prezzo del corpo macchina Leica M non è
un problema, ma resta la questione della qualità delle ottiche. Le ottiche
Zeiss con trattamento antiriflesso sono comunque superiori alle Leitz
antiriflesso, e meno costose. E’ possibile montare, come diremo, ottiche Zeiss
su corpo Leica, sia a vite che M, ma io continuo a non appassionarmi alle Leica
M, che trovo comunque più pesanti e ingombranti, con un telemetro da molti
decantato, ma che, a ben vedere, probabilmente è inferiore rispetto a quello
delle Leica a vite. Occorre infatti considerare che, nella Leica M, viene
“finalmente” introdotta la modernità di accorpare insieme rangefinder e
viewfinder. La Contax II e III li aveva accorpati sin dal 1936, ma nelle Leica
a vite i due finder sono rimasti sempre separati: da un mirino si inquadrava la
scena, dall’altro si metteva a fuoco. Mi si dice che, l’accorpamento delle due
funzioni in un unico mirino porterebbe il vantaggio di concentrarsi sulla
inquadratura senza perdere l’attimo fuggente mentre si controlla in
continuazione la messa a fuoco. Sinceramente io questo vantaggio non lo vedo,
il leicista trova naturalissimo spostarsi da un mirino all’altro. Al contrario
mi è chiaro lo svantaggio, lo stesso che aveva anche la Contax a telemetro.
L’accorpamento del rangefinder nel viewfinder comporta necessariamente tre
limitazioni: 1) l’area destinata al rangefinder deve essere necessariamente
molto piccola (altrimenti disturberebbe l’inquadratura); 2) l’area destinata al
rangefinder non può mostrare l'oggetto inquadrato ingrandito; 3) non può essere aggiunto il correttore
di diottrie per il solo rangfinder. Questi ultimi due sono i difetti più gravi.
Dalla Leica III in avanti il rangefinder offre una visione ingrandita e la
correzione delle diottrie, che agevolano moltissimo l’operazione di messa a
fuoco con precisione. Esistono ovviamente delle lentine con correzione delle
diottrie da applicare al mirino della Leica M, ma è facile capire quanto poi
divenga scomodo far utilizzare la stessa macchina a persone diverse.
Mi risponderete
che non s’è mai visto un leicista permettere a qualcun altro, foss’anche un
parente strettissimo, di scattare con la propria fotocamera. Debbo darvi
ragione. Ma a me la Leica M continua a non convincere.
prezzi
1950
Dopo un
lunghissimo digiuno, il mercato (soprattutto quello statunitense) può
finalmente disporre di fotocamere Contax nuove. La prima ad essere immessa sul
mercato è la Contax IIa. La IIIa debutterà l’anno successivo. La propaganda USA
non mancò di sottolineare che la nuova Contax era fabbricata a Stoccarda, ossia
nella zona della Germania che era stata sotto il controllo degli USA. Questo
per chiarire bene al consumatore che, acquistando questa fotocamera, non si
corre il rischio di foraggiare il comunismo. Ci troviamo in piena epoca
maccartista, e la confusione tra Carl Zeiss occidentale ed orientale, penalizza
non poco la penetrazione nel mercato USA.
La nuova Contax
IIa veniva venduta in Germania al prezzo di 480 DM, ma sul mercato statunitense
a $ 295 corrispondenti a € 2.710,50 del 2015 € 700,00
1951 aprile
Una Contax IIa,
solo corpo, costava 550 DM ed in
USA $ 295 (€ 2.512,73)
Una Contax IIIa,
solo corpo, costava 660 DM ed in USA $ 355 (€ 3.022,50)
€ 480,00
Pertanto la
differenza tra i due modelli era di 110 DM (€ 509,77), pari al 20% circa (prima
della guerra la differenza tra le II e III era invece del 38%)
Trasformare una
Contax IIa in IIIa in un secondo momento costava 170 DM (€ 776,00). Prima della
guerra (1936) la trasformazione di una Contax II in III costava invece 120 RM
(€ 900,00).
1952
E’ l’anno del
massimo successo commerciale della Contax del dopoguerra:
Una Contax IIa,
solo corpo, costava in USA $ 340
(€ 2.845,39)
Una Contax IIIa,
solo corpo, costava in USA $ 387 (€ 3.238,72)
1953
Dopo la fiammata
iniziale i prezzi iniziano subito a scendere:
Una Contax IIa,
solo corpo, costava in USA $ 258
(€ 2.133,39)
Una Contax IIIa,
solo corpo, costava in USA $ 303 (€ 2.506,22)
1954
Leitz introduce
la
Leica M3.
Si tratta di un modello del tutto diverso rispetto alle Leica a vite: con il
suo mirino unico ed una nuova baionetta di innesto, sarà il vero competitore di
Contax.
Leica M3 con il
Summicron 50/2.0 costava 1.080 DM (il salario medio in RFT era di 250 DM) ed in
USA venivano venduti insieme a $ 447 (€ 3.686,75).
Lo stesso anno
la Contax IIa con il Sonnar 50/2.0 veniva venduta a $ 345 (€ 2.845,48).
Non solo. Nello
stesso anno (1954) debutta la
Nikon S2 con uno
splendido Nikkor 50/1.4 che venivano venduti in USA a $ 345,00 (€ 2.845,48),
non a caso allo stesso identico prezzo della Contax IIa che tuttavia aveva una lente meno luminosa.
|
la Nikon S2, in effetti, somiglia vagamente alla Contax II |
C’è da dire che
la Nikon S2 non è altro che una Contax II fatta bene. Approfittando
dell’annullamento di tutti i brevetti tedeschi del dopoguerra, Nikon ha copiato
tutto della Contax (dimensioni, forma, telemetro, addirittura l’attacco della
baionetta), tutto tranne ovviamente l’otturatore. Quello Nikon lo ha copiato
dalla Leica. L’unica botta di originalità consistette nella scelta del formato
del negativo 24x32 in luogo del canonico 24x36. Scelta ovviamente sbagliata;
tanto che la Nikon non vendette una sola fotocamera, sino a quando non si
decise a copiare anche il formato 24x36. Adottato appunto nella Nikon S2 per la
prima volta. Se a ciò si aggiunge che Nikon, sino al 1932, non aveva mai
prodotto una sola lente fotografica e che fu proprio la Carl Zeiss, con i
propri ingegneri (capeggiati da Heinrich Acht) inviati in Giappone tra il 1921
ed il 1928, ad istruire i tecnici nipponici insegnando loro tutto, a partire
dalla produzione del vetro, sino alla progettazione degli schemi ottici, ce n’è
abbastanza per concludere che Carl Zeiss ha insegnato la fotografia a tutti,
tranne che a se stessa.
L’intento di Leitz e Nikon era
quello di soppiantare la Contax nel mercato professionale ed amatoriale di alta
gamma. Lo scopo venne pienamente raggiunto. Il confronto del valore dell’usato
attuale dei tre corpi macchina è impietoso: Contax IIa € 700,00. Leica M3 € 2.000,00. Nikon S2 € 1.100,00
Per quanto
riguarda le Leica a vite, nel 1954 la Leica IIIf con Elmar 50/3,5 veniva
venduta in USA $ 280,00 (€ 2.309,28). La Leica IIIf vale oggi circa € 900,00
Nel biennio
1952-1954 il prezzo delle nuove Contax tracolla: da € 2.850,00 a € 1.250,00.
A sostenere
efficacemente le vendite della Contax sarà piuttosto l’introduzione, sempre nel
1954, del formidabile grandangolo Zeiss Opton
Biogon 21/4,5; (
foto) una vera rivoluzione nel campo dell’ottica
fotografica, tanto che molti fotografi professionisti acquistano la Contax
proprio per utilizzare quest’ottica, mentre altri, che scelsero la Leica,
montarono il Biogon sulle macchine di Wetzlar con l’anello adattatore Orion. Non
era altro che la ulteriore conferma di ciò che già si è detto per il periodo
anteguerra: il vero punto di forza della Contax era la qualità delle ottiche
della casa madre Carl Zeiss. Zeiss Ikon non è mai riuscita ad emanciparsi ed a
camminare con le proprie gambe.
1958
Nel triennio
1955/1957 il prezzo della Contax IIa si assestava sul livello di € 1.800/1.600,
comunque inferiore rispetto a quello anteguerra, quando la Contax II veniva
venduta ad un prezzo costante di poco superiore ad € 2.000,00.
Nel 1958 il
prezzo subiva un ulteriore tracollo, dal quale non si riprenderà più.
Contax IIa con
Sonnar 50/2 costava in USA $ 298,00
(€ 2.230,36)
Contax IIa con
Sonnar 50/1.5 costava in USA $ 318,00 (€ 2.380,00)
Leica M3 con il
Summicron 50/2.0 costava in USA a $ 456,00 (€ 3.412,90)
Nikon S2 con
Nikkor 50/1.4 costava in USA $ 415,00
(€ 3.106,04)
Leica IIIg con
Summicron 50/2.0 costava in USA $ 342,00 (€ 2.559,68)
L’andamento discendente
dei prezzi delle Contax IIa nel mercato USA parla chiaro: sono lontani i tempi
anteguerra in cui Contax era sinonimo di massima qualità, e pertanto di prezzi
nettamente superiori alla concorrenza. Se nel 1950, al suo debutto, Contax IIa
era ancora la regina delle 35 mm, già nel 1954, con il lancio di Leica M3 e
Nikon S2, Contax viene scalzata dal gradino più alto.
Due anni dopo,
nel 1956, la crisi sarà evidentissima, sia nel calo dei prezzi, sia nel
fortissimo rallentamento della produzione.
vendite
Le Contax IIa furono prodotte tra il 1949 (nov) ed il 1962 (ago). La IIIa venne introdotta dal 1951. In totale furono
prodotte 135.025 Contax (IIa e IIIa)
nel dopoguerra. Un numero molto vicino a quelle delle II e III prodotte prima
della guerra (100.200) e praticamente identico a tutte le Contax preguerra:
134.200 (sommando anche le I) a cui vanno aggiunte poche migliaia di Contax
belliche (fino al 1945) e Contax Jena, delle quali non si hanno numeri certi.
Nello stesso
periodo (1949/11-1962/8) Leitz aveva venduto 540.000 Leica (tra cui 185.100 IIIf + 206.500 M3 + 56.400 M2).
Il rapporto Contax / Leica che, prima della guerra, era di 1 a 2,3; nel dopoguerra era
salito a 1 Contax venduta ogni 4 Leica.
In particolare,
ciò che trascina impietosamente giù i numeri di Contax, è la crisi di vendite
iniziata nel 1954 ed esplosa nel 1956: nel 1953 si producevano 20.000
pezzi/anno di Contax (IIa e IIIa).
Nel 1956 la
produzione si era dimezzata: 10.000; nel 1957: 5.000; nel 1958: 2.500. Da qui
in poi, sino alla fine (1962) la produzione oscillerà tra 1.500/2.500 pezzi
annui.
Conclusioni
per il periodo postbellico
I numeri
relativi alle vendite parlano chiaro: l’amara e cruda realtà ci dice che, se la
Contax II nel periodo prebellico aveva un suo senso molto preciso (era adottata
da molti professionisti e da una ristretta cerchia di fotoamatori ricchi ed
elitari), al contrario la Contax IIa del dopoguerra non ha un suo ruolo
effettivo, se non quello di un amarcord dei bei tempi andati. Più in generale
tutto il progetto Contax a telemetro nel dopoguerra (e dunque nella Germania
Ovest) è un anacronismo: un crepuscolo senza mai un’alba per dirla con lo
storico prof. Renzo De Felice. Basti pensare che Zeiss Ikon da tempo aveva
brevettato sia l’esposimetro accoppiato alla ghiera dei diaframmi, sia il
cambio automatico della inquadratura del viewfinder a seconda della focale
della lente montata.
Nel 1949 si
trattava semplicemente di decidere se introdurre o meno queste enormi
innovazioni nelle nuove Contax II e III. Introdurle avrebbe significato dover
cambiare la baionetta Contax e rinunciare pertanto alla compatibilità con le
lenti anteguerra. Si scelse di mantenere la stessa baionetta e rinunciare a
queste innovazioni. Questa decisione fu infelice: si trattò infatti di
sacrificare il progresso (e quindi le esigenze dei professionisti) per
soddisfare la clientela dei ricchi fotoamatori, soprattutto statunitensi, i
quali erano affamati delle care vecchie Contax sparite dal mercato dal 1942.
Erano affamati di un marchio, erano affamati di ricordi, erano affamati di
passato.
Le Contax del
dopoguerra erano apparecchi per nostalgici, e Zeiss Ikon occidentale scelse di
soddisfarli, ignorando chi poteva realmente decretare il successo di una
fotocamera.
Ancora una
volta, ad essere decisiva, è stata la condotta dei fotografi professionisti.
I professionisti
che avevano adottato una Contax II prima della guerra (come il più illustre tra
loro: Robert Capa), continueranno ad usare la loro vecchia Contax II nel
dopoguerra. Non la lasceranno per adottare la nuova Contax IIa, anche se questa
rappresenta un miglioramento di quella per molti aspetti ed è certamente più
leggera e comoda da usare. Appena introdotte sul mercato le Contax del
dopoguerra furono richiestissime; ma si trattò di una operazione commerciale
effimera, durata un solo biennio, tutta volta al passato, a sfruttare il
prestigio che il nome “Contax” riscuoteva ancora tra i fotoamatori ricchi. A venire
acquistato era il marchio, non la fotocamera. Tuttavia il prestigio del marchio
segue le sorti delle scelte dei professionisti: se nessun professionista famoso
utilizza la Contax IIa, il prestigio è destinato a declinare. Questo declino
sarebbe stato lento per Contax IIa se non fosse stato brutalmente accelerato
dal lancio sul mercato, nel 1954, di due prodotti killer: la Leica M3 e la
Nikon S2.
Nel 1959 il
lancio della
Nikon F, la
prima reflex di successo planetario, adottata da (quasi) tutti i
professionisti, raderà definitivamente al suolo le ultime rovine Contax.
Per Leica il
discorso è molto diverso. La storia della Leica presenta delle similitudini
sorprendenti con un altro marchio commerciale, la Apple Computers. Come la
Apple immise sul mercato il primo (di fatto) personal Computer, allo stesso modo
Leica introdusse la prima (di fatto) fotocamera 35 mm. Per un breve periodo di
tempo tali prodotti crearono un mercato che prima semplicemente non esisteva
affatto; godettero del monopolio assoluto dato dalla mancanza di qualsiasi
concorrente (salvo imitazioni servili di fabbriche minuscole). Tale monopolio è
stato poi frantumato dall’ingresso di un competitore, molto più grande ed
economicamente potente: Zeiss Ikon prima, ma soprattutto Nikon dopo, per Leica
ed IBM/Microsoft per Apple. Leica ed Apple hanno tuttavia saputo ritagliare per
sé un settore di mercato di nicchia, piccolo ma prestigioso, perché la fama
della qualità dei propri prodotti non è mai venuta meno. Gli utilizzatori dei
prodotti Leica ed Apple sono giudicati, dalla massa degli altri utenti, come
delle persone strane, dei settari devoti al loro marchio contro il corso della
storia; tuttavia il rispetto nei loro riguardi non è mai venuto meno, a causa
della riconosciuta qualità dei prodotti.
Il mondo Leica
nel dopoguerra si è pertanto chiuso in una bolla atemporale: il mercato
professionistico era oramai irrimediabilmente perduto (salvo pochissime sacche
di resistenza, rivitalizzate indubbiamente dalla introduzione del formato M),
ma il prestigio conquistato dal marchio tra i fotoamatori d’elite (e quindi dei
collezionisti), quello è rimasto saldo ed ha resistito a tutte le bufere. Ha
resistito alla reflex Nikon F, ha resistito all’avvento delle giapponesi con
prezzi di produzione stracciati rispetto all’Europa, ha resistito all’avvento
dell’elettronica, degli automatismi, delle programmabili e della plastica. Se è
sopravvissuta addirittura al digitale oramai è certo: la Leica a telemetro non
morirà mai. All’interno della sua nicchia la Leica II attraverserà i secoli e
ci seppellirà tutti, continuando a scattare senza nessuna incertezza sulle
nostre tombe, come ha sempre fatto sin dal primo giorno in cui è uscita dalla
fabbrica di Wetzlar. Questo spiega come mai, nel mercato dell’usato del 2015,
le fotocamere Leica vantano delle quotazioni decisamente superiori rispetto
alle Contax II, quantunque queste ultime siano decisamente più rare
(soprattutto sono rare quelle con l’otturatore funzionante).
4 – esigenze di tre diverse tipologie di
clientela:
La scelta tra
Leica e Contax, non può prescindere, ovviamente, dalle esigenze proprie di chi
deve operare la scelta. Innanzi tutto occorre distinguere tra chi compra una
macchina fotografica per collezionarla (ossia tenerla dietro una vetrina) e chi
intende invece utilizzarla. A sua volta, nel gruppo degli utilizzatori, occorre
distinguere tra coloro che intendono farne un uso “stanziale” ossia impugnare la
macchina fotografica in alcune occasioni (fotografando i figli, compleanni,
matrimoni, incontri tra amici) e chi invece pensa alla macchina fotografica
come una fedele compagna di viaggio, da portare dietro per condividere con lei
l’emozione della scoperta.
(1)
collezionista
Non sono un
collezionista, per cui posso solo limitarmi ad immaginare le motivazioni di
costoro.
Solitamente il
collezionista è una persona che, al di fuori della propria vita lavorativa e
familiare, avverte il bisogno di ritagliare del tempo libero per sè stesso, da
impiegare per il raggiungimento di un obiettivo che egli stesso si impone.
Questo obiettivo può essere il più disparato: possedere tutte le prime edizioni
dei libri stampati in Italia nell’anno 1956, oppure tutte le monete della
Repubblica Romana, oppure gli autografi di tutti i giocatori di pallannuoto
della virtus Torvajanica del 1990. Va da sé che si può decidere anche di
collezionare tutte le fotocamere italiane degli anni ‘40; oppure solo le
fotocamere romane, ma di qualsiasi epoca.
Unico comun
denominatore di questo obiettivo è appunto l’aggettivo “tutti”, ossia la
definizione di un campo di interesse, più o meno ampio (dipende dall’ambizione
e dalla disponibilità economica) all’interno del quale il collezionista opera.
Tale obiettivo rappresenta una sfida, e come tutte le sfide, la soddisfazione
finale è tanto maggiore quanto maggiore sarà stato il rischio del fallimento,
ossia del non riuscire a completare la collezione. Una volta raggiunto
l’obiettivo, alla soddisfazione segue in fretta la delusione: “ed ora cosa
faccio?”. Era a ben vedere lo stesso stato d’animo di Ulisse nell’inferno di
Dante: raggiunto il risultato (tornare a casa, ad Itaca) era dura restare a
fare niente su quello scoglio, dopo dieci anni di Iliade ed altri dieci di
Odissea; per questo Ulisse fece l’unica cosa da fare: fissò per sé stesso un
altro obiettivo (superare le colonne d’Ercole) e prese di nuovo il mare.
Per il
collezionista succede qualcosa di molto analogo: si fisserà un altro obiettivo,
o cedendo l’intera collezione per iniziarne una del tutto diversa, oppure
allargando l’obiettivo della collezione precedente (es. passare dalla
collezione di tutte le fotocamere meccaniche romane del dopo guerra a quello
della collezione di tutte le fotocamere italiane, e poi a tutte le fotocamere
europee).
E’ facile
tacciare questa condotta come irrazionale. Certamente, ognuno trova ridicola la
passione che non lo tocca. Tuttavia questa critica può essere mossa a tutti gli
esseri umani: gli italiani trovano inspiegabile come si possa pagare un
biglietto per vedere una partita di baseball o peggio di cricket; gli
statunitensi trovano inspiegabile la passione italiana per il calcio;
statunitensi ed italiani insieme non comprendono come ci si possa appassionare
al biathlon.
Al collezionista
che si pone come fine quello di completare la collezione, io posso dire ben
poco. Ha scelto di collezionare solo Leica o solo Contax o entrambe? Il
confronto tecnico tra queste fotocamere non sposta in nulla la sua scelta.
Il secondo tipo
di collezionista, cd “estemporaneo”, è mosso dal desiderio di possedere cose
attraenti ai suoi occhi. Egli non ha tracciato i confini della sua passione: se
si imbatte in una cosa bella oppure significativa dal punto di vista storico, a
prezzi per lui accessibili, è mosso dal desiderio di includerla nella sua sfera
di affetti. Anche a questo secondo tipo di collezionista interesserà ben poco
un giudizio ragionato sulla comparazione delle caratteristiche delle due
fotocamere.
(2)
utilizzatore
Spesso mi è
stata rivolta la domanda: che senso ha usare una fotocamera a pellicola,
meccanica e manuale, nel 2015, in piena epoca di fotografia digitale?
Quando ho fretta
e mi voglio liberare velocemente dell’interlocutore, ricorro ad una risposta
dalla sperimentata efficacia: “Non ho abbastanza soldi per poter comprare una
macchina fotografica digitale professionale e relative ottiche, così, piuttosto
che accontentarmi di usare una compatta digitale da € 100,00, utilizzo
l’attrezzatura professionale degli anni ‘50”.
Avviene sempre
che, chi mi ha posto la domanda, rimanga a riflettere sul significato della
risposta; dandomi il tempo per svignarmela.
Se la domanda me
la pone invece una persona a cui tengo, la risposta è molto più ragionata.
Iniziamo con il
dire che io non appartengo ad una setta di persone che ha deciso di fermare le
lancette dell’orologio, tipo comunità amish, la quale ha deciso che, tutte le
invenzioni successive al 1890, siano opera del demonio, per cui i suoi membri
vivono senza TV e si muovono in calesse.
Molto
semplicemente io credo che il progresso tecnologico non porti mai alla totale
estinzione del settore preesistente, bensì ad una contrazione di questo (a
volte sino a rasentare lo zero) e la contemporanea nascita di nuovi settori
analoghi. In sostanza la tecnologia apre nuovi scenari che in precedenza non
c’erano.
Prima della
invenzione delle macchine sartoriali, vi era un solo modo per procurarsi un
vestito: farselo cucire su misura da un sarto. Essendo manufatti artigianali, i
vestiti erano necessariamente costosi. I poveri avevano due vestiti soltanto:
quello per il lavoro quotidiano e quello della domenica. Entrambi dovevano
servire per quasi tutta la vita. I ricchi avevano la possibilità di acquistare
molti vestiti e di fornirsi dai sarti più abili e costosi. All’interno della
nutrita categoria dei sarti, si distingueva un ventaglio di sfumature: da coloro
che avevano una fama più illustre, sino agli artigiani più grossolani. La
invenzione della manifattura industriale degli abiti ha portato ad una forte
diminuzione dei prezzi, ma anche alla introduzione delle taglie standardizzate,
in luogo degli abiti su misura. La categoria dei sarti è stata falcidiata: gli
artigiani meno abili – coloro che confezionavano abiti con tagli scadenti, ma
che tuttavia riuscivano a venderli comunque, perché i poveri non avevano
alternative – furono i primi ad essere spazzati via. Il povero poteva
improvvisamente acquistare un abito di fabbrica, con taglio migliore rispetto a
quello del sarto di infima categoria, ad un prezzo decisamente inferiore. Gli
unici sarti ad essersi salvati sono stati quelli della fascia più alta: gli
abiti su misura che essi offrivano al mercato avevano infatti qualità tanto
elevate da non poter essere raggiunte da nessun abito industriale. Il prezzo,
molto superiore rispetto a quello dell’abito industriale, non era di ostacolo
per la nicchia dei clienti ricchi; i quali anzi vedevano ora nell’abito
sartoriale uno status symbol che li
distingueva, in maniera netta, dal borghese recentemente arricchitosi. Se
prima si poteva discutere in merito alla distanza qualitativa tra due capi
confezionati da diverse sartorie in competizione tra loro, adesso è tutto più
chiaro: il mio è un abito su misura, il tuo è un abito industriale. Come si
vede l’evoluzione industriale non ha semplicemente estinto la figura del sarto
di abiti: l’ha fortemente ridimensionata, rinchiusa in una nicchia, ha spazzato
via chi offriva un prodotto di basso livello qualitativo, ma i pochi sarti che
sono sopravvissuti offrono prodotti che sono sul mercato nel 2015 con una loro
ragion d’essere: non vivono fuori dal tempo. Il mercato si è quindi
rivoluzionato, ma complessivamente ampliato e diversificato, per soddisfare
domande che prima della rivoluzione tecnologica, erano prive di risposta.
Cosa c’entra
questo con il quesito iniziale: esiste ancora una domanda di fotografie
scattate con la vecchia pellicola, in una era di immagini digitali?
La mia risposta
è sulla falsa riga di quanto ho detto a proposito dei sarti: la fotografia
digitale ha stravolto tutto, ha certamente scalzato la fotografia con pellicola
dal monopolio che ha goduto per oltre un secolo, ma non ha sostituito
completamente la pellicola. Certamente, il campo della foto analogica si è
ridotto enormemente: non è più richiesta nel settore professionale, nessun
giornale, rivista, agenzia pubblicitaria accetterà più una pellicola, e tuttavia
essa ha ancora un mercato nel 2015. Ancora una volta il mercato si è ampliato,
alcune esigenze che prima non trovavano risposta (l’immagine immediatamente
scattata e fruibile, ed anche trasmissibile immediatamente a grandissima
distanza) ora l’hanno trovata, a dei prezzi sempre più bassi, fino a divenire
irrisori. Il grande mercato, sia professionistico che consumer, si è
radicalmente trasformato (il monopolio analogico è ora diventato un quasi
monopolio digitale), il vecchio sovrano (la fotografia analogica) che un tempo
imperava senza rivali nel campo delle immagini, come i bisonti nelle praterie
americane, oggi è rinchiuso in un recinto elitario; al pari dei pochi bisonti
sopravvissuti nelle riserve.
La domanda è: a
quale esigenza concreta, del 2015, la pellicola analogica fornisce risposte
efficienti? In altri termini: che cos’ha oggi la pellicola da offrire al
mercato?
La mia risposta
è chiara: nel 2015 la fotografia digitale è la risposta efficiente per la
stragrande maggioranza delle esigenze. Io utilizzo con massima soddisfazione
una economica fotocamera compatta digitale impermeabile, per fare le foto ai
pupi al mare, in estate, in condizioni nelle quali mai avrei potuto scattare
con una delle mie fotocamere a pellicola.
Detto questo, al
di fuori delle esigenze comuni, ne esistono altre che molti non vedono.
Il
problema della conservazione della immagine fotografica.
Ho usato non a
caso il termine “immagine fotografica” in luogo di “fotografia” intesa come
immagine su carta, perché la carta è, e sarà sempre, nulla. Conta la pellicola
impressionata.
Negli anni ‘70,
‘80 e ‘90, il capofamiglia, al termine dell’estate, portava i rullini scattati in
vacanza al negozio di fotografia. Qualche giorno dopo veniva a ritirare le
foto. Ammirava le immagini stampate su carta, e si disinteressava totalmente
alla pellicola sviluppata. Alcuni addirittura buttavano via i negativi per
tenere solo la carta. Nella migliore delle ipotesi le pellicole finivano in un
cassetto, mischiate, disperse, graffiate, piegate. Un qualsiasi fotografo
professionista o un archivista, potrà dirvi che tale condotta è criminale.
Quello che sfida il tempo è l’immagine impressa sulla pellicola (se
correttamente sviluppata, fissata e sciacquata) non certo l’immagine su carta,
destinata ad alterarsi nel corso di un decennio. Il professionista bada solo
alla pellicola, il dilettante solo alla carta. Per la diapositiva il discorso è
del tutto identico, con l’unica differenza che la pellicola ed il positivo
coincidono.
La conservazione
della immagine su pellicola è molto più facile e sicura, rispetto a quella
digitale.
Il supporto che
contiene l’immagine digitale è infatti soggetto ad una velocissima obsolescenza
tecnologica. Hard Disk e pennette USB sembrano garantire una leggibilità
eterna, ma è pura illusione.
Anche i Floppy
Disk da 8” (di dimensioni 20 x 20 cm), nel 1971 sembravano eterni, ma oggi
sono, di fatto, illeggibili per indisponibilità di un disk driver, ossia un
lettore, efficiente. I Floppy da 5”1/4 erano diffusissimi negli anni ‘80, solo
35 anni fa, ma vale quanto detto sopra. I floppy da 3”1/2 (quelli rigidi da 1,5
Mb) saranno illeggibili ben presto. I disk driver SCSI idem. I CD-ROM ed i DVD
tra 10 anni saranno illeggibili. Vi è di peggio: i supporti per i dati digitali
si smagnetizzano, sono molto più fragili di quanto non si creda.
La NASA oggi non
è in grado di leggere i dati archiviati su nastro magnetico, delle missioni
Apollo sulla Luna. Centinaia di migliaia di preziosissime informazioni, andate
in fumo per sempre, nell’arco di soli 40 anni.
Una lastra
fotografica di fine ‘800 è oggi perfettamente trasformabile in formato digitale
e stampabile, restituendo immagini molto belle ed incise. La stampa coeva di
tale lastra è pessima, ma non importa, quel che conta è l’immagine sul
supporto: essa è capace di sfidare il tempo ed essere riprodotta a distanza di
secoli.
Certamente,
archiviando le immagini digitali su supporti moderni, avendo cura di riversare
l’immagine digitale dal vecchio supporto, oramai obsoleto, su quello nuovo, si
risolve con poca spesa il problema della obsolescenza dei supporti. Effettuando
in aggiunta dei back-up periodici, si previene anche il problema della
smagnetizzazione. Verissimo, ma chi può assicurare la costanza di tali
processi?
Avrete sempre
voglia di trasferire, ogni cinque anni, tutte le vostre immagini digitali da un
supporto ad un altro? E’ necessaria la costanza, perché saltare anche un solo
passaggio significherebbe perdere tutto. Inoltre, dopo la vostra serena
dipartita da questa valle di lacrime, i vostri figli, nipoti e pronipoti
saranno animati dalla stessa costanza?
Fotografare con
una macchina analogica, significa conservare l’immagine su una pellicola.
Una volta
sviluppata rispettando le poche regole auree, la pellicola viene asciugata,
tagliata e conservata in appositi raccoglitori. Da quel momento in poi potete
non pensarci più. Se quelle pellicole non verranno smarrite in un trasloco o
bruciate in un incendio, saranno fruibili anche tra 300 anni, e forse ancora di
più, senza che nessuno debba prendersene cura.
Questo è il
primo motivo per il quale vale la pena scattare fotografie con una fotocamera
analogica: ci sono immagini che vorrei che i miei pronipoti potessero vedere,
tra 150 anni. L’unico modo per raggiungere realisticamente questo obiettivo è
fissare le immagini su pellicola.
Ovviamente non
tutte le immagini fotografiche da me prodotte meritano di attraversare gli
oceani dei secoli, ma solo alcune tra esse. Quelle relative ad eventi
importanti, certo (nascite, lauree e matrimoni), ma non solo. È importante per
me testimoniare la vita comune, gli ambienti domestici, le foto di strada, dei
diversi decenni della vita mia e dei miei figli. Almeno un rullino all’anno mi
pare il numero giusto da scattare, conservare e tramandare.
Il
problema della sovrapproduzione della immagine fotografica.
Scattare con il
digitale è facile ed a costo zero. Una volta procuratosi lo strumento (camera,
lente e scheda di memoria), scattare 10 foto, o 1.000 o 100.000 costa la stessa
cifra: zero.
La prima volta
che ho affidato la macchina digitale a mio figlio per la sua prima gita
scolastica alle elementari, è tornato a casa con 590 scatti. Per fortuna la
batteria ha avuto pietà di me: si è scaricata e mi ha salvato. Lavorare su
quelle 590 immagini, scartare tutte quelle mosse e sfocate, e poi eliminare le
decine di foto in sostanza identiche, mi ha snervato. Ne sono sopravvissute
150 circa, ma sono un numero parimenti impossibile. Nessuno mai passerà del
tempo a vedere quelle 150 foto, sospirando di nostalgia, magari con una
lacrimuccia. Quelle immagini, che ho deciso di conservare, dovranno essere
riversate in continuo su supporti digitali sempre nuovi, richiederanno cure
costanti; cure che non meritano, perché sono troppe e troppo insulse. Inutili.
Occuperanno per decenni inutilmente dello spazio. Mi ricordo che, quando da
bambino ero io ad andare in gita, avevo una piccola (economicissima e pessima)
fotocamera compatta analogica. Le fotografie erano altrettanto insulse, e di
qualità infinitamente peggiore rispetto a quelle di mio figlio; tuttavia
ricordo benissimo che, mentre inquadravo il soggetto, prima di premere il
bottone dello scatto, mi chiedevo sempre: “varrà la pena di utilizzare uno dei
limitati fotogrammi di cui dispongo, per catturare questa immagine?”. In
sostanza, quel che sto inquadrando merita di essere fissato per sempre nella
storia?
I nativi
digitali come mio figlio, questa domanda non se la pongono mai. Scattano e
basta: tanto non ci sono controindicazioni (credono loro), al limite cestinerò
la foto successivamente. Non è così. A parte il fatto che la carica della
batteria e lo spazio nel supporto di memoria, sono limitati, questi signori non
considerano il fatto che, visionare le foto e decidere quale scartare, richiede
tempo. Ha un costo. Costo limitato, se avrò scattato 50 fotogrammi. Costo assolutamente
inaccettabile se, al termine di una stagione estiva, avrò scattato 5.000
fotogrammi.
Veniamo in
questo modo al secondo motivo per il quale il sottoscritto utilizza la
pellicola: la selezione a monte.
Inquadrare
l’immagine e decidere se premere o non premere il bottone di scatto, se
l’inquadratura merita un fotogramma della pellicola, attendere perché si pensa
di poter ottenere una immagine migliore, rammaricarsi per essersi lasciato sfuggire il momento in cui la scena era perfetta, confidare che possa
ripresentarsi in futuro, cogliere l’attimo: ora! ecco il momento!.
Per dirla con Henri
Cartier-Bresson: “il fotografo deve essere sicuro, mentre è in presenza
della scena che si sta dispiegando, di non aver perso alcun passaggio, di aver
realmente espresso il significato unitario della scena. Dopo sarebbe troppo
tardi. Il fotografo non può far retrocedere gli avvenimenti, per fotografarli
di nuovo”.
E poi, certo, vi
è anche il rischio di sbagliare; rendersi conto che il soggetto si era mosso
all’ultimo istante o aveva chiuso gli occhi.
Vi
accorgerete allora, quando è troppo tardi, con terribile chiarezza, dove avete
fallito. A questo punto, ricorderete il sentimento rivelatore che avevate
provato mentre stavate fotografando (H.C. Bresson).
Sono i fallimenti
a dare un gusto alle vittorie. Questa scarica di adrenalina significava
(all’epoca dell’analogico) fotografare. Significava attaccare la spina del
cervello mentre si inquadrava l’immagine. Anche se la fotocamera era automatica
riguardo alla scelta della esposizione ed autofocus, comunque il fotografo
doveva decidere l’inquadratura ed il momento giusto per lo scatto.
Con le digitali,
il fotografo non scatta: mitraglia a caso nel buio.
La similitudine
tra fotografare e sparare è abusata. Si pensi alla terminologia “safari
fotografico” o “catturare una immagine”. Preparare la macchina allo scatto
successivo, avanzando la pellicola, si dice in italiano “caricare
l’otturatore”; in inglese “cock the shutter” (letteralmente armare lo
sparatore). In inglese infatti “scattare” si dice “to shoot” (sparare) ed
otturatore “shootter”. Si pensi addirittura che, negli anni ‘30, sia Leica che
Contax vendevano un accessorio consistente in un vero e proprio calcio di
fucile (
Contax Leica), con tanto di vero grilletto, collegato alla macchina fotografica che
veniva posizionata all’altezza del mirino. La canna del fucile era sostituita
da un lungo teleobiettivo. Si trattava di un accessorio indispensabile per
poter scattare delle foto senza cavalletto evitando il mosso. Usando tale similitudine,
può ben affermarsi che la macchina analogica è come un fucile: non hai molti
colpi, devi pensarci bene prima di scattare. Al contrario la camera digitale è
come una mitraglietta: l’invito è a scattare a più non posso senza pensarci,
qualche proiettile dovrà per forza andare a segno. Mi viene spesso in mente la
scena del film “il cacciatore” con Robert De Niro. A chi gli chiedeva che senso
avesse seguire un cervo per giorni e giorni nei boschi, portandosi dietro un
fucile con un solo proiettile, il personaggio Michael rispondeva: “la caccia ha
un senso solo se è leale. Io devo avere una sola possibilità, perché il cervo
deve poter avere la sua”. Detto altrimenti: la soddisfazione di aver scattato
una ottima foto è data dal fatto che avevi solo una possibilità per farlo, non
una raffica.
“Fotografare
è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono
davanti alla realtà che fugge: in quell’istante, la cattura dell’immagine si
rivela un grande piacere fisico e intellettuale” (H.C. Bresson).
*
Vi sono molte
altre ragioni per scattare in analogico in luogo del digitale.
Ne citerò
brevemente solo una. Il digitale sta eliminando il confine tra la produzione
della immagine (scatto) ed il trattamento in postproduzione. Il software di
manipolazione delle immagini (Photoshop) fa miracoli, ma questi miracoli sono
ancora fotografia, oppure è arte digitale?
Distinguiamo il
caso delle fotocamere digitali per i professionisti e per i fotoamatori più
evoluti, dalle fotocamere digitali entry level, compatte e smart phone.
Per quanto
attiene a questo secondo gruppo si rimane sempre più sbalorditi dalla eccelsa
bellezza delle immagini scattate. La tendenza attuale è quella di anticipare ed
automatizzare le correzioni di Photoshop già nella fotocamera. In
quello spazio di tempo, tra lo scatto e la registrazione sul supporto
digitale, viene automaticamente corretto tutto: l’assenza di luce, il mosso, lo
sfocato, il controluce. Vengono anche saturati i colori, eliminate le rughe,
smagriti i corpi, pompati i pettorali e sbiancati i denti. Ma a questo punto
eliminiamo anche i capelli grigi, la cellulite; e visto che ci siamo, cambiamo
anche il colore della cravatta per abbinarlo correttamente alla giacca. Alcuni
di questi traguardi non sono ancora stati raggiunti, ma ci si riuscirà. Tra
poco non sarà più possibile distinguere tra fotografia e fotografia modificata.
A quel punto saremo tutti “oggettivamente” bellissimi, salvo poi guardarci dal
vero e non capire che fine abbia fatto quel modello/a che avevamo visto in
“foto”. Si impone la domanda: questa roba è ancora fotografare?
Per quanto
riguarda invece il primo gruppo di fotocamere (quelle professionali e top
amatoriale), la tendenza è opposta. Si è compreso che, se la fotografia deve
essere opera artistica di un fotografo, ebbene le correzioni di Photoshop non
possono essere automatizzate dal firmware della fotocamera, bensì lasciate al
lavoro del fotografo. Ecco allora che questo tipo di fotocamera ha il compito
di fornire al fotografo materiale grezzo (in formato .RAW) da lavorare
successivamente nelle lunghe sedute di Photoshop. Questa divisione del lavoro
in due sedute, scatto e postproduzione, non è un concetto alieno al fotografo
in pellicola bianco/nero, il quale sa bene che ogni foto “si scatta due volte”:
la prima in sede di cattura (tempo, diaframma, messa a fuoco ed inquadratura);
la seconda in camera oscura, con la luce rossa, al momento di impressionare la
carta (idem tempo, diaframma, messa a
fuoco ed inquadratura). Sembrerebbe non essere cambiato nulla, ma è solo
apparenza, perché le possibilità di modificare le foto digitali in
postproduzione sono enormemente aumentate.
Il punto vero è
tuttavia un altro, e si chiama tempo. E’ impensabile scattare in .RAW ed usare la fotografia senza modificarla con Photoshop. Ma le sedute di Photoshop durano
ore, se non giorni.
Per un fotografo
professionista questo tempo è lavoro, viene retribuito dal committente.
Per il fotografo
amatoriale, invece, questo tempo è tempo tolto ad altri svaghi. Non solo ma i
software di manipolazione di immagini digitali diventano sempre più complessi e
richiedono veri e propri corsi a pagamento per essere pienamente sfruttati.
L’asticella per il fotografo amatoriale che confinava con il professionismo, si alza sempre di più e
diviene sempre più difficile stazionare a cavallo del confine tra fotografia
amatoriale di alto livello e professionismo. Se non hai il denaro, il software,
ma soprattutto la formazione ed il tempo per accedere al campo del
professionismo, vieni rigettato non già nel campo amatoriale di alto
livello, bensì in quello amatoriale e basta.
Sta nascendo un
deserto tra la massa degli amatori e l’elitè dei professionisti: una fotocamera
digitale di livello immediatamente inferiore rispetto alle ammiraglie
professionali, oltre a costare una barca di soldi ed essere soggetta a
velocissima obsolescenza e deprezzamento di valore, restituisce immagini in
formato .RAW, ossia piatte e smunte, se utilizzate senza essere processate con
Photoshop; “bruttissime” se confrontate con la “bellezza” e vividezza delle
immagini scattate con un economico cellulare da € 200,00. Ma un fotografo
amatoriale non ha il tempo e la conoscenza dell’uso del software per le sedute
di Photoshop. Ed allora le fotocamere di fascia amatoriale top level non
saranno più acquistate dai fotografi amatoriali, bensì dai professionisti che
non possono permettersi le ammiraglie. Il fotografo amatoriale verrà
schiacciato sulle fotocamere entry level o sulle compatte, le quali provvedono
loro, in automatico, a processare “correttamente” le immagini digitali
scattate. Chi viene enormemente penalizzato è il fotografo amatoriale di alto
livello, che vorrebbe intervenire consapevolmente sulla produzione della
immagine, ma che ne è sempre di più tagliato fuori e rigettato nella massa dei
fotografi scatta-a-mitraglia.
(2.A)
utilizzatore stanziale
La circostanza
che le fotocamere a pellicola abbiano perso il monopolio a favore del digitale
ha comportato un indubbio, enorme vantaggio. L’abbattimento del prezzo di
mercato di tali macchine ha fatto sì che oggi sia possibile acquistare, intorno
ai € 150/200, il corpo macchina di una qualsiasi fotocamera prodotta tra il
1935 ed il 1995; escluse ovviamente le rarità collezionistiche.
Potendo
scegliere il meglio a quella cifra, non ha senso acquistare una macchina che
non sia stata il top per i suoi tempi, al solo fine di risparmiare poche decine
di euro.
Detto questo
l’utilizzatore dovrà decidere se orientarsi verso una macchina reflex oppure a
telemetro. La macchina reflex offre molti vantaggi (mirino grande e luminoso, facilità
di messa a fuoco, robustezza, facilità di utilizzo, vasta scelta di lenti a
prezzi parimenti accessibili) e pochissimi svantaggi (peso maggiore e
impossibilità di scattare sotto 1/30). Per un utilizzatore stanziale questi
problemi sono assai trascurabili.
Scelta l’opzione
reflex, ci si chiede verso quale modello orientarsi.
La mia opinione
è la seguente. Una volta compiuto il grande passo dell’ingresso nella
fotografia analogica, una volta cioè che si è deciso di fotografare usando il
proprio cervello invece che gli automatismi, che senso ha portarsi dietro tutti
quei problemi che sono inscindibilmente legati alla fotografia digitale? Mi
rifersico alla dipendenza dalla durata delle batterie; alla impossibilità di
scegliere di testa propria tempi, diaframmi e messa a fuoco; alla bruttura
della plastica; alla fragilità dei circuiti elettrici, soggetti agli urti ed
alle condizioni metereologiche avverse. La frenetica ed irrazionale
moltiplicazione dei modelli di fotocamere, all’interno di ciascun marchio,
moltiplicata per tre fasce di consumatori (professionisti, amatori ed entry
level), al fine di rincorrere l’ultimo inutile record e l’aggiunta dell’ultimo
pulsantino succhiabatterie; la conseguente obsolescenza tecnologica accelerata
e pianificata a tavolino dalle case madri, non è caratteristica esclusiva delle odierne
fotocamere digitali. Essa caratterizzava anche l’ultimo decennio (1993/2003) dell’era analogica. Prima di sparire in pochi mesi come i dinosauri,
le ultime fotocamere analogiche avevano dato il peggio di sé, in un delirio di
sigle e modelli sostanzialmente tutti uguali, ed ugualmente brutti, inutili e
costosi. Non v’è proprio motivo per far tornare in vita uno di quei mostri di
plastica e chips.
Fatta la scelta
per l’analogico, vi invito ad optare per una fotocamera di metallo vero,
robusta, meccanica (e quindi indipendente dalle batterie), manuale al 100%
(sceglierete voi tempi e diaframmi), non autofocus e dotata solo di
esposimetro; ma a condizione che, se la batteria di questo si dovesse
scaricare, possiate comunque continuare a scattare normalmente su tutti i
tempi.
Io vengo dal
mondo Nikon, per cui vi suggerisco due modelli che rispondono a questi
requisiti; la Nikon F e la Nikon F2. Rispettivamente le ammiraglie Nikon degli
anni ‘60 e ‘70. Queste fotocamere sono state usate, per due decenni, da tutti i fotografi professionisti del mondo (salvo poche eccezioni). Andranno benone anche per voi. Le potete trovare agevolmente sul mercato dell'usato a € 100,00 (F) € 150,00 (F2). I modelli color nero sono più rari dei cromati (il rapporto era circa di 1 a 8) e costano pertanto di più. I modelli neri furono introdotti per espressa richiesta dei professionisti (Nikon aveva in mente solo la versione cromata, più lussuosa secondo il modo di pensare dell'epoca) per cui, già all'epoca, costavano più dei cromati. Attenzione! Questo significa che, se acquistate un modello nero, quasi sicuramente il primo proprietario sarà stato un professionista che avrà fatto un uso massiccio e stressante della macchina. Avrà scattato un numero di rullini infinitamente superiore rispetto a quelli di un fotografo amatoriale. Si sconsiglia sempre di acquistare una fotocamera appartenuta ad un professionista, perchè la meccanica si presume spappolata dall'abuso. Tuttavia, per quanto riguarda specificamente le Nikon F ed F2, occorre considerare che: 1) sono macchine veramente robuste; 2) quello che danneggia veramente la meccanica è l'uso del motore di avanzamento pellicola. Nelle Nikon F ed F2 era possibile montare il motore, ma erano pochi in professionisti che lo usavano, perchè era estremamente arcaico e pesantissimo.
Questo per dire che non è raro trovare una Nikon F o F2 nera con una ottima meccanica. Per valutare lo stato della meccanica (delle Nikon F ed F2, non di altri modelli) vi sarà sufficiente provare la leva di avanzamento della pellicola: se lo sentite "scotto, sfatto" lasciate immediatamente perdere. Se invece lo sentire bello "al dente" la meccanica è ok.
Ovviamente un
fotografo Canon vi suggerirà i rispettivi modelli di quella casa. Cambia poco,
a condizione di rispettare i requisiti che ho indicato sopra.
(2.B)
utilizzatore viaggiatore
Le reflex sono
ottime macchine. Hanno tuttavia due difetti. Il peso e la impossibilità di
scattare a mano libera sotto 1/30. Questo ultimo aspetto interessa a ben pochi
fotografi (tra i quali il sottoscritto), pertanto lo si può trascurare.
Il peso invece è
un problema serio per chi viaggia sempre e soprattutto si sposta a piedi.
Per intenderci
fornisco di seguito una tabella con alcuni dati
Marca Modello
peso
solo corpo peso
con lente 50 mm
Nikon F2
(reflex) 844
gr 1.204
gr
Nikon F (reflex) 819 gr 1.179 gr
Contax IIIa 633 gr 796 gr
Contax II 594 gr 748 gr
Nikon S2 550 gr 700 gr
Contax IIa 510 gr 673 gr
Leica M3 580 gr 632 gr
Leica IIIc 419 gr 534 gr
Leica II 409 gr 520 gr
Dall’esame di
questi dati ben si comprende come mai, agli occhi di molti, una fotocamera a
telemetro, malgrado la maggiore difficoltà di messa a fuoco, possa apparire
ancora oggi desiderabile.
Volendo restare
nell’ambito della scelta tra una Leica ed una Contax, le due camere da
confrontare sono probabilmente la Contax IIa e la Leica IIIc, le più comuni da
reperire sul mercato dell’usato, e pertanto più economiche. La differenza di
peso tra le due ancora si apprezza: La Contax pesa il 26% in più: ben 139 gr.
CONCLUSIONI
Insomma: meglio una Contax o una Leica?
Alla fine di
questa lunga chiacchiera disponiamo di tutti i dati per rispondere.
Ho sempre
sostenuto che una buona foto dipende al 90% dal fotografo, al 10% dalla lente,
allo 0% dalla fotocamera.
Nel tempo ho
leggermente rivisto questa mia posizione e sono arrivato alle seguenti
conclusioni:
Una buona foto
dipende al 90% dal fotografo, al 9% dalla lente, allo 1% dalla fotocamera.
Le lenti Carl
Zeiss sono sicuramente migliori di quelle Leitz, per cui la risposta alla domanda
dovrebbe essere scontata: la Contax è migliore della Leica.
Tuttavia ci sono
alcune cose da aggiungere.
Il corpo
macchina della Leica presenta molti vantaggi rispetto a quello Contax II.
1) è più
piccolo
2) è più
leggero
3) è più
robusto
4) l’otturatore
è molto più affidabile, per cui la intera fotocamera è più affidabile
5) è più
facile e meno costoso da riparare
6) nella
Leica III la messa a fuoco è più facile per quattro motivi:
a) il rangefinder
distinto dal viewfinder permette una visione ingrandita;
b) la correzione delle diottrie è utilissima (ma non c’è nella
Leica II);
c) la finestrella della Contax è troppo vicina al pulsante di scatto, e
pertanto spesso è coperta dalla mano destra, il che non permette di vedere le
immagini sdoppiate e mettere a fuoco;
d) nella Leica è tutto più semplice, per cui anche sostituire i vetrini
del telemetro, tararli, pulire i mirini è più facile.
I vantaggi nella messa a fuoco garantiscono maggiore probabilità di foto
a fuoco.
Obiettivamente,
l’ideale sarebbe avere un corpo Leica su cui poter montare le ottiche Contax.
Non sono stato
il primo ad averci pensato. All’inizio della seconda guerra mondiale, il regime
nazista aveva bisogno di macchine fotografiche per l’esercito, marina ed aviazione e pertanto ordinò
alle due fabbriche tedesche di farla finita con la loro rivalità: la Leica
avrebbe fornito i corpi macchina e la Carl Zeiss i suoi famosi
obiettivi (dotati del trattamento antiriflessi che ne aumentava ancora di più
la qualità, inventato da Carl Zeiss nel 1935 ed immediatamente posto sotto
segreto militare) ma dotati di montatura a vite Leica (LTM passo 39x1) in modo
da poter essere usati con le fotocamere di Wetzlar.
|
Leica III con Carl Zeiss Sonnar 50/1.5 a vite (falso)
più precisamente, può darsi che il nocciolo ottico sia autenticamente Sonnar, di certo il barilotto è quello di uno Jupiter-3 |
Sarebbe una
ottima cosa entrare in possesso di questi obiettivi ed usarli sulle Leica.
Tuttavia ciò non
sarebbe esattamente l’ideale. Su ebay si trovano infatti queste lenti a dei
prezzi molto alti (tra 500 ed 800 euro) ma sono quasi tutti dei falsi; ed è
comunque molto, molto difficile distinguere gli originali dai falsi. A ciò si
aggiunga che, durante le guerre, le materie prime scarseggiavano per tutti, anche
per le forniture militari, per cui la qualità delle ottiche ne risente e, quel
che è peggio, non è garantita la costanza dello standard qualitativo.
Infine la
tecnologia del trattamento antiriflessi (coating) era appena stato inventato.
Non v’è dubbio che le lenti degli anni ‘50, trattate con molti strati
antiriflesso in luogo di uno solo, siano indubbiamente più performanti rispetto
a quelle di 15 anni prima, nate durante la guerra.
Il mio suggerimento
è piuttosto quello di acquistare un anello adattatore che permetta l’utilizzo
delle lenti Carl Zeiss sulle Leica a vite.
Attenzione n. 1
accertatevi che l’anello accetti veramente le ottiche Contax RF (RF =
rangefinder), da non confondere con le lenti Contax per le reflex (stesso
attacco Yashica). Se leggete “C/Y” non va bene. Se non vedete il classico
braccetto di metallo tipico dell’attacco Contax RF, non vanno bene.
Attenzione n. 2
di anelli Leica/Contax RF ne furono costruiti sin dagli anni ‘30. Alcuni di
questi sono fissi, ovvero non hanno la scala metrica incisa sull’anello e non
possono pertanto ruotare per mettere a fuoco. Questi anelli sostanzialmente
trasformano la vostra Leica in una macchina con fuoco fisso (spesso a 3,5 mt).
In pieno giorno, con un diaframma f 11 o f 16, grazie alla notevole profondità di campo, potete scattare buone foto che
mettono a fuoco il vostro parente ed il Colosseo alla sue spalle
contemporaneamente; ma possono avere solo questo uso turistico. Per il resto
sono da scartare.
Attenzione n. 3
la Contax RF ha
due diverse baionette: una interna (per le lenti 50 mm) ed una
esterna (per tutte le altre lenti, grandangolari e tele). Alcuni anelli hanno
esclusivamente la baionetta esterna, altri solo quella interna, altri ancora
entrambe. Preferite questi ultimi, alla peggio quelli con la sola baionetta
interna. Quelli con la baionetta esterna probabilmente non vi saranno utili.
Questi anelli
sono rari: ne esistono degli anni ‘30, degli anni ‘50 e vi sono due fabbriche
che ne producono al giorno d’oggi. Tutti sono piuttosto costosi (si parte da €
200 / € 250, sino ad arrivare ai € 1.000 per gli oggetti da collezione)
tuttavia ne consiglio l’acquisto.
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l'ultimo anello è del tipo fisso e pertanto non consente alcuna messa a fuoco. Inoltre non ha la baionetta esterna, per cui non può essere usato per ottiche diverse dai 50 mm. Non è consigliabile l'acquisto. |
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Leica IIIa con anello adattatore e Carl Zeiss Sonnar 50/1.5 |
Alternativa.
E’ possibile
procurarsi un Sonnar 50/1.5 coated occidentale (quindi degli anni ‘50) ed una
sua copia sovietica con montatura a vite (Jupiter 3 50/1.3). Qualsiasi
riparatore, con poca spesa, sarà in grado di trapiantarvi il nocciolo ottico
del Sonnar dentro la montatura LTM dello Jupiter.
L’operazione è
possibile perché i noccioli ottici di Sonnar 50/1.5 e Jupiter 3 50/1.5 sono
identici e possono essere usati indifferentemente su montatura tipo Contax o
tipo Leica (LTM).
Avrete in questo
modo ottenuto la migliore lente 50 mm montata sulla migliore fotocamera 35 mm.
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Jupiter-3 50/1.5 montatura Leica (sinistra) e Sonnar 50/1.5 (destra) prima del trapianto
Jupiter-3 50/1.5 montatura Contax (sinistra) e Sonnar 50/1.5 montatura Leica (destra) dopo del trapianto
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Controindicazioni:
-
Lo Jupiter 3, al contrario dello Jupiter 8, costa
parecchio (quasi come un Sonnar), nè si può usare la montatura di uno
Jupiter 8 perché il nocciolo ottico è molto più piccolo rispetto a quello di un Sonnar 50/1.5.
-
Il costo dell’operazione è praticamente pari a quella
dell’anello, con la controindicazione che l’anello può essere usato per
infinite ottiche Contax, mentre se si sceglie la strada del trapianto, si potrà
usare sulla Leica solo il Sonnar trapiantato.
- I Sonnar 50/1.5 postbellici della Zeiss occidentale (Zeiss-Opton e Carl Zeiss) non possono essere trapiantati perchè hanno una forma del nocciolo diversa. Questo significa che per avere un Sonnar 50/1.5 trapiantato che sia anche coated, occorre procurarsi uno dei pochissimi Sonnar coated fabbricati durante la guerra, oppure un Sonnar postbellico della Zeiss orientale (la cui qualità non è certa)
Vantaggi:
Un Sonnar con
montatura Leica pesa meno rispetto alla soluzione
anello + Sonnar. Tuttavia questa differenza è minima (solo 10 g)
|
Leica II nera con Ottica Carl Zeiss Sonnar 50/1.5 montata sul barilotto di uno Jupiter-3 50/1.5 |
Consiglio
finale
Corpo macchina:
acquistate una
Leica III o IIIa o IIIc postbellica. Volendo spendere il minimo ed avendo tempo e pazienza,
si possono acquistare su eBay ad € 150,00 circa. Se avete fretta per € 200,00 la potete avere subito.
Lente:
io userei
esclusivamente un buon 50 mm. Una sola lente ma buona.
Due opzioni.
Se
non avete soldi acquistate uno Jupiter-8
con attacco Leica. Lo Jupiter-8 è una copia sovietica postbellica del Carl
Zeiss Sonnar 50/2.0: ottima lente. In questo
sito troverete la
descrizione di tutti i modelli. Delle lenti sovietiche occorre conoscere poche
semplici regole: 1) più sono vecchie e migliore è la loro qualità. Acquistate
solo lenti degli anni ‘50. Per fortuna è facile conoscere l’anno di
fabbricazione: è indicato dalle prime due cifre del numero di serie, ben
visibile sul frontale. 2) il maggiore difetto delle lenti sovietiche è la
eccessiva tolleranza in sede di controllo qualità. Capita sovente che, anche le
lenti tedesche e giapponesi, come quelle russe, escano dalla catena di
montaggio con dei difetti. Quello che distingue le lenti tedesche e giapponesi
dalle russe è la severità nello scartare (e quindi buttare nel cestino) le
lenti con dei difetti, anche piccoli. I sovietici avevano la esigenza di rifornire di lenti e fotocamere un enorme mercato interno (URSS e stati
satelliti), a prezzi politici. Tedeschi e giapponesi dovevano esclusivamente
conservare la loro fama mondiale di altissimo standard qualitativo. E’ facile
comprendere come mai le lenti tedesche e giapponesi sono tutte egualmente
eccellenti, mentre le sovietiche possano essere eccellenti o pessime.
|
Jupiter-8 50/2.0 del 1957 |
Per fortuna gli
Jupiter 8 costano poco (intorno ad € 40/50). Compratene tre (sempre ed
esclusivamente degli anni ‘50) e fate una prova sul campo con la pellicola,
scattando alle varie aperture. Selezionate la lente migliore e vendete le altre
due. Poi compratene altre due e ripetete la prova. Idem rivendete le lenti
scartate. Eventualmente ripetete il ciclo una terza o quarta volta.
Alla fine avrete
un ottimo obiettivo, con una resa assai simile al mitico Sonnar 50/1.5, avendo
speso € 100,00 circa.
In totale con €
250,00 avrete una Leica IIIa o IIIc con uno Jupietr-8. Usatele e ne sarete
soddisfatti.
Alternativa se non avete soldi. Su eBay USA potete trovare facilmente un annuncio di una Contax IIIa abbinata ad un Sonnar 50/1.5 del dopoguerra, per € 200,00/250,00. A questa somma dovete aggiungere il costo di spedizione e le tasse di importazione (25% circa) che si applicano anche alle spese di spedizione. Totale € 350,00 circa. E' più comoda e bella la Contax IIa, ma costa di più. Se scegliete questa seconda strada avrete una fotocamera un pò pesante e scomoda (pur sempre una Contax); ma in compenso un ottimo Sonnar (attenti allo stato della lente, non deve avere separazioni. Oppure accettate le separazioni periferiche alla lente, ma pretendete un forte sconto).
Alternativa migliore, spendendo poco di più. Acquistate uno Jupiter-8 con attacco a vite (spendete il meno possibile, di qualsiasi anno ed anche con le lenti graffiate) ad € 40,00 ed un Sonnar 50/2.0 prebellico o postbellico della Zeiss orientale a circa € 80,00 (i Sonnar della Zeiss occidentale: Zeiss-Opton o Carl Zeiss non vanno bene perchè hanno forma del nocciolo incompatibile) ed effettuate il trapianto del Sonnar 50/2.0 sul barilotto dello Jupiter-8. Il Sonnar 50/2.0 è una lente meno mitica del 50/1.5 ma comunque una lente meravigliosa. Il problema è che vi sarà molto difficile trovare un Sonnar 50/2.0 prebellico coated, per cui o rinunciate al coated, oppure dovrete ripiegare su una ottica della Zeiss orientale (la cui qualità è ballerina).
Ulteriore alternativa. In contraddizione con ciò che ho detto sino ad ora, con poco più di € 200,00 potete prendervi una Contax IIIa insieme ad un ottimo Sonnar 50/1.5 coated Zeiss-Opton o Carl Zeiss. Quindi occidentale postbellico. Il migliore. Sino ad ora ho parlato male dei corpi contax, ho detto che sono pesanti, che gli otturatori si romperanno tutti e le Contax postbelliche sono prive di fascino. Lo so, ma entrate nell'ottica che, ad un prezzo molto basso, state comprando la migliore lente al mondo con in più una cosa dietro (la Contax IIIa) che vi permette di usarla.
Se avete un
po’ più di soldi invece il mio consiglio è
quello di acquistare un anello adattatore Leica a vite (LTM)/Contax RF.
Spenderete € 200/250 (link)
A questo punto
vi occorre solo una buona lente. Andate sulla migliore: un Sonnar 50/1.5 coated
degli anni ‘50 di produzione occidentale (Germania Federale – RFT).
Queste lenti
sono marcate “Zeiss Opton” nei primi modelli del dopoguerra (dal 1946 al 1953)
aventi numero di serie da n. 10.000 a n. 1.256.000 circa; mentre sono marcati
“Carl Zeiss” (senza la parola Jena) nei modelli successivi. I "Carl Zeiss" sono da preferire agli "Zeiss Opton".
Cose da sapere:
1) i primissimi
“Zeiss Opton” sono da scartare per via della scarsa qualità del barilotto (ma
sono praticamente introvabili);
2) Tutte le
lenti “Zeiss Opton” e “Carl Zeiss (senza Jena)” sono coated. Non hanno la
lettera T rossa solo perché non ve n’è bisogno (essendo appunto solo coated non
c’è da confondersi). Solo i primissimi modelli “Zeiss Opton” (il numero di
serie più alto da me conosciuto è 887.000) presentavano un T rossa, il che
comunque non li distingue in nulla da quelli senza T.
3) queste lenti
occidentali sono soggette ad un difetto: la separazione delle lenti, a causa di
un collante nuovo che venne utilizzato al posto di quello anteguerra. Per
questo motivo, prima di acquistare accertatevi accuratamente che, guardando
attraverso la lente anteriore, non si vedano degli strani aloni (come delle
macchie, spesso con colori dell’arcobaleno).
Nel caso
scartatele, oppure (ma solo se il fenomeno è limitato e presente esclusivamente
ai bordi della lente) pretendete una forte riduzione del prezzo.
|
le frecce indicano i punti dove le lenti si sono separate |
I Sonnar 50/1.5
postbellici ed occidentali marcati “Carl Zeiss” sono il top.
Tuttavia anche
gli altri Sonnar – quelli prebellici e quelli postbellici orientali (Germania
Democratica - DDR) – non sono affatto malvagi.
- I Sonnar della
Germania unita (nazista) prebellici sono tutti marcati “Carl Zeiss Jena” ed
hanno un numero di serie compreso tra 1.280.000 circa e 2.520.000 circa
Non sono coated e quindi non hanno una T rossa incisa sul frontale.
- I Sonnar
prodotti durante la guerra hanno un numero di serie compreso tra 2.520.000
circa e 2.842.000 circa. Si tratta di lenti che possono avere il trattamento
antiriflesso, oppure non averlo. Possono avere attacco Contax oppure Leica a
vite. Alcuni erano prodotti per usi militari, altri per l’esportazione nei
Paesi neutrali (Svezia e Portogallo). Molte di quelle con attacco a vite sono
false: si tratta di lenti sovietiche Jupiter (molto comuni) alle quali è stata
cambiata la scritta frontale ed il numero di serie. Anche le lenti autentiche
hanno tuttavia qualità molto altalenante. Evitate queste lenti e lasciatele ai
collezionisti
- I Sonnar della
Germania Democratica (DDR) vale a dire comunista, sono facilmente
distinguibili: essi proseguono la numerazione seriale della Germania prebellica
(il numero di serie più basso da me conosciuto è 2.846.504), e parimenti è
usata la scritta “Carl Zeiss Jena”, ma hanno una T rossa stampata a significare
che la lente è dotata di trattamento antiriflessi. Inoltre recano la scritta
“Germany”. Anche alcune lenti Zeiss anteguerra portavano la scritta “Germany”,
ma solo quelle destinate all’esportazione. Le lenti Zeiss postbelliche
occidentali portano invece la scritta “Made in Germany”.
Quanta
differenza qualitativa esiste tra i Sonnar 50/1.5 postbellici occidentali e gli
altri due?
Non ho
sufficienti competenze ed esperienze per rispondere. A grandi linee è possibile
dire che un modello coated ha
prestazioni superiori rispetto al non coated, anche se, nelle lenti Sonnar, questo aumento di
qualità è molto inferiore rispetto alle lenti della concorrenza (perché erano
molto superiori già in partenza). Le lenti Leitz del dopoguerra, al contrario,
hanno tratto un giovamento enorme dal trattamento antiriflessi, per cui hanno
notevolmente ridotto il divario che le separava dalle lenti Carl Zeiss. Amara
constatazione, visto che il trattamento antiriflessi è stato appunto inventato
dalla Carl Zeiss, la quale non ha potuto nemmeno beneficiare dell’esclusiva del
brevetto del 1939, perché alla fine della guerra (1945) tutti i brevetti tedeschi
sono stati annullati e la tecnologia antiriflesso inventata dalla Zeiss è stata
depredata da tutti gli altri concorrenti.
Riguardo alle
lenti della Germania orientale (DDR) è possibile dire quel che si è già detto a
proposito delle lenti sovietiche: 1) più sono vecchie e meglio è; 2) la vera
differenza dipende, non già dalle materie prime o dalle tecniche costruttive,
bensì dalla rigidità del controllo qualità.
I tedeschi
(quantunque comunisti) erano comunque più rigorosi rispetto ai sovietici, per cui
lo standard si è mantenuto discretamente alto.